Sotto la dicitura
"incanto" si vogliono qui riunire i versi che esprimono in modo
evidente situazioni molto particolari, al di fuori della realtà; possono
nascere da sogni veri e propri o da sogni ad occhi aperti, da profondi
desideri, da fantasticherie di vario genere o, perfino, da visioni. Si notano
con più frequenza alcuni elementi: giardini, notti lunari e paesaggi marini; si
nota anche una non rara presenza femminile, spesso legata alla sfera della magia.
A volte tali situazioni ricordano molto da vicino certe favole (si legga la
prima strofa della poesia di Govoni e l'intera composizione di Scaglione). Non
mancano citazioni di artisti famosi nell'ambito della pittura e della musica. In
molti casi è difficile rapportare queste rappresentazioni estasiate a dei
significati concreti: sono, probabilmente, invenzioni altamente fantasiose atte
ad alimentare il benessere ed il piacere mentale del poeta, che può vivere così
in un mondo al di fuori del mondo e creare una propria, impossibile e
invisibile realtà.
Poesie sull'argomento
Ugo Betti: "La
nave dei sogni" in "Il Re pensieroso" (1922).
Giovanni Cavicchioli:
"Palazzi incantati" in "Palazzi incantati" (1916).
Giovanni Alfredo
Cesareo: "Alba lunare" in "Poesie" (1912).
Raoul Dal Molin
Ferenzona: "Entreremo tra poco a
mani giunte" in "Ave Maria!" (1929).
Gabriele D'Annunzio:
"Oriana" in "L'Isotteo. La Chimera" (1890).
Luigi Donati:
"L'Incanto" in "Le ballate d'amore e di dolore" (1897).
Diego Garoglio:
"L'incanto" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Luisa Giaconi:
"Voto" in "Tebaide" (1912).
Corrado Govoni:
"C'era una volta una chiesina in
riva al mare" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Giuseppe Lipparini:
"Scilocco" in "Stati d'animo e altre poesie" (1917).
Gian Pietro Lucini:
"I Poeti" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).
Tito Marrone:
"Il fresco" in "Le Gemme e gli Spettri" (1901).
Tito Marrone:
"Esilio" in "Liriche" (1904).
Arturo Onofri:
"Incanto notturno" in "Poesie edite e inedite (1900-1914)"
(1982).
Nino Oxilia: "Ecco il canneto..." in "Canti
brevi" (1909).
Enrico Panzacchi:
"Paesaggio" in "Poesie" (1908).
Giovanni Pascoli:
"La baia tranquilla" in "Myricae" (1900).
Romolo Quaglino:
"I due moti - Preludio" in "Dialoghi d'Esteta" (1899).
Antonio Rubino:
"Riva d'oblio" in «Poesia», ottobre 1908.
Francesco Scaglione:
"Le favole" in "Le Litanie" (1911).
Emanuele Sella:
"Questo è il giardino della dolce ipnosi" in "Il Flauto
d'argento" (1932).
Giovanni Tecchio:
"Maggio" in "Mysterium" (1894).
Domenico Tumiati:
"Freschezza" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Carlo Vallini: "Sia pace ai morti nelle bare..." in
"La rinunzia" (1907).
Alessandro Varaldo:
"Ora prima" in "Marine liguri" (1898).
Mario Zarlatti:
"L'incanto" in «Gran Mondo», dicembre 1903.
Testi
ORA PRIMA
di Alessandro Varaldo
A terra una minuscola
casina
appare vivamente
illuminata.
Mi sembra riudir ne
l'incantata
sera, o Gluck, la tua
musica divina.
Mi sembra, ma non è.
Ne la serata
placida dorme tutta
la marina
sotto la bianca
coltre adamantina
de la luce lunare. È
una cantata
de l'Armida che sento
risvegliare
tutto dal sonno?
Destasi la luna
e risplendendo mi
risveglia il mare.
Ecco: intravedo una
figura bruna
molte volte passare e
ripassare.
Ah! si balla?
Dormite, o mare, o luna.
(Da "Marine
liguri")
C'ERA UNA VOLTA UNA CHIESINA IN RIVA AL MARE
di Corrado Govoni
C'era una volta una
chiesina in riva al mare
solinga
immacolatamente bianca...
Non era quella stessa
che il Cabianca
amò ne la sua tela
ingenua figurare?
Sul davanti,
appoggiati a un basso muricciuolo
s'ergevano due smilzi
cipressetti,
nel cui cuore,
d'Aprile, un lusignolo
ne le notti annaspava
i suoi dolci rocchetti.
Dentro un ortello che
fragrava d'umidore
e cingeva da un lato
la chiesiina,
fiorivano le rose de
la China
sotto l'educazione de
le miti suore.
S'arrampicavano pei
tegoli del tetto
con lunghissime
braccia i gelsomini;
il glicine ne l'occhio
del coretto
si scapigliava coi
suoi grappoli turchini.
Il chiostro con un
qualche fiorellino laico
era uguale ad un
quieto refettorio;
c'era il suo pozzo
simile a un ciborio,
c'eran le sue
colonnine di mosaico.
V'abitavano solo
sette bianche Spose
di Dio, ognuna con la
sua stanzetta,
il cereo, l'olivo, de
le rose
in un bicchiere,
ognuna con la sua cornetta.
Amavano l'incenso, i
suoni di campane,
i gigli, l'afflizione
de la cera,
i rosari; le loro
quotidiane
azioni erano una
continua preghiera.
Ognuna aveva il suo
bianco micio
su la finestra, con
l'innaffiatoio
tra malve; sul suo
inginocchiatoio
a l'alba, ognuna,
recitavano l'officio.
Erano quasi tutte
sette ottuagenarie,
e nessuna più
ricordava il nome
antico, non sapevan
se la carie
avesse guasto i denti
ed il tempo le chiome.
E vivevano così come
un morto altare,
nelle stanzucce come
aperte tombe,
con i gigli e le
candide colombe...
C'era una volta una
chiesina in riva al mare.
(Da "Armonia in
grigio et in silenzio")
Pierre Puvis de Chavannes, "Fanciulle in riva al mare" (da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/92/On_the_Edge_of_the_Sea.jpg) |
Hai modo di suggerirmi qualche poesia del 1916?mi serve per dar anima a una mostra!
RispondiEliminaNel 1916 uscì il primo e più importante volume poetico di Giuseppe Ungaretti: "Il porto sepolto". Molte poesie di questo libro parlano della Grande Guerra; tra le altre, una delle migliori è senz'altro questa:
EliminaRISVEGLI
Ogni mio momento
io l'ho vissuto
un'altra volta
in un'epoca fonda
fuori di me
Sono lontano colla mia malinconia
dietro a quell'altre vite perse
Mi desto in un bagno
di care cose consuete
sorpreso
e raddolcito
Rincorro le nuvole
che si sciolgono dolcemente
cogli occhi attenti
e mi rammento
di qualche amico
morto
Ma Dio cos'è
E la creatura
terrificata
sbarra gli occhi
e accoglie
gocciole di stelle
e la pianura muta
e si sente
riavere
Mariano, il 29 giugno 1916.
Sempre nel 1916 viene pubblicata la prima opera in versi e in prosa di Vincenzo Cardarelli intitolata "Prologhi". Ecco una bella poesia senza titolo che ne fa parte.
E ora in queste mattine
così stanche
che ho smesso di chiedere e di sperare
- il pensiero si stacca dagli occhi,
il dolore disegna
archi di riflessione nella carne
che cede con dolcezza
come la zolla a contatto del seme -
e tutto il giardino è per me,
per il mio male sontuosamente,
penso agli amici che mai più rivedrò,
alle cose che sono state,
alle amanti rifiutate,
ai miei giorni di sole...
Infine una poesia di Diego Valeri tratta dalla raccolta "Umana", anch'essa del 1916.
NELL'OMBRA
Nell'ombra della stanza ascolto
la tua voce che trema, che manca...
scorgo appena il pallor del tuo volto
e un barlume della veste bianca.
Vorrei piangere anch'io l'infinita
tristezza che mi grava sul cuore...
O tormento lungo della vita,
o eterna angoscia dell'amore!...
Fuori, stridon le rondini a schiera
per l'immensità di viola:
una squilla, nel morir della sera,
singhiozza lenta lenta e sola...
Sono tre, se te ne servono altre avvisami, ciao.
Bellissime!
RispondiEliminaSpero di poterle inserire nel mio lavoro, però se hai altri titoli da segnalarmi, mi farebbe piacere!
RispondiEliminaQualche altra ce l'ho: nel 1916 esce un volume poetico di Marino Moretti intitolato "Il giardino dei frutti". Qui c'è la poesia più famosa del poeta roamgnolo: "A Cesena".
EliminaA CESENA
Piove. È mercoledì. Sono a Cesena
ospite della mia sorella sposa,
sposa da sei, da sette mesi appena.
Batte la pioggia il grigio borgo, lava
la faccia delle case senza posa,
schiuma a piè delle gronde come bava.
Tu mi sorridi. Io sono triste. E forse
triste è per te la pioggia cittadina,
il nuovo amore che non ti soccorse,
il sogno che non ti avvizzì, sorella
che guardi me con occhio che si ostina
a dirmi bella la tua vita: bella,
bella! Oh bambina, sorellina, o nuora,
o sposa, io vedo tuo marito, sento
a chi dici ora mamma, a una signora;
So che quell'uomo è il suocero dabbene
che dopo il lauto pasto è sonnolento,
il babbo che ti vuole un po' di bene....
«Mamma!» tu chiami, e le sorridi e vuoi
ch'io sia gentile, vuoi ch'io le sorrida,
ch'io le parli de' miei viaggi; e poi,
poi quando siamo soli (oh come piove!)
mi dici, rauca, di non so che sfìda
corsa ieri tra voi; e dici dove,
quando, come, perchè; ripeti ancora
quando, come, perchè; chiedi consiglio
con un sorriso non più tuo, di nuora.
Parli d'una cognata quasi avara
che viene spesso per casa col figlio
e non sai se temerla o averla cara;
parli del nonno ch' è quasi al tramonto,
il nonno ricco del tuo Dino, e dici:
«Vedrai, vedrai se lo terrò da conto!»;
parli della città, delle signore
che già conosci, di giorni felici,
di libertà, d'amor proprio, d'amore....
Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
sono a Cesena e mia sorella è qui,
tutta d'un uomo ch'io conosco appena.
tra nuova gente, nuove cure, nuove
tristezze, e a me così parla, così
parla, senza dolcezza, mentre piove:
«La mamma nostra t'avrà detto che....
E poi si vede, ora si vede e come!...
Sì, sono incinta.... Troppo presto, ahimè!...
Sai che non voglio balia? che ho speranza
d'allattarlo da me?... Cerchiamo un nome....
Ho fortuna: è una buona gravidanza....»
Ancora parli, ancora parli; e guardi
le cose intorno. Piove. S'avvicina
l'ombra grigiastra. Suona l'ora. È tardi.
E l'anno scorso eri così bambina!
Da "Tatuaggi" di Nicola Moscardelli ecco questa breve poesia:
IL GRILLO
quando il tuono romba lontano
le rondinelle fuggono dal tetto,
ma nella stanza così nera
si sente il grillo della sera
che canta nel camino:
per riscaldarci il cuore
basta il canto d'un grillo canterino -
Per ora ho trovato queste due, ma ne cercherò ancora.
Altre poesie del 1916 estratte dalla rivista "La Brigata":
EliminaIL TUO SALUTO, LA SERA
di Sibilla Aleramo
Il tuo saluto, la sera,
gli occhi nell'ombra -
dall'ombra, e taci,
mi guardi, un minuto?
ferma nel mondo ogni vena
tacito aduni
gli addii della sorte,
la sera, con gli occhi
nell'ombra, ardi?
o piangi - ma forte
ma forte un minuto nel cuore
ogni vena mi ferma
il tuo saluto, la sera.
(luglio 1916)
CHIARITÀ NOTTURNA
di Sibilla Aleramo
Chiarità notturna, volo d'ore bianche, disteso cielo,
tendo la mia mano che vi stringe, e v'offro, v'offro.
Ci veda qualcuno. Non me, ma sola la mia mano che vi tiene,
ore fruscianti, grande sereno, spiaggia d'astri.
(luglio 1916)
DANZA ALLO SPECCHIO
di Massimo Bontempelli
Ti guardi? ti piaci
di piacere fremi.
Un poco tremi
in mezzo alla nebbia sola
donde emergesti nel giorno.
E onduli il corpo leggiero.
Ed ecco nel moto la nebbia si schiara
si fa lontana
ti affàscina lucida e piana,
è lo specchio creato
dalla tua solitudine trepida.
Mentre onduli il corpo leggiero
già l'altro tuto corpo leggiero
ti guarda ondulando di là
in faccia.
Alzi le braccia
giungi le mani sul capo
le tendi le insegui
con tutto il corpo in un volo
piegandoti al suolo lo sfiori
t'abbandoni nel ritmo limpido
che dai piedi ai capelli ti sventola
torcendoti come una fiamma mutevole.
Ridi.
Ridi e sfidi
all'amica tua lucida e morbida
che vola volteggia
e nel suo ritmo limpido
ride ti sfida ti ama.
Ti chiama.
Ma fuggi e ti giri. Ed un'altra
si gira e ti ride
dall'altro specchio che folgora
cento fiammette di luce
mentre cento altri corpi tuoi fulgidi
da cento altri specchi d'intorno
ti sventolano le create immagini
di te.
Perché
tu le guardi e per te danzano
per esse sei, anima,
per esse danzi e ti guardano
le cento creature velivole
che nelle lontane solitudini
labilmente serpeggiano
dai piccoli piedi alle chiome che si sciolgono
ai volti che bruciano
alle bocche che bisbigliano baci
ai mille occhi che lampi mandano.
Tutte le fiamme cantano
coi volti coi corpi cogli occhi
di tutto quel mondo di forme sole che bruciano e vivono
per te
di te
mentre danzi dinanzi allo specchio
la tua Danza immortale.
(ottobre/novembre 1916)
ELEGIA SUBURBANA
di Francesco Meriano
Tra l'umido garage ed il selciato
ubriaco di sole e di rumori,
subito un po' avvizzito e scolorato
v'è un praticello con dei bianchi fiori.
Lì, tra le rotte scatole di latta,
tra carta e stracci, bello m'è cercare
qualche margheritina stupefatta
o un fiordaliso del color del mare...
(ottobre/novembre 1916)