Il parco, il giardino
e l'orto sono tra i luoghi più citati e amati dai poeti simbolisti, decadenti,
crepuscolari e liberty. Si possono rintracciare infatti una enorme quantità di
versi dedicatigli. Questi luoghi hanno spesso delle caratteristiche comuni:
sono in abbandono, deserti; nel loro interno si possono incontrare statue e
fontane (anch'esse in stato di degrado e di incuria); in genere la stagione è
quella autunnale, il che comporta una copiosa caduta di foglie dagli alberi e
un tempo tra il grigio ed il piovoso, sì da rendere tali luoghi ancor più
tristi e squallidi. Molti critici, a tal proposito, hanno paragonato i
giardini-parchi-orti ad una sorta di rifugio dell'anima; in quei posti così
appartati, quasi segreti, è infatti possibile per i nostri poeti creare
immagini nate dai sogni, dalle nostalgie di un passato che ormai non c'è più,
da intimi desideri impossibili a realizzarsi. Insomma sono questi i territori
dove c'è l'opportunità di isolarsi aristocraticamente e vivere in un mondo al
di fuori del mondo. La desolazione che presentano, oltre ad esternare uno stato
di profonda demoralizzazione, dimostra la consapevolezza di essere in uno
stato di esclusione, di emarginazione se non di totale separazione; e ciò va
riferito anche alle loro aspirazioni: semplici, modeste, quasi insignificanti,
eppure impossibili, non realizzabili. Naturalmente, questo discorso vale
soprattutto per i poeti che gravitano intorno al crepuscolarismo; se si vuole
invece allargare la prospettiva, si notano differenti elementi, a volte legati
al mistero e alla favola, altre volte all'eros ed alla psiche. Più raramente (e
mi riferisco alle poesie di Palazzeschi) in questi delimitati spazi si osserva
la presenza di situazioni, forme ed entità assai inquietanti: frutti
avvelenati, muffe, fanghiglie, figure ombrose e misteriose che si aggirano
all'interno ecc. Per spiegare tal contesto bisogna risalire ad uno dei romanzi
decadenti per eccellenza: A ritroso di Joris-Karl Huysmans, dove si
ricorderanno le mostruose piante amate dal protagonista del romanzo, il quale
le fa arrivare dai luoghi più reconditi perché possano rendere il suo giardino
unico ed orrido nello stesso tempo.
Poesie sull'argomento
Diego Angeli:
"Il parco" e "Orto botanico" in "La Città di
Vita" (1896).
Diego Angeli:
"In un giardino di sera" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903"
(1904).
Antonio Beltramelli:
"Il giardino del dolore" in "I Canti di Faunus" (1908).
Dino Campana:
"Giardino autunnale" in "Canti Orfici" (1914).
Francesco Cazzamini
Mussi: "Nel giardino dell'osteria «La Vita»" in "Le allee
solitarie" (1920).
Giovanni Alfredo
Cesareo: "Flamma ardescens" in "Poesie" (1912).
Carlo Chiaves:
"Nel giardino del cuore" in "Tutte le poesie edite e
inedite" (1971).
Sergio Corazzini:
"Giardini" in "Dolcezze" (1904).
Gabriele D'Annunzio:
"Hortus conclusus" e "Hortus larvarum" in "Poema
paradisiaco" (1893).
Alfredo Galletti:
"Il giardino obliato" in "Odi ed elegie" (1903).
Luisa Giaconi:
"L'Orto" in «L'Idea Liberale», aprile 1895.
Luisa Giaconi:
"Il giardino chiuso" in «Il Marzocco», luglio 1897.
Luisa Giaconi:
"Orto antico" in «Il Marzocco», settembre 1897.
Cosimo Giorgieri
Contri: "Il vecchio giardino" in "Il convegno dei cipressi"
(1895).
Cosimo Giorgieri
Contri: "Giardino delle rosine" in "La donna del velo"
(1905).
Emilio Girardini:
"Giardino abbandonato" e "Il parco" in "Chordae
cordis" (1920).
Corrado Govoni:
"Giardini chiusi" in "Le fiale" (1903).
Corrado Govoni:
"Il giardino dell'anima" in "Gli aborti" (1907).
Corrado Govoni:
"Giardino antico" in "Poesie elettriche" (1911).
Luigi Gualdo:
"Nel parco" in Le nostalgie" (1883).
Amalia
Guglielminetti: "Vecchio parco" e "Il giardino segreto" in
"Le Seduzioni" (1909).
Marco Lessona:
"In giardino" e "Nel parco" in "Ritmi" (1902).
Marco Lessona:
"Il giardino" in "Versi liberi" (1920).
Giuseppe Lipparini:
"Il giardino" in "Lo specchio delle rose" (1898).
Nicola Marchese:
"Orto claustrale" e "Villa Pamphily" in "Le
Liriche" (1911).
Tito Marrone: "Desolazione"
in "Cesellature" (1899).
Tito Marrone:
"Corinna" in "Liriche" (1904).
Fausto Maria Martini:
"Il giardino di Psyche" in "Panem nostrum" (1907).
Pietro Mastri:
"Il giardino dei felici" in "La meridiana" (1920).
Marino Moretti:
"Hortus incultus" e "Angolo d'hortulus" in "Poesie
scritte col lapis" (1910).
Marino Moretti:
"Il giardino della stazione" in "Poesie 1905-1914" (1919).
Ada Negri: "Il
giardino dell'Adolescente" in "Dal profondo" (1910).
Aldo Palazzeschi:
"Parco umido" in "Lanterna" (1907).
Giovanni Pascoli:
"Nel giardino" in "Myricae" (1900).
Francesco ed Emilio
Scaglione: "Orto chiuso" in "Limen" (1910).
Emanuele Sella:
"Il giardino delle stelle" in "Il giardino delle stelle"
(1907).
Giovanni Tecchio:
"Il giardino" in "Canti" (1931).
Domenico Tumiati:
"Il rosaio" in "Liriche" (1937).
Carlo Vallini:
"Sola nel parco, a vespero.." in "La rinunzia" (1907).
Mario Venditti,
"L'amplesso" in "Il terzetto" (1911).
Giuseppe Villaroel:
"Giardino pubblico" in "La tavolozza e l'oboe" (1918).
Remigio Zena:
"Nell'orticello della mia coscienza" in "Le pellegrine"
(1894).
Testi
UN GIARDINO
ABBANDONATO
di Enrico Nencioni
Grigio-giallastro, di
lunghe striscie,
Di larghe macchie
d'umido, sordido,
Tutt'orlato di folte
gramigne,
Di selvatici fiori,
di musco;
Alto, remoto d'ogni
frequente
Strada, ermo, tacito,
inaccessibile
Qual di rigido
chiostro ove chiude
Il Carmelo sue sacre
colombe,
È il vecchio muro.
Largo cancello
A cui sormonta l'arme
Medicea,
Colle palle di pietra
consunte
E verdastre dal musco
di secoli.
Di punte armato, sui
ferrei cardini
Aspro-girante, rosso
di ruggine,
Apre il varco a un
antico giardino,
A un antico vial
fiancheggiato
Da verde-cupi alti
cipressi,
Che, come lunghi diti
di scheletri,
Sopra il cielo
d'autunno disegnano
Le lor file monotone
e triste.
Vecchi sedili di
pietra appaiono
Fra pianta e pianta.
Laggiù nel fondo
È una vasca con acqua
stagnante
Dove foglie
ingiallite galleggiano
Fitte, ed i morti
rami s' affollano
Presso le sponde.
Tremante Naiade
Su dal mezzo si leva
marmorea,
Obliato l'antico
zampillo
Che un dì slanciavasi
alto, e l'antico
Murmure, e i vispi
pesci dorati
Che guizzavan fra
l'acque purissime,
Sorridendo i
fanciulli alla sponda.
Oh! come in folla
tornano, accorrono,
E il petto m'agitan
care memorie!
Qui mia madre, allor
giovine donna,
Conducevami spesso
fanciullo.
Su quel muscoso banco
la vedo
Lunghe ore assisa col
suo ricamo,
Mentr'io lieto
gridando, correndo,
A lei porto le colte
viole.
Sovra il pensoso
magro tuo viso
Rideva, o madre, il
sol di maggio;
Ti cantavan sul capo
gli uccelli,
Ridea l'erba stellata
di fiori.
Ed ora, o madre, di
qualche argentea
Riga ho il crin
sparso: tu sottoterra
Sei distesa recente
cadavere,
Nè un tuo bacio più
asciuga il mio pianto.
Poi, quando i primi
rosei fantasimi
Al guardo attonito
risero, e l' anima
sentì il verso de'
grandi poeti,
Senti il palpito
primo d'amore;
Là sotto, pullulati
tra 'l putridume
Fradicio, rosei
funghi venefici;
Strane forme di
gelidi insetti
Lente strisciano in
quei labirinti.
Dove la giovine erba
spargevasi
Di margherite dal
seno d'oro,
Popolosa famiglia
d'ortiche
Gravi esala miasmi
d'attorno.
Poi quando abbuia
Novembre torbido,
Il pluvioso vento si
leva
Ed aggira le morte
tue foglie
Come l'alme del cerchio
ov'è Dido.
Rossastre, gialle,
grigie, violacee,
Luride, pallide di
pallor etico,
Ei le accumula in
funebri mucchii
Cui cementan la
pioggia e la neve.
Ma quando ai primi
tepidi soli
Di marzo il verde
ramarro scaldasi,
E sull'orme di neve
recente
La pervinca fiorisce
e la mammola;
Nelle prim'ore
pomeridiane,
Ai tuoi viali queti
s'avviano
Malinconici
visitatori
Che sol cercan la
pace e il silenzio.
Convalescenti pallidi
seggono
Un'ora al sole,
taciti, immobili:
Lunghe file di bimbe
precedono
Una Suora dal niveo
cappello.
E a rivederti,
vecchio giardino,
Anch'io ritorno;
torno diverso
Come te da quel
ch'ero, e dai casi
Assai più che dagli
anni, prostrato.
Siam due ruine,
vecchio giardino,
Siam due ruine sacre
alla morte.
Ma se brilla su te
gualche raggio,
E fra i cardi in te
spunta un sol fiore;
Se a me fra i gemiti
dal cuore esala
Un delicato sospir
d'affetto ;
Se un umano pensiero
io rivesto
Di un accento che i
cuori commova;
O malinconico vecchio
giardino,
O vecchio muro,
vecchi viali,
Non morremo
incompianti o esecrati.
Non avrem sempre
indarno vissuto!
(Da
"Poesie")
HORTUS CONCLUSUS
di Gabriele
D'Annunzio
Giardini chiusi,
appena intraveduti,
o contemplati a lungo
pe' cancelli
che mai nessuna mano
al viandante
smarrito aprì come in
un sogno! Muti
giardini, cimiteri
senza avelli,
ove erra forse
qualche spirto amante
dietro l'ombre de'
suoi beni perduti!
Splendon ne la
memoria i paradisi
inaccessi a cui
l'anima inquieta
aspirò con un'ansia
che fu viva
oltre l'ora, oltre
l'ora fuggitiva,
oltre la luce de la
sera estiva
dove i fiori
effondean qualche segreta
virtù da' lor feminei
sorrisi,
e i bei penduli pomi
tra la fronda
puri come la carne
verginale
parean serbare ne la
polpa bionda
sapori non terrestri
a non mortale
bocca, e più bianche
nel silenzio intente
le statue guardavan
la profonda
pace e sognavano
indicibilmente.
Qual mistero dal
gesto d’una grande
statua solitaria in
un giardino
silenzioso al vespero
si spande!
Su i culmini dei
rigidi cipressi,
a cui le rose cingono
ghirlande,
inargentasi il cielo
vespertino;
i fonti occulti
parlano sommessi;
biancheggiano ne
l’ombra i curvi cori
di marmo, ora
deserti, ove s’aduna
il concilio degli
ultimi poeti;
tenue su la messe
alta dei fiori
passa la falce de la
nova luna;
ne l’ombra i fonti
parlano segreti;
rare sgorgan le
stelle, ad una ad una;
un cigno con remeggio
lento fende
il lago pura imagine
del cielo
(desìo d’amori umani
ancor l’accende?
memoria è in lui del
nuzial suo lito?)
e fluttua nel lene
solco il velo
de l’antica
Tindaride, risplende
su l’acque il lume de
l’antico mito.
Di sovrumani amori
visioni
sorgono su da’ vasti
orti recinti
che mai una divina a
lo straniero
aprirà coronata di
giacinti
per lui condurre in
alti labirinti
di fiori verso il
triplice mistero
cantando inaudite sue
canzoni.
Ma quegli, folle del
profumo effuso
dal cor degli
invisibili rosai,
chino a la soglia
come quando adora,
pieni d’un sogno non
sognato mai
gli occhi mortali,
giù per l’ombre esplora
nel profondo
crepuscolo in confuso
il dominio silente
ch’egli ignora.
Così la prima volta
io vi guardai
con questi occhi
mortali. Voi, signora,
siete per me come un
giardino chiuso.
(Da "Poema paradisiaco")
PARCO UMIDO
di Aldo Palazzeschi
Il parco è serrato
serrato serrato,
serrato da un muro
ch'è lungo
le miglia le miglia
le miglia,
da un muro coperto di
muffe,
coperto di verdi
licheni,
grondante di dense
fanghiglie.
Né un varco soltanto
nel parco traspare
né un foro vi luce,
soltanto si posson le
muffe cadenti
vedere, soltanto
le dense fanghiglie
grondanti.
Altissimi i cedri ne
passano il muro,
i pini dal fusto
robusto ne sporgon l'ombrello
s'innalzan cipressi,
rossastre magnolie,
e salici, e salici
tanti
piangenti di pianti lontani,
che mischian sul muro
cadenti
le lagrime ai verdi
licheni,
a grige fanghiglie
grondanti.
Di fuori ecco il
parco serrato,
serrato da un muro
eh'è lungo le miglia
e le miglia.
Fra l'ombre, fra
l'ombre potenti
nel folto degli
alberi grandi
soltanto tre donne
s'aggirano lento,
bellissime donne:
Regine Parenti.
S'aggirano lento in
silenzio
ne l'ombre del parco
serrato,
pesante trascinano il
manto di lutto, le Donne,
coperte da un velo
che appena il pallore
del volto ne scopre.
(Da
"Lanterna")
Santiago Rusinol, "Giardino abbandonato" |
Salve, non posso che farle i miei complimenti (tardivi rispetto alla data del post, ma ho scoperto solo ora questo sito facendo le mie ricerche) per questa raffinatissima antologia su un tema della poesia italiana che ho sempre amato: orti, giardini miisteriosi... Nel periodo tra futurismo (non alla Marinetti ma inteso come "govoniano") e crepuscolarismo.
RispondiEliminaVeramente un gioiello da conservare.
Grazie!