Lirica è il titolo di una rivista che nacque a Roma, grazie all'iniziativa di Arturo Onofri, nel gennaio del 1912. La sua vita fu breve (durò soltanto due anni) ma intensa: nelle sue pagine, infatti, trovarono modo di pubblicare interessantissimi versi e prose, alcuni giovani intellettuali vogliosi di rinnovamento; lo stesso fondatore, insieme a Vincenzo Cardarelli, Giuseppe Antonio Borgese, Teofilo Valenti, Aurelio Enrico Saffi, Armando De Santis, Giorgio Vigolo e altri ancora, avevano la precisa intenzione di rompere con gli schemi tradizionali della nostra letteratura ed intraprendere nuove strade, avendo come riferimento alcuni paesi europei (Francia e Germania in primis). L'ultimo numero di Lirica uscì nel dicembre del 1913. Ecco, infine, tre testi poetici molto belli, pubblicati per la prima volta sulla rivista romana.
Da "APPUNTI"
di Aurelio Enrico Saffi (1890-1976)
Oh, dalla terrazza sul mare, le vele piccole e nebbiose di lontananza! - le più lontane vele che tocca lo sguardo.
A l'oriente declina il temporale e il giorno battuto e stanco si adagia in un poco di sole, tenero, arridente, prima che muoia:
da l'oriente escono, vengono nel sole le vele,
verso la terra ferrigna, sfavillante di fuochi al tramonto;
e ciascuna porta cuori solidi e tranquilli;
i marinai contenti di riabbracciare, sotto le prime stelle, le loro donne rassicurate.
(da «Lirica», aprile 1912)
ADDORMENTARSI
di Arturo Onofri (1885-1928)
Vaghe torme d'ombre intorno al letto;
per l'insonnia buia i miei ricordi
nel silenzio fanno a colpi sordi
un rullìo di febbre sul mio petto…
Siete voi, che in un attimo ho scorte,
ombre antiche d'amore e di morte?
Non intendo che il rullìo febbrile
annegarsi nel fluir dell'ore;
ma improvviso, in fondo al muto orrore,
scatta il bronzeo cuor d'un campanile:
campanile che batte in eterno,
cuore d'angelo, cuore d'inferno.
Ora ascolto: il tempo a mano a mano
goccia al fondo dell'eternità;
senza fine cade, e niuno sa
che l'abisso è il mio mistero umano.
Campanile, non battere più!
L'orologio son io, non sei tu.
Una stilla è ogni attimo, che piove
nel padule nero del ricordo,
e, cadendo in un gocciolìo sordo,
lo rincrespa di speranze nuove.
Ora taci, stillìo secolare!
Sono stanco del troppo sperare.
In silenzio un roseo velo cala
sui miei occhi, nella notte fissi,
ma nel fondo di fiorenti abissi
mi trasogno allo svolar d'un’ala,
e quest'ombra di morte mi culla
nel riposo infinito del nulla…
(da «Lirica», giugno 1912)
HOMO SUM
di Vincenzo Cardarelli (Nazzareno Caldarelli, 1887-1959)
Io pago tutto.
Non c'è mica un peccato
che io non abbia, finora,
debitamente scontato.
Ho un organismo vitale
che vuole, contrariamente
al Diavolo di Goethe,
vuole il Bene e fa il Male.
Pensate quale puntualità,
e che liste di conti da saldare!
Ai cursori d'Iddio
l'uscio della mia casa è sempre aperto.
E spesso delle loro intimazioni,
prevenendole,
io stesso senz'attenderli mi faccio esecutore.
Sì che quand'essi giungono,
ritto sull'uscio, li fermo
e li rimando dicendo:
- Amici, sono anch'io
cursore e complice d'Iddio.
Che dunque venite a fare
se il debito è già pagato? -
Qualche teologo in tale
inammissibile complicità
sillogizzando
pone il principio della santità.
Beate le terrestri creature
- vuol dire il teologo -
che non peccano senza martirio,
che accenderanno, per uscirne,
fuochi nella gran selva;
e quivi con essa bruceranno,
olocausto docile a Dio,
senza pensare a fughe di Caino!
Quanto a me volentieri
mi piacerebbe peccare
senza pentimento,
trincare senza scotto,
rompere il fato d'Iddio
con fortunate licenze;
e vi dico in verità
che senza indugio darei,
se pur l'avessi,
a qualche persona proba
che stima d'averla e non l'ha,
l'anima mia di santo,
per un poco d'allegra umanità.
(da «Lirica», dicembre 1913)
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