La Diana è il titolo di una rivista letteraria, nata a Napoli nel
gennaio del 1915 grazie all’iniziativa di tre intellettuali italiani: Gherardo
Marone (1891-1962), Mario Cestaro (1894-1918) e Fiorina Centi. Fu però il primo
di costoro, a dirigere la rivista dalla sua comparsa, fino all’ultimo numero
del marzo 1917. La Diana nacque in
sordina, ma poi trovò la sua strada ed ebbe il merito di ospitare, tra le sue
pagine, poeti di grande valore come Giuseppe Ungaretti, Corrado Govoni ed
Arturo Onofri. La svolta decisiva avvenne a partire dal 1916: anno in cui la rivista
napoletana prese definitivamente le distanze dal futurismo, schierandosi
apertamente a favore della poetica neoliberista e del frammentismo. Chiudo
riportando due poesie e una prosa poetica pubblicate per la prima volta sulla Diana.
FINESTRE
di Diego Valeri (1887-1976)
Case nel sole:
una striscia di giallo,
di scialbo
giallo, su prati nevati.
(Alberi, dietro:
alti pioppi sfumati
dentro un sottile
pulviscolo d'oro)
Lucide chiazze di
cupo viola
sui tetti
bianchi: la neve si sfa.
Finestre aperte;
bucato a festoni;
donne
affacciate... È l'inverno che va...
(da «La Diana»,
25 maggio 1916)
MALINCONIA
di Giuseppe
Ungaretti (1888-1970)
Calante tristezza
per il corpo avvinto al suo destino
Calante notturno
abbandono
di corpi a
pien’anima
presi
nel silenzio
vasto
che gli occhi non
guardano
ma un’apprensione
di quest'orologio
ch'è il cuore
Abbandono dolce
di corpi
pesanti d’amaro
labbra rapprese
in tornitura di
baci
lontani
voluttà di corpi
estinti
d'insaziabili voglie
Mondo
giro volubile di
razzi
alla spasimante
passione
attonimento di
mill'occhi
in una gita folle
in una gita
di pupille
amorose
In una gita
evanescente
come la vita cche
se ne va
col sonno
e domani
riprincipia
e se incontra la
morte
dorme soltanto
più a lungo.
(da «La Diana»,
31 luglio 1916)
LAGO DI NEMI
di Arturo Onofri (1885-1928)
Lungo il sentiero che strapiomba a precipizio
sul lago, andiamo uno dietro l'altro a ridosso della muraglia ove la rossa vite
straniera serpeggia delicatamente i suoi rampicati ricami sanguigni.
Lontano si vede, a picco sull'acqua di
cristallo, il turchino pesto delle forre ove l'ombra come un ingorgo denso è
rappresa fra le vegetazioni selvagge.
Nel polverio delle lontananze di rosa,
s'indovina ancora assopito il celeste mattutino del mare.
(da «La Diana»,
novembre-dicembre 1916)
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