domenica 3 dicembre 2023

Poeti dimenticati: Cesare Angelini

 

Nacque ad Albuzzano nel 1886, e morì a Pavia nel 1977. Figlio di contadini, frequentò il seminario e a ventitré anni diventò sacerdote. Iniziò subito ad insegnare nel seminario di Cesena; nella città romagnola conobbe il critico Renato Serra; quest’ultimo fu determinante per la futura passione di Angelini nei confronti della letteratura. Cominciò così a collaborare, con scritti religiosi, prose artistiche e poesie, a diverse riviste, tra le quali Romagna, La Voce, La Festa e Nuova Antologia. Pubblicò molti libri di saggi e di prose; ben pochi sono invece i versi veri e propri che Angelini scrisse e che sporadicamente compaiono in alcuni dei suoi volumetti di prose. La sua poesia - e soprattutto la sua prosa poetica - si rifà al frammentismo vociano; nei pochi versi che il religioso lombardo decise di pubblicare, si nota una netta preferenza verso le forme metriche tradizionali; i suoi temi preferiti sono la bellezza della natura, la descrizione dei paesaggi dei luoghi dove visse e le ricorrenze stagionali.

 

  

 

Opere poetiche

 

“I doni del Signore”, Stab. Tip. Grazzini, Pistoia 1932.

“Acquerelli”, La Scuola Editrice, Brescia 1948.

“I frammenti del sabato”, Garzanti, Milano 1952.

“Autunno (e altre stagioni)”, Rebellato, Padova 1959.

“Questa mia Bassa (e altre terre)”, All’Insegna del Pesce d’Oro, Milano 1970.

“Il piacere della memoria”, All’Insegna del Pesce d’Oro, Milano 1977.

 

 


 

 

Presenze in antologie

 

“Natale in poesia. Antologia dal IV al XX secolo”, Interlinea, Novara 2000 (p. 109).

“Natale dei poeti”, Ancora Editrice, Milano 2001 (p. 14).

“Pasqua dei poeti”, Ancora Editrice, Milano 2003 (pp. 15-16).

 

 

 

 

Testi

 

 

QUALCHE FIORE D'AUTUNNO

 

Giunti a questa pace, l'autunno sceglie fiori per quadri che vuol dipingere qua e là; e essi s'impegnano a durare in colori che più fini la liturgia non ha: certi violavescovo, certi verdepascolo... Colori profondi, meditativi, di stoffe antiche, dimenticate nei cofani.

  Creature d'una stagione un poco umiliata, i fiori d'autunno rischiano d'esser più belli di quelli allevati nelle stagioni ricche e estrose, anche se di risultato meno vistoso. Non vivono nei poemi, non adornano conviti, non amano lusinghe di profumi; in compenso hanno alcunché di domestico che ci tocca dentro. Fiori lisci, leali, espansivi; la loro lode è nel Vangelo: "Guardate i fiori del campo..." Due o tre che si trovino insieme, magari sullo sfondo d'un bel lapazio, badano a far stagione, a fare autunno. E ci fanno sentire il piacere e la mestizia dell'esistere; quella malinconia che occorre perché la bellezza sia piena.

 

[da "Autunno (e altre stagioni)", Rebellato, Padova 1959, p. 17]

 

 

 

 

NOVEMBRE

 

Novembre, l’anno è giunto ai suoi riposi

e lento alla campagna ora passeggia;

sottoboschi e tappeti immaginosi

l’accolgon come re nella sua reggia.

 

Eco di soli ultimi, lumeggia

il platano tra salici pietosi;

nell’inerzia del giorno che vaneggia

una timida estate par che osi.

 

Ma un inutile lusso è la tua estate,

San Martino. Novembre pensa ai morti,

e l’inverno vien dietro a gran giornate.

 

Così, tra nebbia e sogno, il mesto mese

su stanchi rami di alberi assorti

muore, entro un vago scampanio di chiese.

 

(da "Il piacere della memoria", All'Insegna del Pesce d'Oro, Milano 1977, p. 115)

 

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