I.
Il bimbo guarda
alla finestra fiocchi
taciti ch'empion
turbinando l'aria,
guarda la strada
bianca e solitaria
che non ha che un
ombrello e due marmocchi,
e guarda la
casina dirimpetto
ch'è agghiacciata
dal vento e dalla bruma,
ma che pur nel
silenzio algido fuma
con la pipa del
suo comignoletto.
Sorride il bimbo
nel suo caldo covo
ed è stupito
perché i fiocchi a un tratto
d'un paesello
nero e vecchio han fatto
un paesello tutto
bianco e nuovo.
II.
Son io quel bimbo
forse. Io le mie calde
guance schiaccio
sul vetro intirizzito
e non rispondo al
monellesco invito
della neve che
cade a larghe falde.
Son io che guardo
e penso, io che li scruto,
bella neve
scolastica irreale
che vesti le
vacanze di natale
col tuo candido
sogno di velluto!
Son io che
attendo sul poggiuolo antico,
quasi imitando
inconscia una figura
del retorico
libro di lettura,
il retorico
passero mendico!
III.
Palle di neve
turbinano fuori.
Palle di neve! In
un più dolce mese
chi le chiamò col
bel nome francese:
boules-de-neige?
Fu in giardino: erano fiori.
Erano fiori; era
una bella amica.
Ora sono i
monelli, ora, i marmocchi.
Cade al neve a
lunghe falde, a fiocchi,
a farfalline,
bianca, azzurra, antica.
Oscilla, s'alza,
s'abbatte, s'abbassa.
I vetri col mio
fiato umido appanno:
scrivo col dito
il giorno, il mese, l'anno
in cui son
nato... Il tempo, come passa!
IV.
E l'anno muore, e
in me qualcosa muore,
qualche piccola
cosa intirizzita.
Ah, ch'io non
veda più nella mia vita,
ch'io non mi
svegli più dal mio stupore!
Ch'io veda solo
nel mio sogno breve,
nel mio bel sogno
immobile infecondo,
ch'io guardi
appena da un pertugio il mondo
fatto più buono e
nuovo nella neve!
E l'anno muore,
soffice; e laggiù,
nel mio laggiù
più fondo entro il mio cuore,
qualche altra
cosa. Tutto ciò che muore
- è vecchia fola
- non torna mai più.
Dicembre, 1912.
(da «Aprutium»,
dicembre 1913)
Elegia di fine d’anno è il titolo di una poesia di Marino
Moretti (Cesenatico 1885 – ivi 1979) che fu pubblicata nella rivista Aprutium del dicembre 1913. Secondo me è
una poesia molto bella; eppure, dopo questa occasione, lo scrittore romagnolo
non la ripropose più nei volumi di versi che successivamente fece uscire, a
partire dal 1916 (anno della raccolta Il
giardino dei frutti). Nelle dodici quartine - divise in quattro capitoli -
di cui si compone la poesia che ho qui sopra trascritto, riemergono diversi temi
cari al poeta cesenaticense: il ricordo e il rimpianto per l’infanzia perduta;
la ritrosia che sempre lo caratterizzò, qui espressa nella non partecipazione
al clima di festa che domina la scena; il sentirsi morire un poco ogni giorno
(sensazione accentuata dal contesto di fine anno), e infine l’immancabile
malinconia che si mimetizza solo in parte, grazie ad una intelligente ironia.
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