domenica 17 dicembre 2023

La poesia di Enrico Pea

 

La poesia di Enrico Pea (Serravezza 1881 – Forte dei Marmi 1958) rappresenta un “unicum” nel panorama italiano del XX secolo, perché risulta praticamente impossibile accostarla a qualsivoglia autore o scuola che lo ha preceduto o che nasceva nello stesso periodo in cui lo scrittore toscano componeva i suoi versi. Più di qualcuno lo volle inserire tra gli intellettuali vicini alla rivista La Voce, ma a mio avviso c’è ben poca somiglianza con costoro, malgrado Pea abbia pubblicato dei versi nelle pagine della famosa rivista fiorentina. Come hanno affermato i critici più attenti, la poesia di Pea ha molto a che vedere con alcuni versi popolari o, addirittura - come egli stesso asserì -, trova una sincera e spiritualissima ispirazione dalla lettura della Bibbia (non pochi sono i riferimenti religiosi già dal primo libro del 1910). Allo stesso tempo, non errarono coloro che individuarono i legami tra i versi di Pea e la terra ove nacque; da qui la messa a fuoco di figure del popolo, amori appassionati, usanze, credenze e quant’altro fosse inerente ai luoghi dove il poeta visse la sua gioventù, prima di emigrare in Egitto, dove lavorò per anni e dove conobbe Giuseppe Ungaretti; fu costui che lo incoraggiò, facendogli vincere una certa riluttanza, a pubblicare i suoi scritti. Certo è che l’opera letteraria di Pea è fatta soprattutto di ottima prosa; la parte poetica, in quantità decisamente inferiore, fu pubblicata da Enrico Falqui nel volume Arie bifolchine (1943), e da allora, a quanto ne so, non trovò più un editore né un critico intenzionato a riproporla; tant’è che Pea, oggi, andrebbe trattato come un vero e proprio poeta dimenticato. Ecco, dopo l’elenco delle sue opere in versi, tre poesie di Enrico Pea.

 

 


 

 

Opere poetiche

 

"Fole", Industrie Grafiche, Pescara 1910.

"Montignoso", Puccini, Ancona 1912.

"Lo Spaventacchio", Edizioni de «La Voce», Firenze 1914.

"Arie bifolchine", Vallecchi, Firenze 1943.

 

 

 

 

Testi

 

 

O SPERANZA, O INVISIBILE CREATURA

 

O speranza, o invisibile creatura,

tu sei come lo spirito di Dio

che vive dentro il fuoco e sta sotterra

in sepoltura senza soffocare,

che soffia nell'oceano e arruffa l'acqua:

che fa fremere gli alberi giganti.

Tu sei come lo spirito di Dio,

o mia creatura, ed io ti son l'albergo.

 

Io son l'albergo della mia creatura

che non ha bocca per maledizioni,

che non ha occhi per veder vicino.

 

Io son l'albergo della sposa

che ride poco, che non piange mai,

che si rinnova sui fianchi il grembiule,

che fa le su' faccende e non fatica,

che tesse, munge; e ammannisce la mensa

e canta il Maggio della mia Versilia.

 

Che ride poco, che non piange mai,

che canta sempre e sempre sottovoce,

che falcia il grano e falcia la pastura,

che falcia il fieno, il rusco e non si taglia;

che pota i gelsi per i suoi bechini,

ma la gonnella se la fa di tozzi;

che tiene alle finestre della casa

l'olivo secco per benedizione

e in fondo al suo cascione di castagno

i mazzetti di spigo e di lumencristi;

che vede già le lucciole nei campi,

che sta sull'uscio e guarda le Apuane

tutte inverdite dalla primavera;

che svelge i fiori gialli per il grano

e le vecce e i papaveri cappucci

per i festoni della marginetta

e infigge le candele sui rocchetti

e toglie le lumache dai lor gusci

e mura i gusci perché faccian lume:

perché facciano lume alla Regina

e lume a quelli che stanno lontano.

 

(da «La Riviera Ligure», marzo 1914)

 

 

 

 

SPOSE ILLIBATE A CRISTO, ANGELI IN CARNE

 

Spose illibate a Cristo, angeli in carne,

o voi che state sui ginocchi prone

senza soffrire, o voi che confinate

vi pascete di sogni ed obliate

i travagliati amori oltre il rosaio

arrampicato al muro del giardino:

Maggio rose fiorite ciel turchino

o dormiveglia anticipazione

di paradiso. Biancofidanzate

che avete intorno all'iride la grazia

e custodite fiori e sogni d'alba

negli orti e nelle bare sottoterra.

Voi ch'emigrate senza lasciar traccia

e senza ombra come il venticello

il cui alito appena appena appena

sfiora oggi i cipressi secolari.

 

Oggi è piovuto il bossolo è più chiaro

le foglie grasse han perduto l'amaro.

 

È piovuto sull'erba da falciare

e sulle pietre che sbavano il nero.

 

Tremano l'erbe e passano i carriaggi

seminano l'argento le lumache.

 

quel mese giallo ch'è sverginatore

ha pianto troppe stille di rugiada.

 

L'erba dei campi si muta vestito

si veste di fuoco pel nuovo marito.

 

I cipressi han le coccole mature

stentineranno la semenza rossa.

Sulle crepe del muro già l'ortica

contrasta con l'erbetta borraccina.

Un bugno lascia traboccare il miele

giù per i rami d'un rosaio nano:

Aiuto! Aiuto! ronzano le api.

 

È maggio, e sui cipressi popolati

si traffica d'amore, si fan case

senza tettoia perché il tempo è poco.

 

(da «La Voce», 30 aprile 1916)

 

 

 

 

NINNA-NANNA VERSILIESE

 

Dondolino dondolano

per tre soldi un pan di grano...

Ninna-nanna è l'ordinotte;

ninna, l'ore mattutine

scendon giù dal campanile:

sciò, sciò, via dalle campane,

spaventate dai batocchi

impazziti all'improvviso...

 

Chiara spia dalle persiane:

per la bimba tutta occhi

spunta il sole in paradiso.

 

Dondolino

dondolano

per tre soldi

un pan di grano

benedetto

dal piovano.

 

Acqua di gronda

fior di farina

tre belluccette

per la Regina.

 

Il mulino sta lontano

altro è a dire e altro è a ire:

per la guazza camminare

la gonnella inzaccherare,

scappucciar la mascherina

agli zoccoli da festa,

per andare alle molina

con un bolgio sulla testa:

un bolgio di uno staio e piue

arrivar sino lassue!

 

Altro è dire e altro è a ire,

altro è il pane benedire.

 

Dondolino dondolano

per tre soldi un pan di grano...

 

Ninna-nanna è l'ordinotte;

ninna, all'ora mattutina

s'addormenta mi' bambina.

 

(da "Arie bifolchine", Vallecchi, Firenze 1943, pp. 134-136)

 

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