domenica 19 novembre 2023

"Inviti superflui"

 

Inviti superflui è il titolo di uno dei Sessanta racconti scritti da Dino Buzzati (San Pellegrino di Belluno 1906 – Milano 1972) e pubblicati dalla Mondadori di Milano a partire dal 1958. Il racconto che segue questa breve dissertazione, proviene dall’edizione facente parte della collana “Oscar Moderni” del 2021; più precisamente è il racconto numero 17, e si trova alle pagine 162-165 di detto libro.

Personalmente considero Inviti superflui il più bello e intenso tra i Sessanta racconti di Buzzati; è anche il più distante dal contesto generale delle vicende qui narrate. In pratica, a me sembra una sorta di lettera immaginaria, mai spedita dall’autore, diretta ad una donna da lui fortemente amata. Tale donna si è allontanata definitivamente dallo scrittore, il quale però non ha affatto smesso si amarla, e forse inconsciamente spera ancora in un suo ritorno; da qui nascono una serie di desideri espressi in modo altamente poetico e fantasioso dall’innamorato, che sogna ad occhi aperti situazioni e presenze di varia natura, in grado di generare sensazioni possibili e impossibili che potrebbero provare i due, qualora la donna improvvisamente facesse ritorno, e volesse iniziare una relazione con lo scrittore. L’uomo immagina che i due innamorati siano sempre in compagnia, in luoghi e stagioni diversi, che lo scrittore conosce perfettamente e che adora; e la donna, in perfetta sintonia coi pensieri dell’amato, potrebbe adorarli con la stessa intensità, poiché le anime dei due diverrebbero una sola. Ma ogni situazione immaginata, dopo una travolgente estasi spirituale, si conclude con un avvilente ritorno alla realtà, caratterizzato dall’amara consapevolezza che tutte le ipotetiche storie paventate non sono altro che astrazioni; il motivo risiede nell’idealizzazione della persona amata dallo scrittore, che all’inizio la vede diversamente da come è; poi l’uomo smette di sognare, ma fino ad un certo punto; afferma infatti che si accontenterebbe soltanto di avere la donna accanto a sé, con tutte le differenze di carattere e di pensiero: la sua sola presenza basterebbe a farlo felice, e, forse, anche la stessa donna potrebbe esserlo, paga dell’amore che prova il suo compagno nei suoi confronti (e che lei, tra l’altro, non ricambierebbe). Infine, lo scrittore finalmente comprende che la donna da lui follemente amata se n’è andata per sempre, e neppure lontanamente pensa più a lui.

Una serie di intense sensazioni ed emozioni, si dipanano per tutto il racconto, partoriti e sorretti da una immaginazione particolarmente accentuata; a queste fanno regolarmente seguito cadute dolorose, che si collegano ad una finale visione realistica e consapevole precedentemente assente; sicuramente tali stati d’animo contrastanti, che iniziano con visioni fantastiche ed entusiasmanti, e terminano con ragionati e disillusi ritorni alla realtà, sono stati vissuti da chissà quante persone, che hanno idealizzato una figura femminile per cui provavano una straordinaria attrazione (e la stessa cosa sarà accaduta anche a sessi invertiti). Questo racconto altro non è che una poesia in prosa, in cui Buzzati, probabilmente, parla di un’esperienza personale, e lo fa in modo particolarmente coinvolgente. Concludo raccomandando fortemente a tutti questo libro, poiché insieme ad Inviti superflui, qui sono raccolti altri 59 racconti molto belli, da leggere e rileggere così come Il deserto dei Tartari: romanzo capolavoro di Buzzati che amo più di ogni altro. Ecco, infine, Inviti superflui.

 

 


 

 

INVITI SUPERFLUI

di Dino Buzzati

 

Vorrei che tu venissi da me una sera d'inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. "Ti ricordi?" ci diremo l'un l'altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento. Ma tu - ora mi ricordo - non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d'Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d'inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei "Ti ricordi?", ma tu non ricorderesti.

 Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell'anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date ore vaga la poesia, congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre della città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola. Ma tu - adesso mi ricordo - mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l'anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all'ora giusta l'incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti d'essere stanca; solo questo e nient'altro.

 Vorrei anche andare con te d'estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l'acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dai prati e qui, distesi sull'erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu diresti "Che bello!" Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora.

 Ma tu - ora che ci penso - tu ti guarderesti intorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata ad esaminare una calza, mi chiederesti un'altra sigaretta, impaziente di fare ritorno. E non diresti "Che bello!", ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.

 Vorrei pure - lasciami dire - vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di se una specie di musica. Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell'uomo. Ma tu - lo capisco bene - invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall'estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni. Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d'oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo.

 È inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d'estate o d'autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare - ti prometto - gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all'amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo e donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.

 Ma tu - adesso ci penso - sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso tra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.

 

(da "Sessanta racconti", Mondadori, Milano 2021, pp. 162-165)

 

 

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