domenica 4 giugno 2023

"Ossi di seppia" di Eugenio Montale

 

Eugenio Montale (Genova 1896 - Milano 1981), ovvero il poeta italiano del Novecento più considerato e celebrato unanimemente, da critica e pubblico, non è tra i miei poeti prediletti; ciò nonostante, mi sono piaciute e tutt’ora mi piacciono parecchie sue poesie; la maggior parte di esse, si trovano nell’opera prima dello scrittore ligure: Ossi di seppia, che fu pubblicata dall’editore Gobetti di Torino nel 1925. Io lessi l’intera raccolta, quando, tanti anni fa, ne comperai una delle tante ristampe (nel mio caso quella edita dalla Mondadori di Milano nel 1992).

Inizio col dire che Ossi di seppia non ha le caratteristiche delle opere poetiche successive di Montale: Le Occasioni e La Bufera e altro; in questi versi, che pure, a volte non sono facili alla comprensione, si nota una maggior chiarezza, e quindi una più elevata possibilità di percepire il pensiero del poeta, che pure, spesso si esprime in un linguaggio tecnico, facendo uso di molti termini arcaici. Fondamentale, in questa raccolta, è la descrizione del paesaggio ligure, immortalato soprattutto nelle ore meridiane, d’estate, quando la luce non dà scampo. Questi paesaggi assolati e aridi, divengono il simbolo del “male di vivere”, della totale assenza di Dio e di un pessimismo esistenziale che molto ricorda Giacomo Leopardi. E, a proposito di poeti che hanno influenzato Montale nella scrittura delle poesie degli Ossi, si potrebbero citare i nomi di Pascoli, D’Annunzio, o dei poeti liguri più vecchi di diverse generazioni (Roccatagliata Ceccardi e i fratelli Novaro); ma, probabilmente, è Camillo Sbarbaro il poeta più vicino ai primi versi di Montale - tra l’altro, negli Ossi c’è una sezione a lui dedicata -, soprattutto per quel senso d’estraneità alla vita di cui diviene “spettatore inerte” (Pier Vincenzo Mengaldo), e per la conseguente indifferenza ai fatti e alle vicende umane. Montale, quasi sempre, parla in negativo: può soltanto andare per esclusione e quindi stabilire ciò che non è o non vuole; per il resto, il poeta non è in grado di affermare nulla, non possiede alcuna verità. In questo preciso contesto, Montale mostra affinità anche coi poeti crepuscolari, e in particolare con Gozzano, il quale aveva ben compreso, circa dieci anni prima, che i poeti, nella società moderna, avevano definitivamente perso d’importanza, e quindi erano costretti a parlare soltanto di piccole o buone cose della vita di tutti i giorni, escludendo dai loro versi argomenti troppo impegnativi. C’è infine da ricordare che tale sfiducia per gli esseri umani e, più in generale, per il futuro, nasceva in quegli anni, a causa della recente salita al potere della dittatura fascista. Chiudo, trascrivendo, dal volume da me posseduto, tre fra le poesie che preferisco, facenti parte della raccolta Ossi di seppia.

 

 



 

I LIMONI

 

 Ascoltami, i poeti laureati

si muovono soltanto fra le piante

dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.

Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi

fossi dove in pozzanghere

mezzo seccate agguantanoi ragazzi

qualche sparuta anguilla:

le viuzze che seguono i ciglioni,

discendono tra i ciuffi delle canne

e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

 

Meglio se le gazzarre degli uccelli

si spengono inghiottite dall'azzurro:

più chiaro si ascolta il susurro

dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,

e i sensi di quest'odore

che non sa staccarsi da terra

e piove in petto una dolcezza inquieta.

Qui delle divertite passioni

per miracolo tace la guerra,

qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza

ed è l'odore dei limoni.

 

Vedi, in questi silenzi in cui le cose

s'abbandonano e sembrano vicine

a tradire il loro ultimo segreto,

talora ci si aspetta

di scoprire uno sbaglio di Natura,

il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,

il filo da disbrogliare che finalmente ci metta

nel mezzo di una verità.

Lo sguardo fruga d'intorno,

la mente indaga accorda disunisce

nel profumo che dilaga

quando il giorno più languisce.

Sono i silenzi in cui si vede

in ogni ombra umana che si allontana

qualche disturbata Divinità.

 

Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo

nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra

soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.

La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta

il tedio dell'inverno sulle case,

la luce si fa avara - amara l'anima.

Quando un giorno da un malchiuso portone

tra gli alberi di una corte

ci si mostrano i gialli dei limoni;

e il gelo del cuore si sfa,

e in petto ci scrosciano

le loro canzoni

le trombe d'oro della solarità.

 

(da "Ossi di seppia", Mondadori, Milano 1992, pp. 9-10)

 

 

 

 

MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO

 

Meriggiare pallido e assorto

presso un rovente muro d'orto,

ascoltare tra i pruni e gli sterpi

schiocchi di merli, frusci di serpi.

 

Nelle crepe dei suolo o su la veccia

spiar le file di rosse formiche

ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano

a sommo di minuscole biche.

 

Osservare tra frondi il palpitare

lontano di scaglie di mare

mentre si levano tremuli scricchi

di cicale dai calvi picchi.

 

E andando nel sole che abbaglia

sentire con triste meraviglia

com'è tutta la vita e il suo travaglio

in questo seguitare una muraglia

che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

 

(da "Ossi di seppia", Mondadori, Milano 1992, p. 40)

 

 

 

 

Da “MEDITERRANEO”

 

Dissipa tu se lo vuoi

questa debole vita che si lagna,

come la spugna il frego

effimero di una lavagna.

M’attendo di ritornare nel tuo circolo,

s’adempia lo sbandato mio passare.

La mia venuta era testimonianza

di un ordine che in viaggio mi scordai,

giurano fede queste mie parole

a un evento impossibile, e lo ignorano.

Ma sempre che traudii

la tua dolce risacca su le prode

sbigottimento mi prese

quale d’uno scemato di memoria

quando si risovviene del suo paese.

Presa la mia lezione

più che dalla tua gloria

aperta, dall’ansare

che quasi non dà suono

di qualche tuo meriggio desolato,

a te mi rendo in umiltà. Non sono

che favilla d’un tirso. Bene lo so: bruciare,

questo, non altro, è il mio significato.

 

(da "Ossi di seppia", Mondadori, Milano 1992, pp. 79-80)

 

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento