Solaria è il titolo di una rivista letteraria italiana che fu pubblicata a Firenze, presso l’editore Parenti, tra il 1926 ed il 1934. I promotori di Solaria furono Alberto Carocci, Raffaello Franchi, Eugenio Montale e Bonaventura Tecchi; Carocci diresse Solaria dal primo numero (gennaio 1926) all’ultimo (maggio 1934); insieme a lui, si alternarono due condirettori: Giansiro Ferrata e Alessandro Bonsanti. La rivista fiorentina incorse in una denuncia della censura fascista, a causa di alcuni scritti di Enrico Terracini e Elio Vittorini, che furono pubblicati negli ultimi numeri, ovvero poco prima che Solaria chiudesse definitivamente i battenti. Negli otto anni della sua vita, la rivista potè contare sempre su collaborazioni prestigiose; per ciò che riguarda la poesia, su Solaria pubblicarono dei versi Umberto Saba, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Angelo Barile, Adriano Grande, Sandro Penna, Corrado Pavolini e tanti altri ottimi poeti. Ecco, per concludere, tre belle poesie che uscirono per la prima volta proprio sulle pagine di Solaria.
VITANOVA
di Adriano Grande
Lola, soavità che
non par vera
in poca forma
umana imprigionata
dentro mi sei
come cosa sognata,
nella mente mi
crei la primavera.
O meraviglia
d'aprilini albori
sorgenti in me! A
un tratto i miei pensieri
han messo gemme:
or, contro il grigio ieri,
stan come rami
carichi di fiori.
Lola, soave fonte
di freschezza,
madonna di
terrestri paradisi,
la mia anima si
offre ai tuoi sorrisi
vestita in questo
modo di gaiezza.
E in quante vede
intorno dolci e chiare
apparenze del
mondo si diffonde
col tuo ricordo:
s'alza sulle sponde
verdi, si china a
specchiarsi nel mare.
Sapor di pesca
morsa dei tuoi baci!
Stormire nel mio
cuore d'esultanza
se chiudo gli
occhi e dalla lontananza
a me t'induco e
alle mie voglie audaci!
Maggio verrà
com'è venuto Aprile,
Lola: e il futuro
veste la tua forma.
Se tanto il
ricordarti mi trasforma
sarà tutto il mio
vivere gentile.
Aprile
1926
(da «Solaria», luglio/agosto 1926)
ROSARIO DEI
NOSTRI MORTI
di Angelo Barile
Madre, oscilla la
sera
sul tuo capo che
piega al vecchio letto,
nostra cuna e
sudario,
e si fa riva di
misericordia.
Alita e vi si
frange il violetto
fiato dei nostri
Morti.
Ad ogni grano che
scorri del rosario
pàlpebra a te
davanti
un della zitta
gente che fa ressa
ai tuoi ginocchi.
I più pallidi
guardan con distanti
occhi gli ignoti
che son sopraggiunti
ancora tinti
della vena stessa
che irrorò le
paterne primavere.
Ma tu madre, che
preghi,
tutti li
ricongiungi in questo lume
ch'è tra la loro
notte e la tua sera.
E sin che il capo
pieghi,
ultima a loro il
capo che già trema,
respirano vicine
le bocche delle
tue generazioni.
Riconduci i
fuggiaschi ai nostri altari
dentro l'arco di
uno sguardo tranquillo.
Cerchi i più
derelitti a cui l'oblio
i tratti rari ha
liso.
Tu dissìpi la
nuvola, li schiari,
trovi un segno,
il sigillo
del sangue nel
più scancellato viso;
un'ombra caduca,
e tu la rilevi.
In te da
lontananze
volti affiorano
in pace
che il fragore
del sangue concitava.
Il fiume rosso e
grave
estua per questa
foce
alle celesti
calme.
volti allevia il
tuo ave,
il sussurro è
rugiada
pallida di una
ritornante alba,
nel lago del tuo
cuore
forse specchiano
i loro occhi fanciulli,
vi trova ognuno
quella luce sola
che un dì fermò
colorata l'amore
nel tuo
cristallo.
Ben questo, se tu
preghi,
senz'ombre di
perdono
già nei termini
umani è paradiso.
Piano vi assumi
la tua cara gente.
Son questi, a cui
la rechi
per rive d'anima,
gli ultimi e lievi
prati del
ricuperato sorriso
senza parola.
Stelle
cogli per questa
corona dei Morti
tu sui margini
delle eterne nevi.
(da «Solaria», novembre 1930)
ALBERO MALNATO
di Salvatore
Quasimodo
Era beata
stanotte la tua voce
a me discesa per
nova innocenza
nel tempo che
patisco un nascimento
d'accorate
letizie.
Tremavi bianca,
le braccia
sollevate,
e io giacevo in
te
con la mia vita
nùbila
in poco sangue
raccolta;
diruto il canto
che già m'ha
fatto estrema,
con la donna che
mi tolse in disparte,
la mia tristezza
d'albero malnato.
(da «Solaria», novembre 1931)
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