domenica 21 maggio 2023

Riviste: "Solaria"

 

Solaria è il titolo di una rivista letteraria italiana che fu pubblicata a Firenze, presso l’editore Parenti, tra il 1926 ed il 1934. I promotori di Solaria furono Alberto Carocci, Raffaello Franchi, Eugenio Montale e Bonaventura Tecchi; Carocci diresse Solaria dal primo numero (gennaio 1926) all’ultimo (maggio 1934); insieme a lui, si alternarono due condirettori: Giansiro Ferrata e Alessandro Bonsanti. La rivista fiorentina incorse in una denuncia della censura fascista, a causa di alcuni scritti di Enrico Terracini e Elio Vittorini, che furono pubblicati negli ultimi numeri, ovvero poco prima che Solaria chiudesse definitivamente i battenti. Negli otto anni della sua vita, la rivista potè contare sempre su collaborazioni prestigiose; per ciò che riguarda la poesia, su Solaria pubblicarono dei versi Umberto Saba, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Angelo Barile, Adriano Grande, Sandro Penna, Corrado Pavolini e tanti altri ottimi poeti. Ecco, per concludere, tre belle poesie che uscirono per la prima volta proprio sulle pagine di Solaria.

 

 


 

 

VITANOVA

di Adriano Grande

 

Lola, soavità che non par vera

in poca forma umana imprigionata

dentro mi sei come cosa sognata,

nella mente mi crei la primavera.

O meraviglia d'aprilini albori

sorgenti in me! A un tratto i miei pensieri

han messo gemme: or, contro il grigio ieri,

stan come rami carichi di fiori.

Lola, soave fonte di freschezza,

madonna di terrestri paradisi,

la mia anima si offre ai tuoi sorrisi

vestita in questo modo di gaiezza.

E in quante vede intorno dolci e chiare

apparenze del mondo si diffonde

col tuo ricordo: s'alza sulle sponde

verdi, si china a specchiarsi nel mare.

Sapor di pesca morsa dei tuoi baci!

Stormire nel mio cuore d'esultanza

se chiudo gli occhi e dalla lontananza

a me t'induco e alle mie voglie audaci!

Maggio verrà com'è venuto Aprile,

Lola: e il futuro veste la tua forma.

Se tanto il ricordarti mi trasforma

sarà tutto il mio vivere gentile.

 

   Aprile 1926

 

(da «Solaria», luglio/agosto 1926)

 

 

 

 

ROSARIO DEI NOSTRI MORTI

di Angelo Barile

 

Madre, oscilla la sera

sul tuo capo che piega al vecchio letto,

nostra cuna e sudario,

e si fa riva di misericordia.

Alita e vi si frange il violetto

fiato dei nostri Morti.

 

Ad ogni grano che scorri del rosario

pàlpebra a te davanti

un della zitta gente che fa ressa

ai tuoi ginocchi.

I più pallidi guardan con distanti

occhi gli ignoti che son sopraggiunti

ancora tinti della vena stessa

che irrorò le paterne primavere.

 

Ma tu madre, che preghi,

tutti li ricongiungi in questo lume

ch'è tra la loro notte e la tua sera.

E sin che il capo pieghi,

ultima a loro il capo che già trema,

respirano vicine

le bocche delle tue generazioni.

 

Riconduci i fuggiaschi ai nostri altari

dentro l'arco di uno sguardo tranquillo.

Cerchi i più derelitti a cui l'oblio

i tratti rari ha liso.

 

Tu dissìpi la nuvola, li schiari,

trovi un segno, il sigillo

del sangue nel più scancellato viso;

un'ombra caduca, e tu la rilevi.

 

In te da lontananze

volti affiorano in pace

che il fragore del sangue concitava.

Il fiume rosso e grave

estua per questa foce

alle celesti calme.

volti allevia il tuo ave,

il sussurro è rugiada

pallida di una ritornante alba,

nel lago del tuo cuore

forse specchiano i loro occhi fanciulli,

vi trova ognuno quella luce sola

che un dì fermò colorata l'amore

nel tuo cristallo.

 

Ben questo, se tu preghi,

senz'ombre di perdono

già nei termini umani è paradiso.

Piano vi assumi la tua cara gente.

Son questi, a cui la rechi

per rive d'anima, gli ultimi e lievi

prati del ricuperato sorriso

senza parola.

 

Stelle

cogli per questa corona dei Morti

tu sui margini delle eterne nevi.

 

(da «Solaria», novembre 1930)

 

 

 

 

ALBERO MALNATO

di Salvatore Quasimodo

 

Era beata stanotte la tua voce

a me discesa per nova innocenza

nel tempo che patisco un nascimento

d'accorate letizie.

 

Tremavi bianca,

le braccia sollevate,

 

e io giacevo in te

con la mia vita nùbila

in poco sangue raccolta;

 

diruto il canto

che già m'ha fatto estrema,

con la donna che mi tolse in disparte,

 

la mia tristezza

d'albero malnato.


(da «Solaria», novembre 1931)

 

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