domenica 14 maggio 2023

La perdita nella poesia italiana decadente e simbolista

 

La sensazione della perdita in senso lato, dolorosamente e frequentemente si manifesta nei versi dei poeti italiani decadenti e simbolisti. Passando dal generale al particolare, nella maggior parte delle poesie che parlano di perdite, è facile che si ponga in evidenza l’assenza e il rimpianto della persona amata in un passato più o meno lontano; è il caso della poesia di Civinini, che osserva malinconicamente l’entusiasmante e invitante ritorno della primavera - con tutte le implicazioni e le manifestazioni favorevoli che contraddistinguono tale evento stagionale -, poiché per lui, questa rinascita non fa altro che acuire il doloroso ricordo di un amore svanito, che nasceva e dava il meglio di sé proprio all’inizio di una primavera ormai scomparsa per sempre. Ma la sensazione di aver perduto qualcosa di estremamente importante, si manifesta in modi assai diversi, come nella poesia di Govoni, che dichiara il suo stato di cupa tristezza a causa di una serie di perdite non ben definite, eppure fortemente avvertite dal poeta. C’è poi Moscardelli, che fa un lungo elenco di esseri umani, vegetali e oggetti, da lui perduti per sempre, e se ne duole poiché tutti rappresentavano qualcosa di veramente prezioso. Ma la perdita può essere rappresentata anche dalla morte di un amico o di un parente, come nel caso di alcuni versi scritti da Corazzini e Valeri; struggenti sono quelli del poeta veneto, che, non rassegnato alla scomparsa definitiva della cuginetta adolescente, visita i luoghi che lei frequentava, sperando d’incontrarla di nuovo. Infine, la perdita può concretizzarsi in simboli, come nella poesia di Graf e di Gozzano; quest’ultimo vede sé stesso già anziano davanti a un focolare, mentre getta alle fiamme vecchie carte (le sue poesie, le lettere e gli annunci funerari) con le quali si riassume tutta la sua vita passata; alla fine, di tutti i ricordi migliori non rimane null’altro che cenere.         

 

 

Poesie sull’argomento

 

Mario Adobati: "L'immemore" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).

Vittoria Aganoor: "Nel sogno" in "Nuove liriche" (1908).

Guelfo Civinini: "Canzone della primavera perduta" in "I sentieri e le nuvole" (1911).

Sergio Corazzini: "Per un amico, morto" in «Marforio», settembre 1903.

Sergio Corazzini: "Le illusioni" e "Stazione sesta" in "Libro per la sera della domenica" (1906).

Edmondo Corradi: " L'invito" in «Domenica Letteraria», luglio 1897.

Luisa Giaconi: "Un'ora perduta" in "Tebaide" (1909).

Cosimo Giorgieri Contri: "Il Fauno" in "Il convegno dei cipressi" (1894).

Cosimo Giorgieri Contri: "Il tesoro" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).

Domenico Gnoli: "Solo!" e "Sogno svanito" in "Jacovella" (1905).

Corrado Govoni: "Qualche cosa che se n'è andata" in "Poesie elettriche" (1911).

Guido Gozzano: "Il filo" in "La via del rifugio" (1907).

Arturo Graf: "Tempio distrutto" in "Le Danaidi" (1905).

Virgilio La Scola: "Pulvis et umbra" in "La placida fonte" (1907).

Tito Marrone: "L'ora perduta" in «Le scimmie e lo specchio», 1946.

Fausto Maria Martini: "Verso la fine" in "Poesie provinciali" (1910).

Nicola Moscardelli: "Cose perdute" in "La Veglia" (1913).

Emanuele Sella: "Via tribulationis" in "L'Ospite della Sera" (1922).

Alberto Tarchiani: "Alle cose perdute" in "Piccolo libro inutile" (1906).

Diego Valeri: "T'ho cercata per l'ombra delle stanze..." in "Umana" (1916).

Giuseppe Villaroel: "Finire" in "La tavolozza e l'oboe" (1918).

 

 


Testi

 

 

PULVIS ET UMBRA

di Virgilio La Scola

 

Mi vidi - quel giorno di pianto -

Addentro il suo gelido abisso:...

O quanto dolore, che schianto

Nel guardo recondito... fisso!...

 

Recava con sé, de la vita

Qualcosa negli occhi, là giù:

Il tragico lume dell'ora smarrita,

L'estremo rimpianto d'un bene che fu!...

 

Mi chiusero in lungo tremore,

Le braccia sì tenere e stanche:

M'effusero un'onda d'amore

Le labbra sì sterili e bianche;

 

Mi volle cullare nel nulla,...

Nel cavo suo grembo, là giù;...

Più lieve,... più dolce,... siccome si culla

Ne' sogni il ricordo d'un bene che fu!...

 

"O come era limpido il giorno,

Ovunque il perdono versai:..

La gioia piangevami attorno,

Se un umile pianto placai:

 

Educa al sorriso gli umani;...

È un cerulo incanto lassù:..

Irradia le labbra, consacra le mani,

Innova il prodigio d'un bene che fu!...

 

Là dove concordi gli uccelli

Effondono libero il corso,

Non rechi la gioia a' fratelli

Dolore, non rechi rimorso:...

 

Là dove respiri il tuo cielo,

Il poco è soverchio,... non più!...

V'è fiori per tutti su ogni esile stelo,

V'è canti per tutti nel bene che fu!..."

 

Ne l'ombra, era un murmure;.. un lento

Rincorrer di pallide fronti;

Di muschio e di ceri uno spento

Sentore, pe' chiusi orizzonti...

 

Recava con sé de la vita

qualcosa negli occhi, là giù:

Il tragico lume dell'ora smarrita,

L'estremo rimpianto d'un bene che fu!...

 

(da "La placida fonte", Zanichelli, Bologna 1907)

 

 

 

 

 

VIA TRIBULATIONIS

di Emanuele Sella

 

Volevo recarteli io stesso

i fiori di questo abbandono;

con ploro sommesso ripeterti il suono

d'un «t'amo» assai dolce d'un tempo che fu.

 

Ma i fiori, ahimè, sono avvizziti

al bacio dell'ultimo Sole

e le mie più miti più belle parole

perduto han per sempre l'antica virtù.

 

E intanto, com'una preghiera,

trasvola una nube d'argento:

«Addio, o chimera!» le grido ed il vento

la spinge lontano lontano là giù.

 

Tu sei quella nube che fugge;

io tendo le mani ed il pianto

degli occhi mi sfugge. (Ecco un ultimo canto,

un nulla più nulla del nulla che fu).

 

(da "L'ospite della sera", Sonzogno, Milano 1922)


Carl Schweninger der Jüngere, “Verlorene Liebe”
(da questa pagina web)



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