Nacque a Napoli
nel 1881 e ivi morì nel 1927. Avvocato e poeta, diresse insieme a Francesco
Gaeta la rivista I Mattaccini. Pubblicò
poche raccolte di versi, in cui si dimostrò un poeta classicista e, nello
stesso tempo, un seguace di Gabriele D'Annunzio. Si tolse la vita sparandosi un
colpo di pistola, poco tempo dopo il suicidio dell'amico e poeta Francesco
Gaeta.
Opere poetiche
"I profili",
Stabilimento tipografico Vesuviano, Napoli 1899.
"Le corone",
Pierro, Napoli 1900.
"Interludio",
Melfi & Joele tip., Napoli 1905.
"Dai Canti", Napoli 1929.
Presenze in
antologie
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol.VIII, pp. 158-168).
Testi
PRIMAVERA INTIMA
Inverno, in vano
in van le umane fronti
premi di tedio e
d'ombra, in van minacci
risi di sol, di
verde, se t'affacci
tetro a le valli
pe' canuti monti.
Vecchio, rido di
te, se gli orizzonti
stringi in un
nero circolo: se agghiacci
i fiumi, dal mio
cor giammai discacci
gioja di fiori e
gluglulii di fonti.
Poi che un umil
amor dà primavera
perenne a la mia
mente, pur se il seme
torpe per ogni
monte e ogni riviera.
E canto, o
Inverno, versi rusticani;
e il fuoco
brilla, e la perduta speme
trovo nel cavo di
due bianche mani.
(da "Le
Corone", Pierro, Napoli 1900, p. 80)
CIELO SERENO
Se più
fulgidamente t'incurvi, o cilestro emisfero,
egro e solo mi
scorgo con questa mia angoscia che fiotta;
l’iride di ogni
raggio mi acceca, ogni afflato mi scotta
come spoglio di
cute io fossi, per il corpo intero!
Stringansi, quali
bende, su ’l mio lacerato pensiero
falde di densa
bruma, cortine di piova dirotta;
ch’io non veda
quel cielo che incombe; che mai non annotta,
poi che con
multipli occhi stellari vi veglia il Mistero.
Troppo, a colui
che piange, insulta colui che in un folle
riso oblioso è
immerso; a quei che con polsi tremanti
forza il nodo di
un dubbio, chi ha il vero; ad ogni ombra, il fulgore.
Per me, stretto
da nebbia profonda sì come le zolle,
per me ch’esito e
gemo, il fulmine invoco: che schianti,
in un solco di
vampe, la mala radice del cuore.
(da
"Interludio", Melfi & Joele, Napoli 1905, p. 37)
INVIANDO UN PRIMO FIORE DI MANDORLO
Poiché soffri,
sei buona. E piangerai
come chi è buono,
in questa primavera;
sol che a te olezzin forte, ne la sera
molle, i rosai.
Ecco; e già
piangi e tutta ti commuovi
su l'alito di
questo primo fiore,
poi che d'un
tratto ti occupa il tremore
pe' mesi nuovi:
quando più vivo è
quel che non s'oblia
e più triste è il
ricordo più soave,
e il cuor sente
mancarsi, in una grave
fosca agonia,
e piange un
pianto che non vuol conforto,
un muto pianto,
dolce e amarulento,
un pianto che non
basta a lo sgomento
per ciò ch'è morto.
(da "Dai
Canti", a cura della Compagnia degli Illusi, Napoli 1929, p. 79)
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