domenica 13 marzo 2022

"Canti" di Giovanni Tecchio

 

Nel 1931, presso l'editore Monanni di Milano, fu stampato un volume poetico di Giovanni Tecchio intitolato Canti. All'interno di esso, l'autore, già allora quasi completamente obliato, volle includere il meglio della sua produzione in versi. Sfogliandolo, e tenendo a portata di mano le altre opere poetiche di Tecchio, è facile constatare che, quasi tutte le liriche qui presenti, furono inserite negli altri suoi volumi, che vanno dal primo (Poesie, 1891) all'ultimo (Rime della vita, 1900), che risale a più di trent'anni prima. Parecchi componimenti poetici hanno un titolo diverso e, insieme agli altri, hanno subito delle modifiche non sostanziali, che però dimostrano l'insoddisfazione costante del poeta, sempre in cerca di una forma differente dall'originale. Giovanni Tecchio, di cui avevo già parlato in un post dedicato ai poeti dimenticati, secondo me avrebbe meritato miglior fortuna: i suoi versi, così come quelli di Cosimo Giorgieri Contri e di Diego Angeli, rappresentarono qualcosa di estremamente importante nell'ambito della poesia italiana del primissimo Novecento. Infatti, i primi, grandi poeti che, seguendo un ordine prettamente cronologico, fanno la loro comparsa agli albori del XX secolo, sono i crepuscolari; ora, se si vanno a leggere alcune poesie di Gozzano, Corazzini, Govoni, Moretti e altri ancora, non risulterà difficile notare che vi sono delle attinenze, se non delle nette somiglianze, con quelle scritte da Giovanni Tecchio una decina di anni prima; quest'ultimo, praticamente per tutto il decennio che ha concluso il secolo XIX, pubblicò delle raccolte assai simili tra di loro, in cui prevaleva uno stato d'animo melanconico, così come una estrema sensibilità a determinate manifestazioni della natura ed a particolari "visioni" (interni squallidi, atmosfere sognanti, paesaggi autunnali ecc.), ovvero peculiarità che furono perpetrate anche dai poeti crepuscolari. Non vi è dubbio che il Tecchio subì l'influenza di Gabriele D'Annunzio, che in quegli stessi anni pubblicò due volumi poetici notevoli: La Chimera (1890) e Poema paradisiaco (1893); senza dimenticare, ovviamente, i poeti francesi e belgi che, già a partire dagli anni '60 dell'Ottocento, scrissero e pubblicarono opere in versi rientranti nei massimi capolavori del decadentismo e del simbolismo; ma, allo stesso tempo, non vi è dubbio che Tecchio seppe rielaborare quei temi e quelle atmosfere in modo del tutto personale, creando versi, almeno per me, indimenticabili.

In Canti, Tecchio presenta ai lettori più attenti una sintesi della sua poesia, attingendo dai suoi vecchi volumi e scegliendo ciò che ritiene migliore; questo libro va perciò considerato l'ultimo, ricapitolativo lavoro di un poeta ingiustamente trascurato, e che, a mio modesto parere, meriterebbe una rivalutazione. Ecco infine tre poesie estratte da Canti.  

 

 

Frontespizio del volume: Giovanni Tecchio, Canti

 

 

PALUDE

 

Nello stupor del cielo d'alabastro

Sommessamente ad ora ad or si lagna,

Voce universa, il pianto che ristagna

Sotto il poter malèfico d'un astro.

 

Cupe, nell'aer livido biancastro,

Immote e nere come una montagna,

Sopra la desolata erma campagna

Pendon le nubi di vapor salmastro.

 

Non frullo d'ala, non batter di greggia;

Nel cinereo incantesimo dell'aria

Sorde si sfaldan l'ore senza suono.

 

Sull'acquitrino una ninfea galleggia,

Urna di pario marmo funeraria,

Che in sé racchiude un cor nell'abbandono.

 

(da "Canti", p. 9)

 

 

 

 

SOGNO ETERNO

 

Nei silenzi della notte

van sospiri, voci rotte

d'angoscia, pianti,

d'anime schianti.

Dal suo trono eccelso la Morte

sui piani sogguata, sull'erte montane

di croci la nera coorte.

Lo scrosciar delle lacrime umane,

che gemon lontane lontane,

risuona profondo,

per la notte del mondo.

 

Beato, nel roseo mattino

d'aprile chi vide giocondo

tra fiori il cammino!

Non gli passò sull'anima

dell'universo pianto

il turbinar profondo.

Beato, d'un sogno l'incanto

non vide sfiorire, svanire...

E tutto d'intorno a lui tace,

e gli è dolce dormire

nella profonda pace,

sognare nel vago sorriso

d'eterna giovinezza,

la vita un eliso

d'eterna dolcezza!

 

Oh, di quel giorno il vespero

egli non vedrà mai,

né udrà per la notte col vento

insistente, terribile, mai

quell'eterno lamento,

lo scrosciar delle lacrime umane

che gemon lontane lontane,

risonare profondo,

per la notte del mondo!

 

(da "Canti", pp. 63-64)

 

 

 

 

NEVE

 

E neve e neve e neve...

E tutto intorno imbianca:

Passa un sussurro breve,

Il fru d'un'ala stanca.

 

Mentre nell'aria lieve

Danza la ridda bianca,

Una tristezza greve

Scende col dì che manca.

 

Chi studia a un lume fioco,

Chi dorme in letto morbido,

Chi ride accanto al foco;

 

Va un vecchierel lontano,

Un pan cercando e querulo

Stende la scarsa mano.

 

(da "Canti", p. 99)

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