Nel 1931, presso
l'editore Monanni di Milano, fu stampato un volume poetico di Giovanni Tecchio
intitolato Canti. All'interno di
esso, l'autore, già allora quasi completamente obliato, volle includere il
meglio della sua produzione in versi. Sfogliandolo, e tenendo a portata di mano
le altre opere poetiche di Tecchio, è facile constatare che, quasi tutte le
liriche qui presenti, furono inserite negli altri suoi volumi, che vanno dal
primo (Poesie, 1891) all'ultimo (Rime della vita, 1900), che risale a più
di trent'anni prima. Parecchi componimenti poetici hanno un titolo diverso e,
insieme agli altri, hanno subito delle modifiche non sostanziali, che però
dimostrano l'insoddisfazione costante del poeta, sempre in cerca di una forma
differente dall'originale. Giovanni Tecchio, di cui avevo già parlato in
un post dedicato ai poeti dimenticati, secondo me avrebbe meritato miglior
fortuna: i suoi versi, così come quelli di Cosimo Giorgieri Contri e di Diego
Angeli, rappresentarono qualcosa di estremamente importante nell'ambito della
poesia italiana del primissimo Novecento. Infatti, i primi, grandi poeti che, seguendo
un ordine prettamente cronologico, fanno la loro comparsa agli albori del XX
secolo, sono i crepuscolari; ora, se si vanno a leggere alcune poesie di
Gozzano, Corazzini, Govoni, Moretti e altri ancora, non risulterà difficile
notare che vi sono delle attinenze, se non delle nette somiglianze, con quelle scritte
da Giovanni Tecchio una decina di anni prima; quest'ultimo, praticamente per
tutto il decennio che ha concluso il secolo XIX, pubblicò delle raccolte assai
simili tra di loro, in cui prevaleva uno stato d'animo melanconico, così come
una estrema sensibilità a determinate manifestazioni della natura ed a
particolari "visioni" (interni squallidi, atmosfere sognanti,
paesaggi autunnali ecc.), ovvero peculiarità che furono perpetrate anche dai
poeti crepuscolari. Non vi è dubbio che il Tecchio subì l'influenza di Gabriele
D'Annunzio, che in quegli stessi anni pubblicò due volumi poetici notevoli: La Chimera (1890) e Poema paradisiaco (1893); senza dimenticare, ovviamente, i poeti
francesi e belgi che, già a partire dagli anni '60 dell'Ottocento, scrissero e
pubblicarono opere in versi rientranti nei massimi capolavori del decadentismo
e del simbolismo; ma, allo stesso tempo, non vi è dubbio che Tecchio seppe
rielaborare quei temi e quelle atmosfere in modo del tutto personale, creando
versi, almeno per me, indimenticabili.
In Canti, Tecchio presenta ai lettori più
attenti una sintesi della sua poesia, attingendo dai suoi vecchi volumi e
scegliendo ciò che ritiene migliore; questo libro va perciò considerato l'ultimo,
ricapitolativo lavoro di un poeta ingiustamente trascurato, e che, a mio
modesto parere, meriterebbe una rivalutazione. Ecco infine tre poesie estratte
da Canti.
Frontespizio del volume: Giovanni Tecchio, Canti |
PALUDE
Nello stupor del
cielo d'alabastro
Sommessamente ad
ora ad or si lagna,
Voce universa, il
pianto che ristagna
Sotto il poter
malèfico d'un astro.
Cupe, nell'aer
livido biancastro,
Immote e nere
come una montagna,
Sopra la desolata
erma campagna
Pendon le nubi di
vapor salmastro.
Non frullo d'ala,
non batter di greggia;
Nel cinereo
incantesimo dell'aria
Sorde si sfaldan
l'ore senza suono.
Sull'acquitrino
una ninfea galleggia,
Urna di pario
marmo funeraria,
Che in sé
racchiude un cor nell'abbandono.
(da
"Canti", p. 9)
SOGNO ETERNO
Nei silenzi della
notte
van sospiri, voci
rotte
d'angoscia,
pianti,
d'anime schianti.
Dal suo trono
eccelso la Morte
sui piani
sogguata, sull'erte montane
di croci la nera
coorte.
Lo scrosciar
delle lacrime umane,
che gemon lontane
lontane,
risuona profondo,
per la notte del
mondo.
Beato, nel roseo
mattino
d'aprile chi vide
giocondo
tra fiori il
cammino!
Non gli passò
sull'anima
dell'universo
pianto
il turbinar
profondo.
Beato, d'un sogno
l'incanto
non vide
sfiorire, svanire...
E tutto d'intorno
a lui tace,
e gli è dolce
dormire
nella profonda
pace,
sognare nel vago
sorriso
d'eterna
giovinezza,
la vita un eliso
d'eterna
dolcezza!
Oh, di quel
giorno il vespero
egli non vedrà
mai,
né udrà per la
notte col vento
insistente,
terribile, mai
quell'eterno
lamento,
lo scrosciar
delle lacrime umane
che gemon lontane
lontane,
risonare
profondo,
per la notte del
mondo!
(da
"Canti", pp. 63-64)
NEVE
E neve e neve e
neve...
E tutto intorno
imbianca:
Passa un sussurro
breve,
Il fru d'un'ala
stanca.
Mentre nell'aria
lieve
Danza la ridda
bianca,
Una tristezza
greve
Scende col dì che
manca.
Chi studia a un
lume fioco,
Chi dorme in
letto morbido,
Chi ride accanto
al foco;
Va un vecchierel
lontano,
Un pan cercando e
querulo
Stende la scarsa
mano.
(da
"Canti", p. 99)
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