A volte, leggendo
i versi dei poeti che più amo, ovvero i crepuscolari, ho notato la presenza di
animali, che in alcuni casi, sono i protagonisti assoluti di determinate
poesie. In effetti, rileggendo attentamente un po' tutti i loro versi, viene
fuori che Gozzano così come Corazzini, Moretti, Govoni e Palazzeschi - tanto
per citare i nomi più famosi di questa scuola - amavano gli animali, e alcuni
tra loro ne avevano anche in casa o in giardino. Il più esagerato, in questo
particolare settore, è ancora una volta Corrado Govoni, che già a partire dalla
sua prima raccolta, Le fiale (1903),
ne cita diversi; nei sonetti che occupano interamente questo libro di versi,
infatti, compaiono passeri, api, rondini, cigni, pavoni, cardellini, tordi,
beccacce e capinere. In Armonia in grigio
et in silenzio (1903), già a partire dalla dedica - che riporto di seguito
- si parla d'animali:
Al mio
bianco micio, affinché non mi graffi più le mani quando io giuoco con lui ed
impari a non voler più assaltare i poveri canarini ogni volta che li vede, e di
vivere sempre d'accordo con loro, come fa con la colombina.
E a proposito di
gatti, questa raccolta contiene due poesie dedicate ai felini domestici: I gatti bianchi e La siesta del micio. Anche in Fuochi
d'artifizio: volume poetico dello stesso Govoni, pubblicato nel 1905, i
gatti sono più volte citati; a tal proposito, bellissima è la poesia intitolata
Le litanie del mao. In queste pagine,
oltre ai gatti, si parla più volte di rondini (animali particolarmente cari al
poeta emiliano), come nei versi di Dialogo
delle rondini tornate col poeta, dove, come fa ben capire il titolo,
s'instaura una sorta di colloquio tra gli uccelli e l'autore dei versi, nel
periodo in cui questi pennuti sono soliti ritornare a popolare i tetti delle
città italiane. Per quel che riguarda Gli
aborti (1907), ovvero l'ultimo volume prettamente crepuscolare di Govoni,
mi limito ad elencare i titoli delle poesie in cui compaiono degli animali: Il tritone; La chiocciola; Il canto del
gallo; Le api; Le farfalle; Gli uomini e i cani del re; Dove
stanno bene gli uccelli; Ai corvi.
Govoni, anche nelle raccolte successive, in cui abbracciò - soltanto
parzialmente - altre correnti poetiche, continuò a descrivere moltissimi
animali, praticamente fino all'ultimo libro di poesie pubblicato postumo.
Passando a Sergio
Corazzini, nelle raccoltine del poeta romano vi sono soltanto brevi accenni ad
animali come le rondini, i ragni, gli agnelli ed i gatti; a proposito dei
felini, indimenticabili per me sono i versi di Bando, in cui Corazzini esprime il desiderio di dormire, proprio
come un gatto, fino alla fine dei secoli. Ma è nei versi sparsi, rintracciabili
in riviste e giornali del primissimo Novecento, che Corazzini inserisce qualche
animale, erigendolo a protagonista del componimento poetico; è il caso dei due
sonetti intitolati rispettivamente L'agnello
e L'oca (il secondo è in dialetto
romanesco); infine, torna di nuovo il felino più domestico del mondo nella
breve poesia Il gatto e la luna.
Volendo ora
parlare di Guido Gozzano, si può dire che già nella sua prima raccolta: La via del rifugio (1907), vi siano due
sonetti in cui gli animali - in questo caso l'oca e il cardellino - sono
presenti in modo importante; ne I
colloqui (1911), rimangono impressi nella mente - tra i tanti
indimenticabili - i versi in cui si parla di Makakita: lo scimpanzé freddoloso citato nella poesia In casa del sopravvissuto, che il poeta
tiene in braccio, seduto davanti al caminetto, in una gelida giornata invernale.
Non meno suadenti sono le disperate
cetonie capovolte dell'ultima poesia della raccolta (è la seconda che porta
il medesimo titolo di quest'ultima), che il poeta un tempo aiutava a rimettersi
in piedi, spinto da un senso di pietà verso questi animaletti in chiara
difficoltà. Si potrebbe andare ancora avanti, parlando dei grilli, delle falene
e delle rondini: animali citati nel poema La
signora Felicita ovvero la Felicità, e di altri ancora. Per ultime,
ovviamente, si ricordano Le farfalle:
protagoniste dell'omonimo poema mai pubblicato in vita dallo scrittore
piemontese.
Anche Marino
Moretti, già nella raccolta Poesie
scritte col lapis (1910), si rivela amico degli animali; lo stanno a
dimostrare diverse liriche, come La
domenica dei cani randagi e La
domenica dell'orso, entrambe rintracciabili nella sezione intitolata Le domeniche; di altro tono è un'altra
poesia, intitolata Aquila, presente
nella sezione Alcune poesie scritte con
la penna; qui infatti il poeta romagnolo confessa la sua immensa ammirazione
per il nobile rapace, cui vorrebbe assomigliare. In Poesie di tutti i giorni (1911), c'è un poema intitolato Frate Asino, in cui si narra la storia
di un frate e di un asino; quest'ultimo improvvisamente apparso alle soglie del
convento, e immediatamente accolto con entusiasmo dai religiosi. Con lo stesso
titolo e con qualche variante, il poema fu riproposto da Moretti anche nella
raccolta Il giardino dei frutti
(1916).
Nelle primissime
raccolte di Aldo Palazzeschi, e in particolare ne I cavalli bianchi (1905), alcuni animali compaiono nei paesaggi
favolistici del tutto personali, caratterizzati da una sorta di accidia,
d'irrigidimento molto vicino all'immobilismo, con cui il poeta toscano
partecipò a modo suo alla stagione poetica cosiddetta crepuscolare. Pappagalli
che si chiudono in un mutismo ostinato; civette posate sui rami degli alberi,
che ridono guardando le acque tranquille del fiume che scorre sotto di loro;
anguille enormi, che vivono dentro una vasca, e che la gente cerca di pescare
per mangiarsele; cigni, pavoni e gatti (tutti rigorosamente bianchi) che
circondano un principe particolarmente affascinante: sono questi gli animali
che s'incontrano leggendo i primi versi di Palazzeschi; ma gli animali
continueranno ad essere inclusi anche nelle raccolte futuriste dello scrittore
fiorentino, con altri ruoli e, addirittura, con la possibilità di parlare, come
nella poesia La morte di Cobò.
Fausto Maria
Martini, nella sua prima raccolta intitolata Le piccole morte (1906), parla di alcuni animali, soprattutto
uccelli, come nel componimento "In
cordis vigilia", dove resta indelebile nella memoria la bellissima
immagine dei passeri che volano verso un cipresso, e ivi si addormentano come nelle braccia / d'una mamma per tutti. Un'altra poesia
del medesimo libro s'intitola Le colombe;
qui, però, i pennuti si fanno desiderare e vengono invocati dal poeta, che ne
sente la mancanza. Nella successiva raccolta: Panem nostum..., gli animali sono presenti raramente; compaiono,
per esempio, nella breve poesia La
lucciola e il serpente, dove l'insetto e il rettile, così come la
"farfalla d'oro" del penultimo verso, probabilmente rappresentano dei
simboli ben precisi. Le rondini, invece, sono le protagoniste di altri versi e
di una prosa poetica, che è possibile leggere nel volume Tutte le poesie (1969), e che comparvero per la prima volta in
riviste del primo Novecento.
Pochissime tracce
di animali si trovano nell'unica raccolta di versi, Sogno e ironia, pubblicata da Carlo Chiaves nel 1910. C'è soltanto
una poesia, intitolata Ragnateli, in
cui lo scrittore piemontese loda il ragno, ovvero l'artefice di una tela
perfetta; l'animaletto non viene mai nominato, ma è definito
"artista", e, pur ammettendo che la sua opera possegga caratteristiche
architettoniche praticamente impeccabili, comprende che, alla fine, tale
capolavoro altro non è che una trappola, per catturare gli insetti di cui il
ragno si nutre. Tra le Poesie sparse,
presenti nel volume Tutte le poesie edite
e inedite (1971), c'è un'altra lirica: Cappuccetto
rosso, che è una vera e propria parodia della famosa favola; qui, il lupo
famelico che divora Cappuccetto rosso, è divenuto un animale mansueto, simile
ad un agnello, perché abilmente ammaestrato dalla diabolica ragazzina.
Giulio Gianelli,
nella sezione finale - intitolata Due
favole - che fa parte della sua raccolta poetica più importante: Intimi vangeli (1908), inserisce tre
animali: una chioccia, una capretta e un'agnellina, che sono i protagonisti di
due poesie assai semplici e delicate; entrambe, per determinate
caratteristiche, ricordano certi versi di Giovanni Pascoli e di Angiolo Silvio
Novaro.
Pochissimi
riferimenti ad animali si rintracciano nell'opera poetica di Carlo Vallini; per
citarne qualcuno, vi sono delle rondini che volano attorno alla casa del nonno
scomparso nel quinto dei Sonetti della
casa, in La rinunzia (1907);
mentre in La pietà, settimo capitolo
del poemetto Un giorno (1907), il
poeta chiede clemenza a Dio, per una serie di sue mancanze e, tra le altre: per l'anima mia che si sente / a un tempo
grande ed inane: / umile innanzi a un cane, / superba innanzi al saccente [...]
pel piccolo insetto modesto / che
s'affanna e che non si vede / e ch'io, camminando, col piede / inconsciamente
calpesto.
Nelle poesie di
Nino Oxilia non mancano certo degli animali; già nei Canti brevi (1909), si nota, qua e là, la presenza di corvi, rospi,
lucciole e, soprattutto di rondini, come nei seguenti versi: Le rondini volano a sciami. / Si inseguono,
vanno attorno / e pare che dicano «m'ami?» / «non vedi che è finito il
giorno?». / Son lungi, cinguettano piano, / poi giungono e allora un umano /
urlo, di pianto, di ebbrezza, / s'ode una voce infinita / che spasima nella
gran chiarezza / l'inno alla vita. Ne Gli
orti, raccolta che uscì postuma nel 1918 (il poeta era morto nella Grande
Guerra durante l'anno precedente), indimenticabile è l'immagine del cane
descritto nella poesia intitolata Ò visto:
Ò visto le monache passare tra i letti /
dell'ospedale, / passare piane leggere / con un ticchettìo di rosari / sulle
gonne grossolane; / e avevano gli occhi buoni, / gli occhi sommessi e calmi, /
e io mi sono ricordato di Dog, / del mio povero cane, / che mi guardava con
occhi simili / quando io ero malato...
In Liriche (1904) di Tito Marrone, ci sono
due poesie che vedono protagonisti gli animali; nella prima, intitolata Gli usignoli, e che si compone di soli
otto versi, il poeta siciliano crea un paesaggio notturno e favoloso, reso
ancor più affascinante dal meraviglioso canto degli usignoli. La seconda, che
s'intitola Il gatto, è una sorta
d'ammonimento per mettere in guardia gli uomini che, ingannati dall'apparenza
tranquillizzante del felino, si provano ad accarezzarlo mentre dorme disteso
sotto i raggi del sole; ma il gatto, infastidito dal gesto amichevole,
improvvisamente si ribella e con le unghie ferisce la mano dell'improvvido
essere umano, per poi tornare, di nuovo tranquillo, a crogiolarsi al sole.
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