domenica 13 febbraio 2022

Gli animali nei versi dei poeti crepuscolari


 


A volte, leggendo i versi dei poeti che più amo, ovvero i crepuscolari, ho notato la presenza di animali, che in alcuni casi, sono i protagonisti assoluti di determinate poesie. In effetti, rileggendo attentamente un po' tutti i loro versi, viene fuori che Gozzano così come Corazzini, Moretti, Govoni e Palazzeschi - tanto per citare i nomi più famosi di questa scuola - amavano gli animali, e alcuni tra loro ne avevano anche in casa o in giardino. Il più esagerato, in questo particolare settore, è ancora una volta Corrado Govoni, che già a partire dalla sua prima raccolta, Le fiale (1903), ne cita diversi; nei sonetti che occupano interamente questo libro di versi, infatti, compaiono passeri, api, rondini, cigni, pavoni, cardellini, tordi, beccacce e capinere. In Armonia in grigio et in silenzio (1903), già a partire dalla dedica - che riporto di seguito - si parla d'animali:

 

  Al mio bianco micio, affinché non mi graffi più le mani quando io giuoco con lui ed impari a non voler più assaltare i poveri canarini ogni volta che li vede, e di vivere sempre d'accordo con loro, come fa con la colombina.

 

E a proposito di gatti, questa raccolta contiene due poesie dedicate ai felini domestici: I gatti bianchi e La siesta del micio. Anche in Fuochi d'artifizio: volume poetico dello stesso Govoni, pubblicato nel 1905, i gatti sono più volte citati; a tal proposito, bellissima è la poesia intitolata Le litanie del mao. In queste pagine, oltre ai gatti, si parla più volte di rondini (animali particolarmente cari al poeta emiliano), come nei versi di Dialogo delle rondini tornate col poeta, dove, come fa ben capire il titolo, s'instaura una sorta di colloquio tra gli uccelli e l'autore dei versi, nel periodo in cui questi pennuti sono soliti ritornare a popolare i tetti delle città italiane. Per quel che riguarda Gli aborti (1907), ovvero l'ultimo volume prettamente crepuscolare di Govoni, mi limito ad elencare i titoli delle poesie in cui compaiono degli animali: Il tritone; La chiocciola; Il canto del gallo; Le api; Le farfalle; Gli uomini e i cani del re; Dove stanno bene gli uccelli; Ai corvi. Govoni, anche nelle raccolte successive, in cui abbracciò - soltanto parzialmente - altre correnti poetiche, continuò a descrivere moltissimi animali, praticamente fino all'ultimo libro di poesie pubblicato postumo.

Passando a Sergio Corazzini, nelle raccoltine del poeta romano vi sono soltanto brevi accenni ad animali come le rondini, i ragni, gli agnelli ed i gatti; a proposito dei felini, indimenticabili per me sono i versi di Bando, in cui Corazzini esprime il desiderio di dormire, proprio come un gatto, fino alla fine dei secoli. Ma è nei versi sparsi, rintracciabili in riviste e giornali del primissimo Novecento, che Corazzini inserisce qualche animale, erigendolo a protagonista del componimento poetico; è il caso dei due sonetti intitolati rispettivamente L'agnello e L'oca (il secondo è in dialetto romanesco); infine, torna di nuovo il felino più domestico del mondo nella breve poesia Il gatto e la luna.

Volendo ora parlare di Guido Gozzano, si può dire che già nella sua prima raccolta: La via del rifugio (1907), vi siano due sonetti in cui gli animali - in questo caso l'oca e il cardellino - sono presenti in modo importante; ne I colloqui (1911), rimangono impressi nella mente - tra i tanti indimenticabili - i versi in cui si parla di Makakita: lo scimpanzé freddoloso citato nella poesia In casa del sopravvissuto, che il poeta tiene in braccio, seduto davanti al caminetto, in una gelida giornata invernale. Non meno suadenti sono le disperate cetonie capovolte dell'ultima poesia della raccolta (è la seconda che porta il medesimo titolo di quest'ultima), che il poeta un tempo aiutava a rimettersi in piedi, spinto da un senso di pietà verso questi animaletti in chiara difficoltà. Si potrebbe andare ancora avanti, parlando dei grilli, delle falene e delle rondini: animali citati nel poema La signora Felicita ovvero la Felicità, e di altri ancora. Per ultime, ovviamente, si ricordano Le farfalle: protagoniste dell'omonimo poema mai pubblicato in vita dallo scrittore piemontese.

Anche Marino Moretti, già nella raccolta Poesie scritte col lapis (1910), si rivela amico degli animali; lo stanno a dimostrare diverse liriche, come La domenica dei cani randagi e La domenica dell'orso, entrambe rintracciabili nella sezione intitolata Le domeniche; di altro tono è un'altra poesia, intitolata Aquila, presente nella sezione Alcune poesie scritte con la penna; qui infatti il poeta romagnolo confessa la sua immensa ammirazione per il nobile rapace, cui vorrebbe assomigliare. In Poesie di tutti i giorni (1911), c'è un poema intitolato Frate Asino, in cui si narra la storia di un frate e di un asino; quest'ultimo improvvisamente apparso alle soglie del convento, e immediatamente accolto con entusiasmo dai religiosi. Con lo stesso titolo e con qualche variante, il poema fu riproposto da Moretti anche nella raccolta Il giardino dei frutti (1916).

Nelle primissime raccolte di Aldo Palazzeschi, e in particolare ne I cavalli bianchi (1905), alcuni animali compaiono nei paesaggi favolistici del tutto personali, caratterizzati da una sorta di accidia, d'irrigidimento molto vicino all'immobilismo, con cui il poeta toscano partecipò a modo suo alla stagione poetica cosiddetta crepuscolare. Pappagalli che si chiudono in un mutismo ostinato; civette posate sui rami degli alberi, che ridono guardando le acque tranquille del fiume che scorre sotto di loro; anguille enormi, che vivono dentro una vasca, e che la gente cerca di pescare per mangiarsele; cigni, pavoni e gatti (tutti rigorosamente bianchi) che circondano un principe particolarmente affascinante: sono questi gli animali che s'incontrano leggendo i primi versi di Palazzeschi; ma gli animali continueranno ad essere inclusi anche nelle raccolte futuriste dello scrittore fiorentino, con altri ruoli e, addirittura, con la possibilità di parlare, come nella poesia La morte di Cobò.

Fausto Maria Martini, nella sua prima raccolta intitolata Le piccole morte (1906), parla di alcuni animali, soprattutto uccelli, come nel componimento "In cordis vigilia", dove resta indelebile nella memoria la bellissima immagine dei passeri che volano verso un cipresso, e ivi si addormentano come nelle braccia /  d'una mamma per tutti. Un'altra poesia del medesimo libro s'intitola Le colombe; qui, però, i pennuti si fanno desiderare e vengono invocati dal poeta, che ne sente la mancanza. Nella successiva raccolta: Panem nostum..., gli animali sono presenti raramente; compaiono, per esempio, nella breve poesia La lucciola e il serpente, dove l'insetto e il rettile, così come la "farfalla d'oro" del penultimo verso, probabilmente rappresentano dei simboli ben precisi. Le rondini, invece, sono le protagoniste di altri versi e di una prosa poetica, che è possibile leggere nel volume Tutte le poesie (1969), e che comparvero per la prima volta in riviste del primo Novecento.  

Pochissime tracce di animali si trovano nell'unica raccolta di versi, Sogno e ironia, pubblicata da Carlo Chiaves nel 1910. C'è soltanto una poesia, intitolata Ragnateli, in cui lo scrittore piemontese loda il ragno, ovvero l'artefice di una tela perfetta; l'animaletto non viene mai nominato, ma è definito "artista", e, pur ammettendo che la sua opera possegga caratteristiche architettoniche praticamente impeccabili, comprende che, alla fine, tale capolavoro altro non è che una trappola, per catturare gli insetti di cui il ragno si nutre. Tra le Poesie sparse, presenti nel volume Tutte le poesie edite e inedite (1971), c'è un'altra lirica: Cappuccetto rosso, che è una vera e propria parodia della famosa favola; qui, il lupo famelico che divora Cappuccetto rosso, è divenuto un animale mansueto, simile ad un agnello, perché abilmente ammaestrato dalla diabolica ragazzina.

Giulio Gianelli, nella sezione finale - intitolata Due favole - che fa parte della sua raccolta poetica più importante: Intimi vangeli (1908), inserisce tre animali: una chioccia, una capretta e un'agnellina, che sono i protagonisti di due poesie assai semplici e delicate; entrambe, per determinate caratteristiche, ricordano certi versi di Giovanni Pascoli e di Angiolo Silvio Novaro.

Pochissimi riferimenti ad animali si rintracciano nell'opera poetica di Carlo Vallini; per citarne qualcuno, vi sono delle rondini che volano attorno alla casa del nonno scomparso nel quinto dei Sonetti della casa, in La rinunzia (1907); mentre in La pietà, settimo capitolo del poemetto Un giorno (1907), il poeta chiede clemenza a Dio, per una serie di sue mancanze e, tra le altre: per l'anima mia che si sente / a un tempo grande ed inane: / umile innanzi a un cane, / superba innanzi al saccente [...] pel piccolo insetto modesto / che s'affanna e che non si vede / e ch'io, camminando, col piede / inconsciamente calpesto.

Nelle poesie di Nino Oxilia non mancano certo degli animali; già nei Canti brevi (1909), si nota, qua e là, la presenza di corvi, rospi, lucciole e, soprattutto di rondini, come nei seguenti versi: Le rondini volano a sciami. / Si inseguono, vanno attorno / e pare che dicano «m'ami?» / «non vedi che è finito il giorno?». / Son lungi, cinguettano piano, / poi giungono e allora un umano / urlo, di pianto, di ebbrezza, / s'ode una voce infinita / che spasima nella gran chiarezza / l'inno alla vita. Ne Gli orti, raccolta che uscì postuma nel 1918 (il poeta era morto nella Grande Guerra durante l'anno precedente), indimenticabile è l'immagine del cane descritto nella poesia intitolata Ò visto: Ò visto le monache passare tra i letti / dell'ospedale, / passare piane leggere / con un ticchettìo di rosari / sulle gonne grossolane; / e avevano gli occhi buoni, / gli occhi sommessi e calmi, / e io mi sono ricordato di Dog, / del mio povero cane, / che mi guardava con occhi simili / quando io ero malato...

In Liriche (1904) di Tito Marrone, ci sono due poesie che vedono protagonisti gli animali; nella prima, intitolata Gli usignoli, e che si compone di soli otto versi, il poeta siciliano crea un paesaggio notturno e favoloso, reso ancor più affascinante dal meraviglioso canto degli usignoli. La seconda, che s'intitola Il gatto, è una sorta d'ammonimento per mettere in guardia gli uomini che, ingannati dall'apparenza tranquillizzante del felino, si provano ad accarezzarlo mentre dorme disteso sotto i raggi del sole; ma il gatto, infastidito dal gesto amichevole, improvvisamente si ribella e con le unghie ferisce la mano dell'improvvido essere umano, per poi tornare, di nuovo tranquillo, a crogiolarsi al sole.

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