Nacque a Torino nel 1896 e morì a Kabul (Afganistan) nel 1934. Poeta, giornalista e politico, pubblicò la sua prima raccolta di versi appena diciottenne; ancora giovanissimo diresse la rivista La Brigata insieme a Bino Binazzi; collaboratore con versi, articoli e saggi della Diana, del Popolo d'Italia e del Giornale del Mattino, fu anche vice-direttore del Resto del Carlino. Dedicatosi alla politica a partire dal 1924, ebbe, fino alla prematura morte, diversi e prestigiosi incarichi all'estero. Poeticamente parlando, Meriano fa parte di quella generazione che subì le influenze di correnti e movimenti fondamentali quali crepuscolarismo e futurismo; egli ne fu inizialmente un seguace; in seguito però, si avvicinò decisamente ad un frammentismo sia prosastico che poetico, caro agli scrittori della Voce. Da quest'ultima tendenza scaturirono i migliori risultati letterari di Meriano, sia che si parli di versi veri e propri, sia di prose poetiche o narrative.
Opere poetiche
"Gli Epicedi
e altre poesie", «La Fiorita», Teramo 1914.
"Equatore
notturno - Parole in libertà", Edizioni Futuriste di «Poesia», Milano
1916.
"Croci di
legno", Vallecchi, Firenze 1919.
Presenze in
antologie
"Antologia
della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C.,
Milano 1923 (pp. 405-407).
"Le più
belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe,
Carabba, Lanciano 1928 (vol. 5, pp. 42-49).
"I poeti del
Futurismo 1909-1944" a cura di Glauco Viazzi, Longanesi & C., Milano 1978
(pp. 399-406).
Testi
CONFESSIONE
Anima, mi
raccolgo
col tuo solo
dolore,
odo la tua
parola,
il tuo profumo
colgo
come un solingo
fiore,
sento il verso
che vola
dal tuo dolce
mistero
come il corvo
rapace
nella notte
verace
s'alza da un
cimitero.
Anima, non
godemmo
dell'altra
gioventù,
che freme nella
vita;
l'ebrezza non
bevemmo.
Quel che
ghirlanda fu
ora è fronda
appassita.
Tardi? Perché,
contrari
a tutto ciò che è
gioia,
preferimmo la
noia
di studi
solitari?
Ricordo. Noi
guardammo
negli occhi della
folla
gelida, muta,
ostile;
ed odio vi
trovammo:
e non l'odio che
scrolla
ma l'odio che fa
vile.
Ah non per quelle
bocche
fu pane il nostro
canto!
Si ribevvero il
pianto
le nostre stesse
bocche.
E cantammo in un
angolo
del mondo, il più
deserto,
il Dolore, ove
pochi,
i profughi del
fango,
quelli che più
han sofferto,
tengono accesi i
fuochi
delle loro
speranze.
Oh, più del
vostro amore,
il nostro alto
dolore
è ricco
d'esultanze!
Cantammo
nell'angoscia
il pianto che
divora,
lo scherno che
distrugge,
la risata che
scroscia,
ma non l'odio che
accora,
la menzogna che
fugge,
l'insulto che ha
paura.
Fu limpido ogni
verso,
ogni pensiero
terso
ed ogni strofe
pura.
La Morte ora
s'appressa.
Non ho più forze;
sono
debole, sono
vuoto.
L'anima si
confessa,
l'anima vuol
perdono,
il cuore è quasi
immoto.
Rimpiango il
sacrifizio,
la gioventù
perduta,
la coppa non
bevuta
per non cedere al
vizio.
Sono come
precinto
romito che si
muore
e nelle fibre
dure
sente, non ancor
vinto,
lo stimolo
d'amore,
e il sole agogna.
E pure
nella sua cella
oscura
gli toccherà
morire,
e la vedrà
riempire
di brame e di
paura.
Voglio godere! E
pure
stanca è la man,
la fronte
pesa, il capo
riarde.
Godon l'altre
creature
la loro vita
d'onte
e di fedi
bugiarde.
Oh, anch'io!
Ch'io provi
la vita coi suoi
mali,
le sue gioie
fatali,
i suoi palpiti
nuovi!
Anima, viver
voglio
quest'orgia della
gloria
che m'arde in
ogni vena.
Per il mio vasto
orgoglio
la Musa è una
Vittoria,
la Despota è una
Menade;
i versi son
l'assenzio
che inebria e che
rapisce,
gli steli che
fiorisce
l'angoscia del
Silenzio.
Inebriami di
canto!
Del canto più
selvaggio,
del canto più
sfrenato,
non più pregno di
pianto,
ma che sappia di
maggio
e di fieno
falciato.
Ch'io senta sulla
bocca
un'altra bocca, quella
della dolce
sorella,
che un bacio
ardente scocca.
(da "Gli
Epicedi ed altre poesie", 1914)
SPLEEN
Primavera di
penitenza,
tutto è spento e
incenerito.
Una spettrale
sonnolenza
ci addormenta
nell'infinito.
E quelle ali così
stanche,
così inutili e
pesanti!
E le strade afose
e bianche
sotto il passo
dei mendicanti!
Disperazione
delle ore
che si annoiano a
misurare
con triste
meccanico cuore
tutte le gocce di
questo mare!
Di questo mare
desolato,
come un lago
calmo ed uguale
dove ogni ricordo
è annegato
in una pace
mortale!
O Primavera
malata,
nel letargo della
natura,
dalla nera terra
è sbocciata
una malvagia
fioritura.
Fiori di tutte le
voglie,
fiori d'amari
peccati,
che uccidono chi
li coglie
coi profumi
avvelenati...
Non ci sono che i
loro colori
sulla terra
addormentata:
sotto il male di
cui tu muori,
O Primavera
avvelenata!
[da "Croci
di legno (1916-1919)", 1919]
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