I versi dei poeti
simbolisti parlano spesso di occhi femminili, che posseggono una serie di
requisiti e, direi, di poteri tali da ipnotizzare chi li osserva. A volte sono
paragonati a pietre preziose (Angeli, Cena), altre volte ai laghi e alle ruote
dei pavoni, come fa Govoni, che in Ottavario
degli occhi elenca una serie di tipologie relative agli occhi, tutte
associate a determinate categorie dell'umanità. Ci sono dei poeti
(Guglielminetti, Oxilia) che ripensano agli sguardi fuggitivi del passato,
rammaricandosi del fatto che il tempo abbia travolto inesorabilmente quegli
occhi incontratisi per brevissimo tempo. A volte l'occhio non è umano, come
nella poesia di Garoglio, che vede l'orbita lunare simile ad un occhio stanco,
che lo osserva "infermo attediato
senza alcuna / speranza..."; alla stessa stregua, Venditti vede
l'occhio lunare il quale, stanco di vegliare "su 'l mondo che soffre e non dorme", piangendo si sprofonda
nel mare. C'è poi un'aura di mistero che di sovente aleggia nella presenza di
occhi quanto mai insondabili e di cui non si conosce neppure il proprietario
(in quest'ultimo caso essi terrorizzano il povero poeta che si sente osservato
in qualunque momento); Moscardelli invece, identifica degli occhi che si
aggirano per le strade del mondo in ogni momento, in cerca di "fratelli lontani / sperduti, sconosciuti".
Diego Angeli: "I
suoi occhi" e "Il mistero degli occhi" in "L'Oratorio
d'Amore. 1893-1903" (1904).
Giovanni Cena:
"Gli occhi" e "Quegli occhi" in "In umbra"
(1899).
Giovanni Alfredo
Cesareo: "Gli occhi" in "Le poesie" (1912).
Guglielmo Felice
Damiani: "Occhi" in "Lira spezzata" (1912).
Arturo Foà: "Gli
occhi" in "Le vie del'anima" (1912).
Diego Garoglio:
"Occhio velato..." in "Sovra il bel fiume d'Arno" (1913).
Corrado Govoni:
"I tuoi occhi" e "Ottavario degli occhi" in "Gli
aborti" (1907).
Amalia
Guglielminetti: "Occhi ignoti" in "Le Seduzioni" (1909).
Corrado Govoni:
"Laghi" in "Le fiale" (1903).
Enzo Marcellusi:
"Gli occhi" in "I canti violetti" (1912).
Nicola Moscardelli:
"Occhi" in "La Veglia" (1913).
Ada Negri: "Gli
occhi" in "Dal profondo" (1910).
Nino Oxilia: "Al tetro buio crocicchio..." in
"Canti brevi" (1909).
Giovanni Tecchio:
"Gli occhi" in "Canti" (1931).
Mario Venditti:
"Il martire insonne" in "Il terzetto" (1911).
QUEGLI OCCHI
di Giovanni Cena
Perché..? Perché,
rincasando,
dovere tutte le sere
passare per quelle
nere
colonne dell'atrio?
Quando
la grande porta ebbi
aperta,
tremarono i miei
ginocchi.
Sempre, sempre quegli
occhi
dentro la tenebra
incerta!
Ristettero i piedi
gravi...
Dover passare,
lambire
quasi il suo corpo,
sentire
quegli occhi
rossastri, cavi,
larghi così che vie
più
parevano dilatarsi!
Io lo sentivo già
farsi
presso. Ma come si fu
in mezzo a l'atrio,
stette.
Densa era l'ombra su
lui.
Fuggire negli angoli
bui?
Strisciare lungo le
strette
pareti? Ma come, se
sentivo il suo petto
ansare
su me, la bocca
alitare
rapida, calda, su me?
Immoto stetti: non
più di
un attimo. Ah!
infinito!
E guardai inorridito
gli occhi. E sentii
come ignudi
coltelli gelidi,
acuti
lungo le carni
strisciare.
Gridare volli,
gridare...
Grevi erano i labri e
muti.
Quando mi scossi,
salii
rapido, come avessi
ale:
e seguianmi per le
scale
ansamenti e scivolii.
Apersi, chiusi, ed
entrai
sotto le coltri
tremante.
Rimasi per un istante
soffocato...
Ascoltai...
Udii alcuni rintocchi
lontani, brevi...
Ripresi
fiato. Poi tutto mi
stesi...
Orrore! con chiusi
gli occhi,
io vidi, vidi quegli
occhi
traverso le ciglia,
sempre,
traverso le coltri!
Sempre
quegli occhi! Sempre
quegli occhi!
(da "In
umbra", 1899)
GLI OCCHI
di Giovanni Tecchio
Stan la vita e la
morte in fondo agli occhi:
Tra la raminga umana
folla ascosi,
Balsami sono
all'anima preziosi,
O pur sottili
acuminati stocchi.
E neri e ardenti,
donde pare scocchi
Quasi un dardo
mortal; dolci e amorosi,
Aridi e freddi o in
lacrime pietosi,
Di virtù pieni o dal
dolor non tocchi.
In voi, vivi
carbonchi, o torvi o queti,
O del color del mare
occhi sereni
Di vergini sognanti e
di poeti;
Soavi occhi di pie,
candide suore,
In voi, tinti d'amore
o di veleni,
L'arduo mistero è in
tutti voi del cuore.
(da
"Canti", 1931)
Odilon Redon, "Closed Eyes"
(da questa pagina web)
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