Nacque a Patranna nel 1881 e morì a Mazzara del Vallo nel 1960. Lavorò sempre nel settore scolastico, come docente e come direttore didattico. Poeta, prosatore e drammaturgo, collaborò a varie testate locali, tra le quali il Giornale di Sicilia e L'Ora. Le sue raccolte poetiche, distribuite nell'arco temporale di un trentennio, mostrano una marcata vicinanza al crepuscolarismo e al decadentismo; appartenne ad una generazione di poeti siciliani che possedevano un talento raro, e che andrebbe riesaminata in modo più approfondito, poiché, rileggendo le poesie di Caracci e di altri suoi coetanei e corregionali (tra cui spicca il nome di Tito Marrone), ci si accorge di quanto questi poeti fossero partecipi dei nuovi fermenti e delle moderne correnti poetiche che caratterizzarono la letteratura italiana del primissimo Novecento. Se ciò fosse fatto, emergerebbe anche la centralità di questo poeta, decisamente trascurato dalla critica sia a quei tempi che, tanto più, oggi.
Opere poetiche
"Ritmi
nostalgici", Tip. Asaro e Alessi, Patranna 1907.
"Campane a
sera...", Sandron, Palermo 1912.
"Cigno gentile", Sandron, Palermo 1918.
"I canti
della mia prigionia", Sandron, Palermo 1923.
"I canti di
una piccola vita", Sandron, Palermo 1930.
"Lontananze", Priulla, Palermo 1936.
"Canti del
crepuscolo", Priulla, Palermo 1938.
Presenze in
antologie
"La poesia
italiana di questo secolo", a cura di Pietro Mignosi, Edizioni del
Ciclope, Palermo 1929 (pp. 75-76).
Testi
MOTIVO INCOMPLETO
Un'ora è
trascorsa
mesta e
silenziosa...
È stata una
piccola corsa
quasi
misteriosa...
È stata una breve
rincorsa
triste, nel
triste passato
che vibra a volte
per poco,
un po' forte, un
po' roco,
per ritornare nel
nulla!
Oh, tu non
intendi, fanciulla...
...ritorna il
passato
su l'ali del
vento
come un'ondina a
la riva...
e parla: d'un
lungo tormento,
d'un triste
lamento,
d'un sogno, d'un
canto
e d'una corsa
vana
per i viali de la
speranza...
e parla d'un
suono
di mesta campana
e d'una piccola
tela
ne l'ora dei
sogni guardata:
e d'una foglia
staccata
in un tramonto di
fuoco,
in un tramonto di
sangue:
e d'una foglia di
rosa,
forse dimenticata
nel piccolo libro
di seta:
piccola foglia di
rosa
da l'ombra e dal
tempo corrosa.
(da "Campane
a sera...", Sandron, Palermo 1912, pp. 15-16)
DALLE MEMORIE
Noi ci
lasciammo...
(Oh come ricordo
quel giorno,
quel giorno
triste di pianto!)
Eran cadute le
foglie:
tutte, tutte le
foglie eran cadute...
Era pallido il
sole
come viso di
bimba malata,
ed eran tristi i
tramonti...
Noi li guardammo,
ricordi?
colla morte nel
cuore,
e muti stavamo:
eran fredde
le anime
nostre...
(povere anime
morte
col morire de le
foglie,
col morire dei
fiori!)
Noi ci
lasciammo...
Veniva dai monti
un soffio gelido:
sembrava a volte
un lamento,
a volte sembrava
un accento,
un sussurrare
malato
di cose cadute,
di cose perdute.
Noi ci lasciammo:
per quanto?
per sempre, per
sempre...
Fu lungo
l'inverno...
più lungo de gli
altri
passati
d'accanto...
più lungo, più
lungo...
Poi vennero i
fiori,
poi vennero i
lieti tramonti,
e tutto sorrise
per gli altri:
ma nulla sorrise
per noi!
Più nulla?
Perché non
sentimmo
più nulla del
vecchio passato?
perché non
sorrise più nulla
per noi?
(da "Campane
a sera...", 1911, Sandron, Palermo 1912, pp. 39-40)
CASETTA CHIUSA
Sorvolando su
tutte le distanze,
al mio pensiero
greve di mestizia,
s'affaccia, come
tomba gentilizia,
una casetta dalle
vuote stanze:
casetta bianca su
la verde altura,
coll'orticello
fra muretti bassi,
dove volgevo i
miei rapidi passi,
con un sogno
nell'anima sicura!
Alone triste,
alone de la morte,
vuote le stanze,
chiuse le porte!
(da
"Lontananze", Priulla, Palermo 1936, p. 16)
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