domenica 20 settembre 2020

Poeti dimenticati: Franco Caracci

 Nacque a Patranna nel 1881 e morì a Mazzara del Vallo nel 1960. Lavorò sempre nel settore scolastico, come docente e come direttore didattico. Poeta, prosatore e drammaturgo, collaborò a varie testate locali, tra le quali il Giornale di Sicilia e L'Ora. Le sue raccolte poetiche, distribuite nell'arco temporale di un trentennio, mostrano una marcata vicinanza al crepuscolarismo e al decadentismo; appartenne ad una generazione di poeti siciliani che possedevano un talento raro, e che andrebbe riesaminata in modo più approfondito, poiché, rileggendo le poesie di Caracci e di altri suoi coetanei e corregionali (tra cui spicca il nome di Tito Marrone), ci si accorge di quanto questi poeti fossero partecipi dei nuovi fermenti e delle moderne correnti poetiche che caratterizzarono la letteratura italiana del primissimo Novecento. Se ciò fosse fatto, emergerebbe anche la centralità di questo poeta, decisamente trascurato dalla critica sia a quei tempi che, tanto più, oggi.

 

 

 

 

Opere poetiche

 

"Ritmi nostalgici", Tip. Asaro e Alessi, Patranna 1907.

"Campane a sera...", Sandron, Palermo 1912.

"Cigno gentile", Sandron, Palermo 1918.

"I canti della mia prigionia", Sandron, Palermo 1923.

"I canti di una piccola vita", Sandron, Palermo 1930.

"Lontananze", Priulla, Palermo 1936.

"Canti del crepuscolo", Priulla, Palermo 1938.

 

 


 

 

Presenze in antologie

 

"La poesia italiana di questo secolo", a cura di Pietro Mignosi, Edizioni del Ciclope, Palermo 1929 (pp. 75-76).

 

 

 

 

Testi

 

 

MOTIVO INCOMPLETO

 

Un'ora è trascorsa

mesta e silenziosa...

È stata una piccola corsa

quasi misteriosa...

È stata una breve rincorsa

triste, nel triste passato

che vibra a volte per poco,

un po' forte, un po' roco,

per ritornare nel nulla!

Oh, tu non intendi, fanciulla...

...ritorna il passato

su l'ali del vento

come un'ondina a la riva...

e parla: d'un lungo tormento,

d'un triste lamento,

d'un sogno, d'un canto

e d'una corsa vana

per i viali de la speranza...

e parla d'un suono

di mesta campana

e d'una piccola tela

ne l'ora dei sogni guardata:

e d'una foglia staccata

in un tramonto di fuoco,

in un tramonto di sangue:

e d'una foglia di rosa,

forse dimenticata

nel piccolo libro di seta:

piccola foglia di rosa

da l'ombra e dal tempo corrosa.

 

(da "Campane a sera...", Sandron, Palermo 1912, pp. 15-16)

 

 

 

 

DALLE MEMORIE

 

Noi ci lasciammo...

(Oh come ricordo quel giorno,

quel giorno triste di pianto!)

Eran cadute le foglie:

tutte, tutte le foglie eran cadute...

Era pallido il sole

come viso di bimba malata,

ed eran tristi i tramonti...

Noi li guardammo, ricordi?

colla morte nel cuore,

e muti stavamo: eran fredde

le anime nostre...

(povere anime morte

col morire de le foglie,

col morire dei fiori!)

 

Noi ci lasciammo...

Veniva dai monti un soffio gelido:

sembrava a volte un lamento,

a volte sembrava un accento,

un sussurrare malato

di cose cadute,

di cose perdute.

 

Noi ci lasciammo: per quanto?

per sempre, per sempre...

Fu lungo l'inverno...

più lungo de gli altri

passati d'accanto...

più lungo, più lungo...

Poi vennero i fiori,

poi vennero i lieti tramonti,

e tutto sorrise per gli altri:

ma nulla sorrise per noi!

 

Più nulla?

Perché non sentimmo

più nulla del vecchio passato?

perché non sorrise più nulla

per noi?

 

(da "Campane a sera...", 1911, Sandron, Palermo 1912, pp. 39-40)

 

 

 

 

CASETTA CHIUSA

 

Sorvolando su tutte le distanze,

al mio pensiero greve di mestizia,

s'affaccia, come tomba gentilizia,

una casetta dalle vuote stanze:

 

casetta bianca su la verde altura,

coll'orticello fra muretti bassi,

dove volgevo i miei rapidi passi,

con un sogno nell'anima sicura!

 

Alone triste, alone de la morte,

vuote le stanze, chiuse le porte!

 

(da "Lontananze", Priulla, Palermo 1936, p. 16)

 

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