Nacque ad Orta Novarese nel 1870 e morì a Torino nel 1920. Di famiglia benestante, dopo essersi diplomato lavorò per poco tempo come ragioniere e impiegato bancario; poco più che ventenne pubblicò il suo primo e unico libro di versi e, nello stesso periodo, incominciò a collaborare con giornali e riviste, scrivendo soprattutto prose. Agli albori del Novecento entrò in pianta stabile alla Stampa di Torino, e per questo giornale lavorò come corrispondente anche a Parigi e a Londra. Morì a soli cinquant'anni. Malgrado, anche in tempi recenti, siano stati pubblicati dei libri che contengono gran parte della sua opera poetica, ho voluto inserirlo ugualmente tra i poeti dimenticati, perché certamente, se non rientra oggi nella categoria, vi rientrava fino a poco tempo fa. I suoi esordi poetici, poco significativi, si rifanno al gusto tardo-ottocentesco; gli altri versi, pubblicati su varie riviste e riscoperti soltanto dopo la sua morte, mostrano accenti crepuscolari, che, pur partendo da una base d'ironia, spesso sfociano nel sarcasmo e nella comicità. Buone sono le sue traduzioni delle poesie di Edgar Allan Poe.
Opere poetiche
"Ombra", Tipografia Operaia, Novara 1891.
"Poesie", Chiantore, Torino 1927 (2° edizione, Martello, Milano 1956).
"Poesie e
prose", Scheiwiller, Milano 1978.
"I bevitori
di stelle e altre poesie", Scriptorius, Orta San Giulio 1997.
"Buchi nella
sabbia e pagine invisibili. Poesie e prose", Einaudi, Torino 2000.
Presenze in
antologie
"L'antologia
dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e
Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 195-204).
"Così per
gioco", a cura di Guido Davico Bonino, Einaudi, Torino 2001 (pp. 677-688).
"Torino Art
Nouveau e Crepuscolare", a cura di Roberto Rossi Precerutti, Crocetti,
Milano 2006 (pp. 45-49).
"Poeti per
Torino", a cura di Roberto Rossi Precerutti, Viennepierre, Torino 2008
(pp. 39-41).
Testi
ROSE SFOGLIATE
Dal parco mi
sento
venire a folate
un balsamo lento
di rose
sfogliate,
un balsamo lento
perché già
l’estate
declina, ed il
vento
le rose ha
sfogliate.
Ed ecco, a
sembianza
d’un fiato di
rose
sfogliate in
distanza
mi giunge da
ascose
memorie,
fragranza
d’assai vecchie
cose
siccome di rose
sfogliate in
distanza.
(da "Buchi
nella sabbia e pagine invisibili. Poesie e prose", p. 22)
IL MIO FUNERALE
Quando, uditemi
amici, quando avvenga
che questa che mi
rosica cirrosi
il fegato e
dintorni m'abbia rosi,
come cirrosi fa
che si convenga,
quando il medico,
chiusa la sua cura,
ordinerà
«portatelo pur via!»,
io voglio, per
andar a casa mia
sottoterra, una
magna sepoltura.
Ravvivatemi a
tocchi di carmino
sapientemente la
figura smunta;
questo fate, e
indoratemi la punta
del naso e
spruzzolatemi di vino
odoroso, che non
m'abbia più l'aspetto
di un comune
cadavere, e i capelli
fatemi tutti di
vïola belli
e un non mai
visto m'abbia cataletto.
Trascinino la mia
spoglia mortale
sei porcellini
tinti in verde e giallo
e Francesco
Pastonchi, alto, a cavallo,
proclami «Che
stupendo funerale!»
Cento musici in
abito d'arconte
annunzino la mia
corsa a Plutone
soffiando ampi
venti di polmone
in cave corna di
rinoceronte.
E cento bande
strepitino poi
di strumenti
impensati, impreveduti:
clisocorni,
arcoflauti, fiascoimbuti,
trombicefali ed
arpe-innaffiatoi.
Accorrano le
turbe al pio passaggio
e a strilli, ad
urla, a voci mozze e mezze,
si narrino le mie
scelleratezze
e mi paia d'udire
il lor linguaggio:
«Era il Gran Kan,
il Padiscià degli orsi,
«Dei Bramini
ridea, come di paria
«Era padrone di
un castello in aria
«E si beveva il
cielo in quattro sorsi
«Viveva nei più
luridi angiporti...
«non aveva la
testa troppo salda...
«Mangiava il
cardo con la bagna calda
«di notte in
compagnia di beccamorti.»
Infine sempre mi
si tolga al sole
in una cripta, a
un labirinto in fondo;
e tutti quanti i
fior che sono al mondo,
tralci di rose,
cespi di vïole,
effondano la loro
primavera
fin giù nel buio
delle mie caverne.
Ma siccome son io
ch'ho da goderne,
i miei fiori
piantateli in maniera
che le radici
siano volte in alto
e le corolle
sboccino sotterra...
Di sopra al sasso
poi che mi rinserra
questa epigrafe
scrivasi in ismalto:
«Qui giace
ERNESTO RAGAZZONI D'ORTA
«nacque l'otto
gennaio mille ed otto-
centosettanta» e
sotto, questo motto:
«D'essere stato
vivo non gl'importa».
(da "Buchi
nella sabbia e pagine invisibili", pp. 149-151)
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