domenica 9 agosto 2020

Poeti dimenticati: Ernesto Ragazzoni

 Nacque ad Orta Novarese nel 1870 e morì a Torino nel 1920. Di famiglia benestante, dopo essersi diplomato lavorò per poco tempo come ragioniere e impiegato bancario; poco più che ventenne pubblicò il suo primo e unico libro di versi e, nello stesso periodo, incominciò a collaborare con giornali e riviste, scrivendo soprattutto prose. Agli albori del Novecento entrò in pianta stabile alla Stampa di Torino, e per questo giornale lavorò come corrispondente anche a Parigi e a Londra. Morì a soli cinquant'anni. Malgrado, anche in tempi recenti, siano stati pubblicati dei libri che contengono gran parte della sua opera poetica, ho voluto inserirlo ugualmente tra i poeti dimenticati, perché certamente, se non rientra oggi nella categoria, vi rientrava fino a poco tempo fa. I suoi esordi poetici, poco significativi, si rifanno al gusto tardo-ottocentesco; gli altri versi, pubblicati su varie riviste e riscoperti soltanto dopo la sua morte, mostrano accenti crepuscolari, che, pur partendo da una base d'ironia, spesso sfociano nel sarcasmo e nella comicità. Buone sono le sue traduzioni delle poesie di Edgar Allan Poe.


 


Opere poetiche

 

"Ombra", Tipografia Operaia, Novara 1891.

"Poesie", Chiantore, Torino 1927 (2° edizione, Martello, Milano 1956).

"Poesie e prose", Scheiwiller, Milano 1978.

"I bevitori di stelle e altre poesie", Scriptorius, Orta San Giulio 1997.

"Buchi nella sabbia e pagine invisibili. Poesie e prose", Einaudi, Torino 2000.

 

 

 

 

Presenze in antologie

 

"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 195-204).

"Così per gioco", a cura di Guido Davico Bonino, Einaudi, Torino 2001 (pp. 677-688).

"Torino Art Nouveau e Crepuscolare", a cura di Roberto Rossi Precerutti, Crocetti, Milano 2006 (pp. 45-49).

"Poeti per Torino", a cura di Roberto Rossi Precerutti, Viennepierre, Torino 2008 (pp. 39-41).

 

 

 

 

Testi

 

 

ROSE SFOGLIATE

 

Dal parco mi sento

venire a folate

un balsamo lento

di rose sfogliate,

 

un balsamo lento

perché già l’estate

declina, ed il vento

le rose ha sfogliate.

 

Ed ecco, a sembianza

d’un fiato di rose

sfogliate in distanza

mi giunge da ascose

 

memorie, fragranza

d’assai vecchie cose

siccome di rose

sfogliate in distanza.

 

(da "Buchi nella sabbia e pagine invisibili. Poesie e prose", p. 22)

 

 

 

 

IL MIO FUNERALE

 

Quando, uditemi amici, quando avvenga

che questa che mi rosica cirrosi

il fegato e dintorni m'abbia rosi,

come cirrosi fa che si convenga,

 

quando il medico, chiusa la sua cura,

ordinerà «portatelo pur via!»,

io voglio, per andar a casa mia

sottoterra, una magna sepoltura.

 

Ravvivatemi a tocchi di carmino

sapientemente la figura smunta;

questo fate, e indoratemi la punta

del naso e spruzzolatemi di vino

 

odoroso, che non m'abbia più l'aspetto

di un comune cadavere, e i capelli

fatemi tutti di vïola belli

e un non mai visto m'abbia cataletto.

 

Trascinino la mia spoglia mortale

sei porcellini tinti in verde e giallo

e Francesco Pastonchi, alto, a cavallo,

proclami «Che stupendo funerale!»

 

Cento musici in abito d'arconte

annunzino la mia corsa a Plutone

soffiando ampi venti di polmone

in cave corna di rinoceronte.

 

E cento bande strepitino poi

di strumenti impensati, impreveduti:

clisocorni, arcoflauti, fiascoimbuti,

trombicefali ed arpe-innaffiatoi.

 

Accorrano le turbe al pio passaggio

e a strilli, ad urla, a voci mozze e mezze,

si narrino le mie scelleratezze

e mi paia d'udire il lor linguaggio:

 

«Era il Gran Kan, il Padiscià degli orsi,

«Dei Bramini ridea, come di paria

«Era padrone di un castello in aria

«E si beveva il cielo in quattro sorsi

 

«Viveva nei più luridi angiporti...

«non aveva la testa troppo salda...

«Mangiava il cardo con la bagna calda

«di notte in compagnia di beccamorti.»

 

Infine sempre mi si tolga al sole

in una cripta, a un labirinto in fondo;

e tutti quanti i fior che sono al mondo,

tralci di rose, cespi di vïole,

 

effondano la loro primavera

fin giù nel buio delle mie caverne.

Ma siccome son io ch'ho da goderne,

i miei fiori piantateli in maniera

 

che le radici siano volte in alto

e le corolle sboccino sotterra...

Di sopra al sasso poi che mi rinserra

questa epigrafe scrivasi in ismalto:

 

«Qui giace ERNESTO RAGAZZONI D'ORTA

«nacque l'otto gennaio mille ed otto-

centosettanta» e sotto, questo motto:

«D'essere stato vivo non gl'importa».

 

(da "Buchi nella sabbia e pagine invisibili", pp. 149-151)

 

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