Prima di tutto devo ammettere che, quando per la prima volta lessi alcune poesie di Sergio Solmi (Rieti 1899 - Milano 1981), trovate in una famosa antologia, non ne rimasi entusiasmato e non seppi riconoscere l'enorme talento di questo scrittore; probabilmente i miei gusti poetici di allora erano un po' diversi da quelli di oggi... di sicuro c'è che con gli anni ho cambiato decisamente la mia idea e il mio giudizio sulla poesia di Solmi, e, leggendo i suoi versi dopo diverso tempo, ho addirittura adorato certe poesie che inizialmente mi lasciavano del tutto indifferente. Oggi considero lo scrittore laziale tra i migliori poeti italiani del Novecento. Quel che mi sembra certo, è che la poesia di Solmi non possa essere definita facile, anche se risulta quasi del tutto estranea all'ermetismo: corrente poetica che ha caratterizzato maggiormente il periodo in cui lo scrittore reatino pubblicava le sue prime raccolte di versi. Alcuni illustri critici hanno parlato, giustamente, di echi leopardiani, ed in effetti non è poi così difficile rintracciarli in vari suoi versi; ma è pur vero che Solmi non s'ispirò soltanto al Leopardi, ed ebbe il merito di prendere il meglio da diversi poeti italiani a lui contemporanei, come Saba, Cardarelli, Sbarbaro, Montale ecc. In più seppe inserire qualcosa di suo, di estremamente meditativo, che il lettore può ben percepire. Il suo amore per la fantascienza, inoltre, fece in modo che nascessero veri e propri capolavori poetici, difficilmente eguagliabili e paragonabili ad altre poesie sul medesimo argomento, pur scritte da ottimi autori. Grandiosa poi è la sua capacità di descrivere paesaggi, monumenti o addirittura oggetti, inserendo una carica vitale spontanea e un amore tangibile per tutto ciò che esiste di bello in natura. Accanto al Solmi poeta va sicuramente ricordato il prosatore, il saggista e il traduttore. Per approfondire la sua conoscenza, occorre semplicemente leggere le Opere che la casa editrice Adelphi ha pubblicato in diversi volumi a partire dal 1983. Chiudo riportando l'elenco delle raccolte poetiche pubblicate da Sergio Solmi (a parte l'ultimo volume che uscì postumo) e quindi tre poesie che sono fra le mie preferite.
"Fine di
stagione", Carabba, Lanciano 1933.
"Poesie",
Mondadori, Milano 1950.
"Levania e
altre poesie", Mantovani, Milano 1956.
"Dal balcone",
Mondadori, Milano 1968.
"Poesie
complete", Adelphi, Milano 1974.
"Opere, I. Poesie e versioni poetiche", Adelphi, Milano 1983.
Testi
ALLA BRUMA
Alfine sei
tornata, amica bruma!
Alle tue bigie
folate m'arrendo
e mi ritrovo come
in una patria,
lungi dal sole
disastroso, dalla
nuda luce che
odio. Come allevia
gli occhi feriti
il tuo sfumato, morbido
alone. Come
persuadi al giorno
l'umana, esatta
misura, la forma
della casa, e
discreta preannunci
lo studioso
inverno. Come infondere
sai all'intera vita
il molle indugio,
la stancata
dolcezza, l'abbandono
del caro istante
che precede il sonno.
(da "Opere,
Volume I, tomo primo", p. 57)
FERMATA
FACOLTATIVA
Va facendosi il
mondo d'anno in anno
sempre più bello.
Nel sole arretrando
s'addolcisce e si
fa minuta ed intima
la strada
cittadina, come il cavo
di due mani
accostate, a rivelare
il prezioso
accento d'una fronda
o un frammento
d'azzurro, e il verde tram
sopraggiungendo
fa d'ogni stagione
primavera.
O tu lindo liscio
nitido
mondo, i tuoi
quieti rumori!
Domani,
giunta di sua
bellezza al colmo, forse
la fragile
pellicola d'un tratto
schianterà
lacerata? Sarà solo
l'immenso fiore
di fumo di questa
nostra storia
incendiata a sollevarsi
tremando contro
un abolito cielo?
(da "Opere,
Volume I, tomo primo", p. 69)
I LEONI
Urlavano i leoni
nella notte,
gonfiavano nel
buio, dardeggiavano
l'ugola in fiamme
al fanciullo atterrito.
Di sotto al
vecchio armadio, d'improvviso
si stendeva la
zampa imperiosa,
si stirava,
graffiava l'impiantito.
Venne un giorno,
scomparvero i leoni.
Non c'erano
alla stazione di
Sovilla, sotto
le nuvole
ronzanti, s'anche uscivano
dal gioco
scomparendo
nel grano verde e
i compagni, se presso
volavano i
rametti al doppio colpo
lassù, dell'arboreo cecchino.
Non c'erano
più tardi,
nella città
divampante, nei laghi
di fosforo, a
filo
della pistola,
nella gabbia cieca
del prigioniero.
Oggi che l'ombre
della sera
s'infoltano, qualcosa
nel buio si
rimuove, silenziosi
dall'infanzia
ritornano i leoni?
Ah, ch'io più non
ne tremi, ch'io con fermo
cuore m'avvii,
ridiscenda
sulla soglia, a
incontrarli.
(da "Opere,
Volume I, tomo primo", p. 71)
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