Nacque a
Torino nel 1854 e morì a Napoli nel 1907. Figlio di Raffaele, famoso avvocato,
patriota e politico (fu ministro di Grazia e Giustizia per diversi anni nella
neonata nazione italiana), studiò a Siena e ivi si laureò in giurisprudenza; si
spostò quindi a Firenze e nel capoluogo toscano iniziò i suoi studi letterari.
Trasferitosi infine a Napoli, nella città partenopea trovò un impiego dapprima
nel Banco di Napoli, poi al Museo Nazionale, dove trovò il modo di occuparsi
anche di archeologia. È autore di libri di storia napoletana e di versi;
questi ultimi, quasi tutti dalla struttura poematica, si distinguono per una
evidente propensione verso il paganesimo, unita ad una spiccata tendenza verso
il romanticismo e l'erotismo.
Opere
poetiche
"Pompei",
Pierro, Napoli 1888.
"Esperia",
Vecchi, Trani 1889.
"Poema dei
baci", Pierro, Napoli 1892.
"Poema della
passione", Chiurazzi, Napoli 1898.
"I dodici
Cesari", D'Auria, Napoli 1902.
"La Spiaggia
delle Sirene", Marzano, Napoli 1905 (1910²)
"Sibari", Pironti, Napoli 1907.
Presenze in
antologie
"Dai
nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi,
Firenze 1903 (p. 116).
"I
poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano
1955-1958 (vol. V, pp. 49-53).
Testi
DIONISIACA
O cagne de
la rabbia andate, andate
al monte,
dove il coro
de le
figlie di Cadmo furioso
move la
danza bacchica; agitate
dei veli
l'ampie spire
in orgia di
baccanti.
Da la cima
rocciosa, ove s'inalza
il sacro
albero, erranti
le Menadi
vedrete a le montane
balze
discender ebbre,
agitando
dei cembali
sonanti i
crepitacoli.
Chi lor fu
madre? Nate
da fiera
leonessa o da gorgone
ne le
libiche tane,
insaziate
di lascivia, alternansi
quai bisce
in sozzi talami,
che non le
partorir viscere umane!
Chi son
queste femine,
che mai non
furon vergini?
Esse sen
vanno in corsa scapigliata
in lunga
teoria, là sovra l'erte
del
Citerone e vanno ognor ne l'ansia
di nove
ebbrezze,
invase da
lo spirito del Dio.
Quando
scintilla il vino
su per le
coronate
mense, i
colmi boccali
chiamano a
l'orgia i cori vendemmiali
di Cadmo;
sotto i pini
le
dissennate figlie, cui nel fianco
arde la
voluttà, fatta di morsi
di vipere e
assetate
tigri,
quando a Penteo
diedero
strazio con l'ugne voraci.
E canti
Bromio ardito:
La vita ha
breve fine,
e chi
l'eletta mente
volge a
sublimi cure,
non
consegue il presente.
Altro non
v'ha per noi che il dolce oblio
dei mali, e
lo concede amor soltanto!...
A le donne,
che Bacco ama, ed è vanto
piacere ai
giovinetti,
da le
ricciute chiome
e vellutate
guance,
fragranti
di disio,
dolce è
sfrenar le bianche
membra nei
baci inconsci de l'oblio.
Il Dio con
tempia carche
di draghi
in serti ed angui,
d'edera i
crin conserti,
per la
distesa ascolta
il suon dei
timballi,
e grida: A
le sorgenti
del foco
entro a le maschie
viscere, o
ditrambo,
disfrena le
tue molli
spire al
vischio dei baci.
Il racemoso
Iddio chiede ai celesti
non più che
sonno e oblio?...
(da
"Sibari")
Nessun commento:
Posta un commento