In queste poesie c'è
una evidente intenzione, da parte degli autori, di chiudere con la scrittura in
versi; in taluni casi, l'intenzione è ben più ampia e importante, trattandosi
di testamenti. È chiaro che si tratta di testamenti poetici, anche se, sebbene
raramente, si riscontrino una certa percentuale di indizi che fanno pensare a
veri e propri testamenti. È il caso dei versi di Enrico Fracassi, che si
suicidò a soli ventidue anni lasciando pochissime poesie inedite che furono
pubblicate molti anni dopo la sua scomparsa. Ma anche in altri casi emerge in
modo evidente una sincerità non discutibile: penso ai poeti destinati a morire
entro poco tempo per malattia, per vecchiaia o, ancora una volta, per loro
volontà. Ci sono poi casi in cui il poeta dichiara di chiudere la sua attività
letteraria, ma in realtà non lo fa; Enrico Thovez per esempio, nella sua ultima
poesia della sua prima opera poetica sembra abbia intenzione, dopo aver dato
alla luce un capolavoro memorabile, di non pubblicare più nulla; al contrario,
circa venti anni dopo Il poema
dell'adolescenza (da cui è tratta la poesia qui presente), farà uscire
un'ulteriore opera in versi. Anche il Congedo
di Marino Moretti non è attendibile, se è vero che uscì nel volume Tutte le poesie del 1966, come fosse sicura la cessazione della sua attività letteraria; invece, all'opera citata, seguirono, da parte dello scrittore romagnolo, altri romanzi e altre poesie, pubblicate fino al limite della vecchiaia. Ma quelli che seguono sono, al di là di ulteriori, noiosi ragionamenti, tutti versi apprezzabili per profondità, bravura,
fantasia e ironia: come capita spessissimo se si parla di poesia italiana del
Novecento.
CANZONE TRISTE IN TRE
PARTI
di Attilio Bertolucci
(1911-2000)
I
Ora che m' avvicino a
voi
mentre parlate, soli,
o ad altri
che non
v'ascoltano...
Ora che m' avvicino
alla morte
e a voi che a lei vi
stringete
perché è l'ultima
cosa che vi resta.
Ora soltanto intendo
quel che dite
e la ragione che vi
fa parlare.
Una sera dopo una
giornata
troppo bella
d'ottobre in un albergo
decaduto di Parma in
cui
non accendono
profittando di questa
luce incerta.
Così è un po' buio,
fa un po' freddo,
al pensionante non è
dato che parlare,
ma a chi?
Prima che le lampade
imbianchino
le tovaglie e
colorino i miseri garofani
per la commedia
vivida del pranzo,
lasciate che un
quieto delirio di parole
di donne rinnovi le
gonne fugaci, i corpetti celesti
che il mulinello
d'ombra inghiottirà
nell'istante che
precede
l'avvicendarsi dei
turni di servizio.
II
Era questo il
mormorio indistinto
da un'altra stanza
che rassicurava
l'adolescente in
lagrime, la saggezza raggiunta
nella rinuncia?
III
A quelli che
vorrebbero tenermi qui -
morti che mi amano
ancora
perché non gli resta
altro da fare
che amarmi sin che
anch' io
non sia tornato con
loro
dietro il muro
sbiadito e il marmo
che salda la calcina
mischiata
con sabbia del
Baganza e acqua
del condotto
farnesiano -
vivi che non mi hanno
mai amato
e dicono di preferire
quella mia poesia di
una grazia
proverbiale, dico:
lasciatemi andare,
giugno è ventoso
e queste foglie amare
sono imbrattate di
lucciole sfinite,
lasciatemi andare
via.
(da "La
lucertola di Casarola", Garzanti, Milano 1997)
AUGURIO
di Gustavo Botta
(1880-1948)
Dopo la sorda romba
di un mondo
irrequieto,
il fiore del segreto
consoli la mia tomba.
(da "Alcuni
scritti", Ariel, Milano 1952)
ALLA MIA OMBRA
di Bartolo Cattafi
(1922-1979)
Qualcuno ti cancelli
a mia immagine e
somiglianza
ombra scompagnata
che ancora scivoli
vacillante sui muri
sperduta nelle
stanze.
(da
"Ultime", Idola Novecento, Palermo 2000)
LA MORTE DI TANTALO
di Sergio Corazzini
(1886-1907)
Noi sedemmo sull'orlo
della fontana nella
vigna d'oro.
Sedemmo lacrimosi in
silenzio.
Le palpebre della mia
dolce amica
si gonfiavano dietro
le lagrime
come due vele
dietro una leggera
brezza marina.
Il nostro dolore non
era dolore d'amore
né dolore di
nostalgia
né dolore carnale.
Noi morivamo tutti i
giorni
cercando una causa
divina
il mio dolce bene ed
io.
Ma quel giorno già
vanìa
e la causa della
nostra morte
non era stata
rinvenuta.
E calò la sera su la
vigna d'oro
e tanto essa era
oscura
che alle nostre anime
apparve
una nevicata di
stelle.
Assaporammo tutta la
notte
i meravigliosi
grappoli.
Bevemmo l'acqua
d'oro,
e l'alba ci trovò
seduti
sull'orlo della
fontana
nella vigna non più
d'oro.
O dolce mio amore,
confessa al viandante
che non abbiamo
saputo morire
negandoci il frutto
saporoso
e l'acqua d'oro, come
la luna.
E aggiungi che non
morremo più
e che andremo per la
vita
errando per sempre.
(da "Poesie
edite e inedite", Einaudi, Torino 1968)
CONGEDO
di Enrico Fracassi
(1902-1924)
Sottoterra non vive
spirito o senso:
le ceneri
peregrinano, poi si confondono.
Atomi elevano le
montagne, monumenti,
che illuminano
lampade, senza ricordo accese.
Dolce per me sarebbe
e per te profondare nella quiete,
sul tuo seno assaporo
una più certa morte;
non più ascolteremmo,
sparte membra nel suolo,
scendere di
soppiatto, fra le viti, la sera.
Per noi, sulle montagne,
ora s’accenderebbero
quelle immobili
lampade sepolcrali.
(da "Passione e
oblio", Edizioni Il Labirinto", Roma 1998)
PRESAGIO
di Giulio Gianelli
(1879-1914)
Come oggi parto verso
l'alpe, o amici,
presto m'involerò per
altra via,
eternamente. Così
vuol che sia
l'anima, se da lei
tolgo gli auspici.
Mi evocherete lungo
le pendici
dove un giorno cantai
la madre mia,
e, sposa eletta, la
malinconia
mi soccorreva
d'attimi felici.
Non piangerete;
favola è la morte
per me, come la vita,
che non ebbi
suddita al verbo
d'un'ignobil sorte.
Non so per qual
prodigio di natura,
io che tra voi,
fraternamente, crebbi,
un'immagine fui, non
creatura.
(da "Intimi
vangeli", Streglio, Torino 1908)
CONGEDO
di Marino Moretti
(1885-1979)
Tutto vi lascio del
mio Novecento
in prosa o in verso
che è quel ch'io possiedo,
con una casa, un
focolare spento
e uno squallido
arredo.
(da "Tutte le
poesie", Mondadori, Milano 1966)
CONGEDO
di Aldo Palazzeschi
(1885-1974)
E ora vi dico addio
perché la mia
carriera
è finita:
evviva!
Muoiono i poeti
ma non muore la
poesia
perché la poesia
è infinita
come la vita.
(da "Via delle
cento stelle", Mondadori, Milano 1972)
NOVEMBRE
di Antonia Pozzi
(1912-1938)
E poi – se accadrà
ch'io me ne vada –
resterà qualchecosa
di me
nel mio mondo –
resterà un'esile scìa
di silenzio
in mezzo alle voci –
un tenue fiato di
bianco
in cuore all'azzurro
–
Ed una sera di
novembre
una bambina gracile
all'angolo d'una
strada
venderà tanti
crisantemi
e ci saranno le
stelle
gelide verdi remote –
Qualcuno piangerà
chissà dove – chissà
dove –
Qualcuno cercherà i
crisantemi
per me
nel mondo
quando accadrà che
senza ritorno
io me ne debba
andare.
(da
"Parole", Garzanti, Milano 1998)
LAPIDE
di Leonardo
Sinisgalli (1908-1981)
Non è un orto
o un giardino
il cimitero
dove io sono sepolto.
È un luogo assorto,
un muro.
Ogni bene è scontato,
ogni debito pagato
e il nome tutelato.
Mio amico, fratello
contami i vecchi
giuochi,
il fumo, i fuochi
antichi.
Prendi di me
l'effige,
le rughe, la
fuliggine,
le lacrime, la
ruggine.
Non è un orto
o un giardino
il cimitero dove io
sono sepolto.
È un regno spento,
muto.
Qui l'amore è
perduto.
Qui la festa è
finita.
(da "L'ellisse.
Poesie 1932-1972", Mondadori, Milano 1974)
LA MIA BARA
di Giovanni Testori
(1923-1993)
Ho cominciato a
costruire
insieme a te
il mio letto di
sempre,
la mia bara.
Guarda:
è come un'altra casa,
anzi, più certa,
più sicura
e cara.
(da "Per
sempre", Feltrinelli, Milano 1970)
ADDIO
di Enrico Thovez
(1869-1925)
Ho fatto intero il
mio compito. La poesia ch'era in me,
in questi cuori, fra
queste aride mura, nel tedio
della mia misera
vita, io l'ho vestita del genio
del mio pensiero, le
ho infuso la mia sostanza immortale.
Nel mondo dolce e
negato per sempre, nelle correnti
fervide
dell'esistenza, da quest'angusta prigione
scagliai il cuore
veemente, il cuore nato a un più alto
destino, a legge più
dolce. Stanco, ferito, ora al fine
cedo alla sorte.
Insensibile l'oscura notte mi avvolge,
mi fascia d'ombra la
mente, mi vela gli occhi che tanto
arsero d'entusiasmo
per questo lucido mondo...
Tra poco pur avrà
pace questo mio indomito cuore.
Oh, possa vivere
ancora oltre il mio corpo il mio spirito
in questo verso! vi
esulti ignuda voce; e il mio grido
eternamente negli
anni agiti il cuore dell'uomo!
(da "Il poema
dell'adolescenza", Streglio, Torino 1901)
I GIORNI, I MESI, GLI
ANNI
di Diego Valeri
(1887-1976)
I giorni, i mesi, gli
anni,
dove mai sono andati?
Questo piccolo vento
che trema alla mia
porta,
uno a uno, in
silenzio,
se li è portati via.
Questo piccolo vento
foglia a foglia mi
spoglia
dell’ultimo mio verde
già spento. E così
sia.
(da "Poesie
scelte", Mondadori, Milano 1977)
IL POETA MORTO
di Giorgio Vigolo
(1894-1983)
La barba cresce
anche sulla faccia
dei morti.
Così il poeta morto
continua
a farsi crescere i
versi
sul cadavere.
(da "La fame
degli occhi", Florida, Roma 1982)
Pericles Pantazis, "The Writer" (da questa pagina) |
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