domenica 17 febbraio 2019

La mia triste vita


Il tema delle domeniche malinconiche, tanto caro ai crepuscolari, è quello di La mia triste vita, quartultima poesia della sezione Vagabonde che chiude la raccolta Arie paesane, pubblicata dall'editore Taddei in Ferrara nel 1920, e che può essere considerata la più famosa di Sandro Baganzani (Verona 1889 - ivi 1950).
Una marcata sofferenza dovuta alla malinconia che si diffonde nell'aria della solita, ripetitiva domenica in un paese della provincia italiana fa desiderare al poeta un'evasione procurata magari da un ubriacatura o dalla lettura di un romanzo appassionante, o ancora dal ricordo di un intenso amore passato. Poi Baganzani paragona la sua vita ad un canale squallido e infine invoca di nuovo l'alcol per dimenticare. Si può affermare che l'autore di questi versi sia uno tra i maggiori prosecutori del crepuscolarismo, i cui elementi principali è facile trovare, soprattutto nelle sue poesie degli anni venti del XX secolo.




LA MIA TRISTE VITA

Questa giornata domenicale che gronda
malinconia di lumi nel canale morto
del chiasso delle campane,
le grida dei venditori ambulanti,
il piffero che fa ballare gli amanti sul piazzale,
è come un lento male
che si attacca ai distanti,
il male della domenica.

Vorrei ubbriacarmi per non pensare:
entrare nella osteria
dove si beve il vino di San Martino:
dare dei grandi pugni sulla tavola
per coprire il rumore dell'armonica:
avere un garofano all'occhiello come loro
che riderebbero certo
dei nomi strambi che vi ò dato,
Rosachiara, Chiomadoro.

Decadenza!
Nella mia camera immensa
piangere su di un romanzo:
come se i gialli cartocci delle foglie
che riempiono i viali
mi portino via qualchecosa
di molto caro,
che non so bene in fondo cosa sia:
e forse è l'ombra della tua veste
che dilegua,
forse è il profumo
del tuo seno di bambina
sotto la batista e la mussolina,
forse è la dolcezza delle parole
che ci scrivemmo un giorno
che non ci diremo più.

Perchè la mia vita
è come questo canale
che porta i fanali
uno dietro l'altro, in processione,
dove vengono a bere
i cavalli stracchi dei vetturali
(in primavera
vi si buttano anche ad annegare
i gattini delle povere gatte
senza latte!)
la mia vita!

Ubbriacarmi, per non pensare.

(da "Arie paesane" di Sandro Baganzani, A. Taddei & Figli, Ferrara 1920, pp. 101-102)

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