È un'opera
poetica che mi sta particolarmente a cuore, e che ho cercato fin dai primi
tempi in cui m'interessai di poesia italiana. Dell'autore, ovvero di Cosimo
Giorgieri Contri (Lucca 1870 - Viareggio 1943), sapevo qualche informazione
perché lo trovavo spesso citato in saggi riguardanti la poesia crepuscolare,
soprattutto quando si nominavano i precursori di questa tendenza poetica;
consultando le enciclopedie ed i dizionari, notai che il suo nome, quando era
presente, era sempre seguito da poche righe con scarse e fugaci notizie; tra
queste, difficilmente non veniva menzionata la sua opera poetica più
importante. Faticai non poco a trovare i suoi versi riportati in antologie
vecchie e nuove; la prima che reperii fu Dal
simbolismo al déco (Einaudi, Torino 1981). Due delle tre poesie riportate
in tale opera mi piacquero molto; venni quindi a conoscenza dei titoli (tutti
affascinanti) delle altre raccolte poetiche di Giorgieri Contri. Infine,
riuscii a consultare un libro che conteneva Il
convegno dei cipressi ed altre poesie dello scrittore toscano, anche se in
edizione leggermente modificata rispetto all'originale. Soltanto qualche anno
fa ho avuto l'opportunità di leggere, finalmente, la prima edizione pubblicata
a Milano, dall'editore Galli di C. Chiesa e F. Guindani nel 1894. Tale volume
si compone di 189 pagine; le 89 poesie qui presenti, a parte il poemetto che dà
il titolo al libro e lo apre, sono suddivise in tre sezioni: I. IL LIBRO DEGLI
ANTICHI AUTUNNI; II. INTERMEZZO; III. IL LIBRO DEGLI ANTICHI AMORI. Le forme
metriche preferite dal Giorgieri Contri sono la quartina e il sonetto; gli
argomenti trattati nei versi sono abbastanza esplicitati dai titoli delle
sezioni: immagini autunnali che trasmettono nostalgia del passato e malinconia;
ricordi di amori con donne particolarmente sofisticate, tratteggiati con
palpabile rimpianto; descrizioni di ville, edifici religiosi e luoghi cittadini
circoscrivibili nel Piemonte e nella Toscana (le regioni in cui Giorgieri
Contri visse di più ed amò), visitati in un passato più o meno recente, spesso
in compagnia di donne. Più di un critico, parlando della poesia del Giorgieri
Contri, ha fatto chiaro riferimento all'elegia;
Giuseppe Antonio Borgese la definisce sospirosa
e delicata; secondo Glauco Viazzi è amorosa, altolocata e raffinata.
Tutti concordano poi sul fatto che il poeta insista sulle immagini autunnali,
simbolicamente pertinenti ad un'idea di perdita, di caduta e di sconfitta.
Impossibile non riconoscere dei debiti che ha la poesia del Giorgieri Contri,
in particolare nei confronti di certo D'Annunzio e di Maurice Maeterlinck. Le
opere poetiche posteriori al Convegno dei
cipressi non mostrano particolari svolte, confermando che Giorgieri Contri
predilesse sempre una lirica intimista, romantica, malinconica e, in parte,
simbolista. Questo però rimarrà il suo migliore libro di versi, che andrebbe
ricordato e valutato maggiormente. Ecco due poesie presenti nell'edizione
originale; Il carillon è tratta dalla
prima sezione, e fa capire che un grandissimo poeta come Guido Gozzano tenne
ben presente i versi del nostro; Vecchio
giardino, invece, fa parte della terza sezione, e per certi aspetti ricorda
la celebre lirica di Lorenzo de' Medici Canzona
di Bacco, contaminata però da elementi cari al decadentismo più sensuale (e
più dannunziano); con un finale che, invece, si avvicina in modo netto al
Giovanni Pascoli delle Myricae.
Cosimo Giorgieri Contri |
IL CARILLON
Vi ricordate il
vespro settembrino?
Con la sua grazia
languida e sfinita
il carillon suonò
nel salottino
un duettino della
Favorita.
La padrona di
casa, una signora
vecchia e triste,
oramai senza conforti,
— due suoi bimbi,
altri tempi, eranle morti
ed ella ancora li
piangeva, ancora —
credea di avere
in quel ninnolo stinto
di un vecchio
legno, a forma ovoidale,
un portento
dell'arte musicale
che niun'altra
scoperta avesse vinto.
Lentamente finì
la Favorita
e i Puritani
vennero di poi:
noi non li
udimmo, non li udimmo noi,
ch'io vi
stringevo il sommo della vita:
ma, dopo i
Puritani il Trovatore
languido risuonò
nel salottino:
moriva intanto il
vespro settembrino
e una gran pace
ci venìa di fuore.
Dodici pezzi
suona. E in fretta e in fretta
che bella cosa,
non è vero? — Oh certo —
Ma lo stromento
rimaneva aperto
con una grazia un
po' vergognosetta:
e dopo, quando fu
rimesso a posto
tra due piccole
statue di gesso,
si tenne, o parve
a me, molto nascosto,
quasi che avesse
indovinato anch'esso
che davanti a un
amor giovine e forte
sì come il nostro
si sentiva allora,
tristi eran
troppo, non è ver signora?
le sue canzoni
che sapean di morte.
Ma dopo, dopo,
quando io vi lasciai
da voi tradito,
mi rivenne in mente
l'autunnale
vespero silente
e il povero
strumento io ricordai;
e il salottino un
po' vergognosetto
nella eleganza di
un tempo passato,
e la vecchia
signora in lutto stretto,
sul canapè di
pallido broccato.
E voi, voi pure,
mi tornaste in cuore,
mescentivi alle
mie, piccole dita:
e udii piangere
ancora il Trovatore
e il duettino
della Favorita.
(da "Il convegno
dei cipressi", pp. 30-31)
IL VECCHIO
GIARDINO
(Borgofranco settembre 91.)
Questo vecchio
giardino
vorrei pei nostri
amori;
v'intreccia i
bianchi fiori
timido un
gelsomino,
e alle notti
d'aprile
certo vi è dolce
assai,
assai dolce e
sottile
l'olezzo dei
rosai.
Pei defunti
sentieri
noi si andrebbe
allacciati:
quante volte ho
baciati
i tuoi capelli
neri?
Quante volte ha
cantato
l'usignolo tra i
rami?
giungon lenti i
richiami
dal rivo
abbandonato.
Poi su una
vecchia panca
sederemmo: o
dolcezza
come la luna
bianca
le tue palme
carezza.
Un raggio esile e
fine
ti si indugia sul
seno;
oh! ch'ei non
vegga almeno
più sotto delle
trine.
Poi la notte
d'aprile
cresce
tacitamente,
le stelle sonnolente
seguono la
gentile:
L'usignolo ha
cantato
nel silenzio:
lontano
gli ha risposto
più piano
il rivo
abbandonato.
Da un vecchio
campanile
il Tempo ha
detto: Amate;
quando saran
passate
queste notti
d'aprile
chissà che voi
non siate
a dormir sotto il
suolo...
e il rivo e
l'usignolo
hanno risposto :
Amate.
O Dolcezza, la
vita
umana è così
corta,
questa notte
fiorita
tra un' ora sarà
morta;
noi tra breve,
felici
se dormenti
vicino,
cresceremo radici
al faggio o al
gelsomino...
Ora dammi i tuoi
baci,
stringiti a me,
più forte:
queste strette
tenaci
scoraggiano la
morte,
o, s'ella viene,
almeno
sarà dolce il
viaggio:
ha voluto anche
il raggio
morir sopra il
tuo seno.
Oh! il tuo seno;
ch'io sugga
del tuo seno
l'aroma,
ch'io baci la tua
chioma
pria che la notte
fugga;
ch'io chiuda i
tuoi bei cigli
con le labbra
tremanti;
pria che l' alba
si ammanti
de' suoi pepli
vermigli.
Oh! senti, senti.
L'ora
ha battuto i
richiami:
baciami oh tu che
m' ami
baciami in bocca
ancora.
Io non so se son
vivo
ma so che non son
solo:
s'è addormentato
il rivo
e tacque
l'usignolo.
Presto dalle
colline
grave, lenta,
lontana
ridirà la campana:
È la fine, è la
fine.
(da "Il
convegno dei cipressi", pp. 129-131)
Sarebbe bello e forse anche doveroso un volume che ne raccogliesse l'intero corpus poetico, compresa l'introvabile "Mirti in ombra". Completando ovviamente con lo sterminato numero delle poesie sparse su riviste. Ne verrebbe quantitativamente parlando un opera poetica non inferiore a quella del Carducci
RispondiEliminaSono d'accordo, e questo discorso non vale soltanto per Cosimo Giorgieri Contri
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