Sotto la dicitura:
"luoghi misteriosi", ho voluto qui raggruppare delle poesie che
parlassero di posti più o meno reali, dove si sono svolti o si svolgono degli
eventi incomprensibili e strani. Le ambientazioni variano abbastanza, ma non di
rado si ripetono: ci sono mura, palazzi, serre, giardini, valli, paludi,
pianure, deserti... A volte, questi luoghi sono inaccessibili, o pericolosi,
altre volte fanno da confine invalicabile, nascondendo un mondo inaccessibile e
inconoscibile. I personaggi che vi compaiono hanno tutti, come caratteristica
principale, una profonda e insondabile enigmaticità; spesso si tratta di figure
femminili, come la "Figlia del Passato" della poesia di Baccelli. In
più di un caso è il poeta, in compagnia di una donna, a visitare degli edifici
non completamente definiti. Spesso, in questi territori tutt'altro che
accoglienti, non compare alcuna traccia d'umanità, ma, semmai, esemplari
piuttosto inquietanti di fauna e di flora.
Non sono assenti,
ovviamente, simbolismi più o meno nascosti. Per esempio, in diverse poesie si
assiste ad un'ascesa - per mezzo di scale o arrampicandosi su una montagna -, dove
i protagonisti si avvicinano ad una mèta ignota, o non completamente chiara (la
morte?). Palese è invece, in una poesia di Arturo Graf, l'immagine
dell'imbarcazione abbandonata, appoggiata su uno scoglio, che rappresenta la
vana speranza. Ricorrente è la parola "morte", sia essa ad indicare
il nome di un luogo preciso (La valle
della morte di Antonio Rubino), sia, come nel caso delle poesie di
Corazzini e di Sotto il salice di
Arturo Graf, quale terrificante emblema di una situazione, di un fatto o di una
collettività.
Poesie sull'argomento
Alfredo Baccelli:
"La valle perduta" in "Poesie" (1929).
Adelchi Baratono:
"Muro di cinta" e "La serra" in "Sparvieri"
(1900).
Gustavo Botta:
"Palude" in "Alcuni scritti" (1952).
Enrico Cavacchioli:
"La muraglia" in "L'Incubo Velato" (1906).
Giovanni Alfredo Cesareo:
"Notte d'autunno" in "I canti di Pan" (1920).
Girolamo Comi: "Ne
le pianure solitarie" in "Lampadario" (1912).
Sergio Corazzini:
"Toblack" in "L'amaro calice" (1905).
Sergio Corazzini:
"La tipografia abbandonata" in "Marforio", marzo 1903.
Auro D'Alba:
"Lirica Comune" in "I Poeti Futuristi" (1912).
Italo Dalmatico:
"La guida" in "Juvenilia" (1903).
Gabriele D'Annunzio:
"Eliana" in "L'Isotteo. La Chimera" (1890).
Luisa Giaconi:
"Il deserto" in "Tebaide" (1912).
Corrado Govoni:
"Serre" in "Le Fiale" (1903).
Domenico Gnoli:
"La valletta bruna" in "Poesie edite e inedite" (1907).
Arturo Graf:
"Speranza" e "Paesaggio" in "Medusa" (1990).
Arturo Graf:
"Sotto il salice" in "Dopo il tramonto" (1893).
Arturo Graf: "Il
canneto" in "Morgana" (1901).
Luigi Gualdo: "Paesaggio"
in "Le Nostalgie" (1883).
Giuseppe Lipparini:
"Negli orti della saggezza" in "Le foglie dell'alloro. Poesie
(1898-1913)" (1916).
Giuseppe Lipparini:
"Il rudere" in "Stati d'animo e altre poesie" (1917).
Enzo Marcellusi:
"Affricam teneo" in "I canti violetti" (1912).
Nicola Marchese:
"Cammeo" in "Le Liriche" (1911).
Pietro Mastri:
"Il tabernacolo" e "Il muro" in "L'arcobaleno"
(1900).
Angiolo Orvieto:
"La Valle senza Sole" in "Verso l'Oriente" (1902).
Aldo Palazzeschi:
"Il cancello" e "Il manto" in "I cavalli bianchi"
(1905).
Aldo Palazzeschi:
"I prati di Gesù" in "Poemi" (1909).
Ceccardo
Roccatagliata Ceccardi: "Il macigno" in "Il Libro dei
Frammenti" (1895).
Antonio Rubino:
"La valle della Morte" in «Poesia», ottobre 1908.
Cristoforo Ruggieri:
"Lo scoglio" in "Ritmi" (1900).
Fausto Salvatori,
"Siede una donna taciturna e i piani"
in "In ombra d'amore" (1929).
Emanuele Sella:
"La primavera celeste" in "Il giardino delle stelle"
(1907).
Giovanni Tecchio:
"Umbrae mysterium" in "Mysterium" (1894).
Aurelio Ugolini:
"Paesaggio intimo" in "Viburna" (1908).
Guido Vitali:
"L'aliga" in "Voci di cose e d'uomini" (1906).
Giuseppe Zucca:
"Palude pontina" in "Io" (1921).
Testi
IL CANCELLO
di Aldo Palazzeschi
L’oscuro viale dai
mille cipressi
che porta al cancello
del grande piazzale
è aperto a la gente.
Soltanto il cancello
non s’apre.
Va e viene la gente
pel lungo viale
che il sole soltanto
non lascia passare,
si sosta al cancello
che à cento colonne di ferro
la gente a guardare.
In una carretta ch’è
piccolo letto
due monache nere
conducono attorno
pel grande piazzale,
il Signore,
padrone del grande
castello.
Cent’anni à il
Signore
padrone del grande
castello!
Lo portano attorno
due monache nere,
attorno al castello
ch’è in mezzo al piazzale.
Non ode non vede la
gente
che al vano dei ferri
del grande cancello
sta ferma a guardare.
Va e viene la gente
pel lungo viale
che il sole soltanto
non lascia passare,
si sosta al cancello
che à cento colonne di ferro
la gente a guardare.
Ogn’anno a quel
grande cancello
s’aggiunge una nuova
colonna di ferro:
il posto d’un altro a
guardare.
(da "I cavalli
bianchi")
UMBRAE MYSTERIUM
di Giovanni Tecchio
Languiva ancor ne
l'occidente il giorno
con una luce che
facea stupore.
Parea quasi funereo
l'autunnale
vespro e ci guardavam
spesso d'in torno
come presi da un
senso di timore.
Quello pareva un
vespero fatale:
triste moriva, triste
assai quel giorno.
Ne l'aria c'era non
so che lamento.
Nel silenzio solenne
di quell'ora
sognava forse l'Anima
ammalata.
Tristi cadean le
foglie gialle al vento.
Ritorna a quel
ricordo umiliata
l'Anima ed a
quell'erme rive ancora.
Ne l'aria c'era non
so che lamento.
Andavam soli, senza
meta, errando
per il parco. Tacevan
le fontane
che, in quel silenzio
antico, armoniose
facean tra il verde
un dì murmure blando.
Pur narrava una
Venere lontane
storie d'amore liete
e dolorose,
che andavan lungi per
il parco errando.
Giungemmo ad un
castello antico, immenso.
Per l'alta scala
tutta quanta bianca
incominciammo taciti
a salire.
Incombeva il silenzio
cupo e intenso.
Ansare ella s'udìa:
forse era stanca,
poi che sentii 'l suo
braccio illanguidire.
D'avanti a noi
s'ergea il castello immenso.
Ella era stanca. Per
la scala, muti,
sostammo allora. Era
già morto il giorno;
era triste, assai
triste quella sera
in quei luoghi
lontani e sconosciuti.
Deserto il parco si
stendea d'in torno
tutto ne l'ombra
misteriosa e nera.
E discendemmo per la scala,
muti.
(da
"Mysterium")
Arnold Böcklin, "Landschaft mit Burgruine anagoria" (da questa pagina) |
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