lunedì 14 maggio 2018

Altri pensieri e altri versi sulla morte


Le recenti notizie luttuose riguardanti persone che avevo conosciuto e che, più o meno, avevano la mia età, oltre che procurarmi un grande sconforto, mi hanno fatto pensare ancora una volta alla morte, e a quanto sia vicina e insidiosa, ma soprattutto imprevedibile. Chi se n'è andato a causa di un cancro, chi per arresto cardiaco, nel giro di pochi mesi, questi individui sono scomparsi per sempre dalla faccia della terra. Quante volte mi capita di pensare al futuro, d'immaginarmi vecchio, di pensare al momento in cui smetterò di lavorare ed andrò in pensione... Ma dimentico sempre che il mio futuro non sono e non sarò io soltanto a deciderlo. Non so quanto mi resta da vivere (trenta, venti, dieci anni? O soltanto pochi mesi?); nessuno di noi può saperlo, compresi coloro che godono di ottima salute. So per certo che, a mano a mano che si sale in età, sale anche la percentuale della possibile morte, sia essa improvvisa o lenta. In particolare, ho notato che una volta superato il mezzo secolo di vita, le probabilità di ammalarsi e di perire aumentano in modo considerevole. Le tante chiacchiere che si fanno sui mass media inerenti all'aspettativa di vita attuale, restano, alla fine, inutili ciance, illusioni per chi non vuole pensare che non c'è nulla di sicuro al riguardo. L'ottantenne o il centenne che giunge a quella veneranda età non poteva sapere, quando aveva venti o quaranta anni in meno, se vi sarebbe mai arrivato. Anche la storiella del DNA, che influenza fortemente il destino di ciascuno di noi, mi pare non sia attendibile. Insomma, tranne i suicidi, nessun essere umano sa quando o come morirà. La morte, se si potesse raffigurare, sarebbe un cecchino che spara all'impazzata sulla folla, non curandosi minimamente delle persone che colpisce. Forse, fra un po' di tempo, ricomincerò, per forza di cose, a pensare ad un futuro, ma ora in me prevale la constatazione della estrema labilità dell'esistenza, e provo già a immaginare una reazione adeguata, nel caso in cui, improvvisamente venissi a sapere che mi rimane poco da vivere. Per concludere questo doloroso ragionamento, ancora una volta, propongo dei versi che parlano di morte; e ancora una volta ho scelto una poesia di Alessandro Parronchi, che ben descrive uno stato d'animo radicatosi nel poeta a seguito di una serie infinita di notizie luttuose, che coinvolgevano (e coinvolgeranno sempre) esseri umani di tutte le età.


UN'ALTRA PICCOLA CROCE
di Alessandro Parronchi

La morte ha invaso la vita. Sulle colline
– di Staglieno, del Père-Lachaise, di Arlington
e del paesino della più remota campagna –
non c’è più posto nemmeno per una piccola croce.
La stesso nel mio cuore. Quante volte la nenia
judicare saeculum per ignem
ho udito per l’uno o l’altro parente od amico.
Dapprima mi turbava, ora non più.
Ora, in italiano, ha un suono crudo,
non sveglia echi, risonanze profonde.
Sono stanco della morte.
Ma se vuoi, madre, che scriva qualcosa
per la bimba che è morta,
non dirò di no.
Come l’astronomo scopre un’altra piccola stella
tra le miriadi di cui non sa che farsi il cielo,
farò brillare a notte un altro lume
per lei tra le meteore.
Ma di giorno voglio pensarla viva
sulla terra e nel vento, come una margherita
appena schiusa. Poi, come un piccolo seme 
bianco dentro la terra, promessa di primavera
quando vien sera.

(da "Le poesie", Polistampa, Firenze, 2000, volume II, p. 394)

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