Ultimamente ho avuto
modo di leggere una quantità non indifferente di libri che riguardano la poesia
italiana compresa tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. Moltissimi di
questi libri hanno a che vedere con quelle correnti e quei movimenti di cui mi
sono maggiormente occupato in questo blog: crepuscolarismo, simbolismo,
decadentismo ecc. È probabile, quindi, che in futuro decida di aprire un nuovo
blog incentrato su questo preciso periodo storico della poesia italiana, e in
particolare su queste tendenze poetiche; avendo ora a disposizione molti
documenti ed elementi in più per approfondire gli argomenti già trattati. Per
ora proseguo a pubblicare post che risalgono a ricerche personali avvenute
qualche anno fa.
L'origine della
parola "labirinto" è incerta e si presta a diverse interpretazioni
etimologiche. Nel contesto dei poeti che qui sono presi in considerazione, il
labirinto non sempre figura come argomento principale delle composizioni in
versi; quando lo è, rappresenta uno smarrimento dell'anima, o un gioco a
nascondersi ed a cercarsi; non di rado il tema portante è l'amore. Da ricordare
inoltre che il labirinto è quasi sempre un elemento presente all'interno di un
giardino; per questo, volendo cercare altri significati reconditi, si rimanda
all'argomento specifico già trattato che coinvolgeva, oltre ai giardini, anche
i parchi e gli orti. Il poeta che maggiormente nomina il labirinto è Corrado
Govoni; nei suoi versi, da un lato si paragona la vita dell'uomo ad un assurdo
labirinto che ha, come unica via d'uscita, la definitiva morte; da un altro
lato si tende a sottolineare i contorni del luogo descritto (i labirinti delle
rose e degli specchi), in tal modo il labirinto diviene quasi un elemento
estremamente originale, colmo di effetti ottici impensabili. Giovanni Tecchio
pone come prologo alla sua opera poetica più importante, un sonetto che parla
di labirinti nei quali si perdono le anime degli uomini rincorse dalla morte;
nella seconda parte della medesima poesia, Tecchio esorta la sua anima ad
uscire da questa situazione precaria innalzandosi (sorretto dalle ali dell'Amore) per seguire i santi ideali de la Vita. Decisamente
decadente è l'atmosfera che si respira nel sonetto di Giorgieri Contri: Il
luogo è un parco, la stagione è l'autunno; in un labirinto di un vano amore si perde il poeta che osserva, sotto un cielo
coperto, gli ultimi colori verdi delle piante ormai immerse nel triste grigio
autunnale. Molto misterioso è il sonetto di Giuseppe Piazza, dove inizialmente
si parla di un bosco (ovvero un labirinto) in cui si perde il protagonista;
nelle due terzine si parla invece del ricordo di una "Morta" che si
trova in una via solinga e ghiaccia:
il poeta, guardando questa defunta negli occhi
senza mèta e senza traccia, capisce che ella rappresenta la vana chiave del suo, personale
labirinto senza uscita (che non ha porta).
Suggestivo infine è il sonetto di Mannoni, che ricorda la visione di una
vergine dentro un labirinto, intenta ad intrecciare cespi di rose (simbolo di
vita) e rami di cipresso (simbolo di morte). Ma le rose, come la vita, col
tempo si sono disfatte restando, tra le mani della donna, soltanto i rami di
cipresso. Infatti, dietro ad ogni tipo di bellezza si nasconde sempre il sottil tarlo del lutto, che rende
ogni piacevolezza della vita di breve durata e illusoria. Da qui la preferenza
del poeta per le cose morte.
Poesie sull'argomento
Diego Angeli:
"La Meridiana" in «Nuova Antologia», dicembre 1903.
Carlo Chiaves:
"Il cespuglio" in "Sogno e ironia" (1910).
Gabriele D'Annunzio:
"Oriana infedele" in "Isaotta Guttadàuro ed altre poesie"
(1886).
Cosimo Giorgieri
Contri: "Il labirinto" in "Il convegno dei cipressi"
(1894).
Corrado Govoni:
"Il labirinto" in "Fuochi d'artifizio" (1905).
Corrado Govoni:
"Il labirinto delle rose" e "Il labirinto degli specchi" in
"Gli aborti" (1907).
Amalia
Guglielminetti: "Una prudenza" in "Le seduzioni" (1909)
Giuseppe Lipparini:
"Il labirinto" in "Le foglie dell'alloro. Poesie
(1898-1913)" (1916).
Remo Mannoni:
"Sonetto simbolico" in «La Stella e l'Aurora Italiana», aprile 1905.
Giuseppe Piazza:
"Il laberinto" in "Le eumenidi" (1903).
Francesco Scaglione: "...il sole è ne la stanza spaso come
un bel lago" in "Litanie" (1911).
Giovanni Tecchio:
"Prolugus" in "Mysterium" (1894).
Giovanni Tecchio:
"Il labirinto" in "Canti" (1931).
Diego Valeri:
"Labirinto" in "Ariele" (1924).
Testi
IL LABERINTO
di Giuseppe Piazza
Se in me riguardo, io
vo per un diverso
bosco sepolto da la
nuvolaglia,
dove, se un groppo
oggi la via mi taglia,
domani in un mistero
io son sommerso.
Ardito un dì, ora
m'aggiro sperso
sotto le insidie de
la gran boscaglia,
pallido se un sudor tetro mi assaglia,
franco se a tratti il
ciel mi splenda terso.
A 'l fine d'una via
solinga e ghiaccia,
grama e perduta va
l'umile nave
de' miei ricordi
verso ad una Morta;
se li occhi senza
mèta e senza traccia
io ne contemplo, Ella
è la vana chiave
de 'l laberinto mio
che non ha porta.
(Da "Le
eumenidi", Luigi Pierro, Napoli MDCCCCIII)
Mensano di Casol d'Elsa, "Labirinto" (da questa pagina web) |
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