Visto che le feste di
Natale sono ormai alle porte, è giusto che tra queste ulteriori poesie invernali
ve ne siano molte che ne parlino; più di una evidenzia sentimenti malinconici o
nostalgici; soprattutto il Ricci Signorini, fa diventare la sua lirica una vera
e propria meditazione sulla morte. Stesso discorso potrebbe essere fatto per
quel che concerne la festa di Capodanno, qui decisamente meno presente. Non mancano però versi più ottimisti,
in particolare tra i poeti mistici (come, ad esempio, il Salvadori). Si nota
infine una assidua presenza di focolari e camini: in tempi in cui non
esistevano i sistemi di riscaldamento odierni, l'unico modo per stare al
calduccio era, soprattutto di sera, sedersi davanti al fuoco insieme alla famiglia e tenersi compagnia
raccontando storie fantasiose, oppure, recitando dei versi di poeti illustri.
Altri tempi.
VENERE CAPITOLINA
di Nicola Marchese
(1858-1910)
Alba — la
pallidissima — di brina
(or or ella emergea)
rorida, viene
a nunziar la stella
mattutina,
silenziosamente, alle
sirene.
Spirano un sogno
assai puro i rigori
freddi dell'ora
all'acque addormentate
dal solenne cullar
della marea;
e ribrezzi, nel
sogno, han di pudori
le dal bacio di luce
acque baciate.
All'artefice, allor,
tale dovea
il mare abbrividir
pio dell'idea,
che (dei sensi dormia
la ciurma immonda),
nivea, nell'ora
casta, in vetta all'onda,
Venere biancheggiò
Capitolina.
(Da
"Crisantemi", Vecchi, Trani 1895)
A MADONNA, XIII
di Corrado Corradino
(1852-1923)
Ecco: sui prati
albeggiano
Le prime nevi intatte
E con le nocche
gelide
Dicembre ai vetri
batte.
Rina, ai fiorelli
teneri
Già l'aria è
perigliosa;
Riedi alla stanza
tepida,
O bel bocciuol di
rosa.
E mentre il ceppo
crepita
Sovra le brage
ardenti
Siedi, ed il fronte
candido
Ai baci miei
consenti.
Che fa se irato
sibila
Dicembre? O mia
gentile,
I baci dentro
all'anima
Fan rifiorir
l'aprile.
E al Dio d'amor ne
l'orrida
Stagion di sole avara
La chiusa stanza è un
tempio
E il caminetto è
un'ara.
Vieni! — Ma tu,
tristissima,
Con le pupille
afflitte
Guardi lassù la
funebre
Selva de le soffitte,
E pensi ai bimbi
lividi
Sdraiati in sullo
strame.
Pensi ai nudi tugurii
Dove si ha freddo e
fame.
(Da "Su pe' 'l
calvario", Casanova, Torino 1889)
NE LE CASE DE LA
NUTRICE - L'ASILO
di Alfredo Catapano
(1881-1927)
Desta il fuoco nel
grande camino, sì come t'era uso,
o nutrice, una volta:
da' monti è soffiato rovajo.
Noi sentirem la lupa
tentare le porte co 'l muso,
poi che sarà da'
corvi discesa co 'l gramo gennaio.
Alta attizza la
vampa, gran freddo ha il mio cuore deluso;
ma più tue antiche
istorie varranno di fiamma e di sajo:
narra di me
fanciullo, al trotto del rapido fuso;
narra di me
fanciullo, al frullo del vecchio arcolajo.
Udrem ne le vigilie,
da presso, il mugghiar del Tirreno
che allaga il tuo
breve orto; udrem cigolar la castagna
ne la brace, ed il
sonno verrà su 'l mio fronte sereno.
Ma in vano io mi
rifuggo in tale desio, smemorato...
Amore, amor tradito
m'insegue con pronte calcagna:
come il tuo flutto, o
mare, l'asil mi flagella il Passato.
(Da
"Interludio", Melfi & Joele, Napoli 1905)
PASSANDO L'APPENNINO
di Ceccardo
Roccatagliata Ceccardi (1871-1919)
O di bel rosso,
tremolo, in orrori
di alberi se il Decembre
ùluli ai monti,
asil di uccelli su
contese fonti
da' geli, o sorbo
degli uccellatori!
E passando la posta
di Appennino
indugia, mentre
sbuffano un desìo
d'acqua i cavalli al
vitreo riale.
Poi, a un sibil di
frusta, essi il cammino
affrettano, e a lor
vivo scampanìo
da l'albero incantato
un clamor sale
rapido, che fuor
rompe in nuvol d'ale
e calando s'inselva!
E con lui vola
il cuor cui lieve
immaginar consola
d'aspri viaggi e di
pensosi errori.
(Da "Sonetti e
poemi", Traversari, Empoli 1910)
E L'ORA VIENE CON LA RICORDANZA
di Fausto Salvatori (1870-1929)
E l'ora viene con la
ricordanza.
Nella sera d'inverno
il caminetto
Arde. Sulla
scacchiera per diletto
Un bianco alfiere
contro il nero avanza.
Fioriscono i parati
della stanza
Rossi nell'ombra. Il
pallido merletto
Della tua veste
odora. E a me nel petto
Il dolce sogno porta
la speranza.
La tua bianca regina
corre dritta
Sul mio re nero:
l'impeto deludo
Con l'attacco dei
fanti a schiera fitta.
Invano il re fra le
due torri chiudo:
È perso e tu sorridi.
La sconfitta
Sai che mi viene dal
tuo piede nudo.
(Da "In ombra
d'amore", Optima, Roma 1929)
ACCORATA
di Sandro Baganzani
(1889-1950)
S'accendono a
quest'ora i lumi
nella malinconia
delle strade deserte
dove scivola senza
rumore
qualche ombra nera?
Voglio sedermi
stassera
al focolare di casa
mia.
Che fai?
Vedo alla fiamma del
ciocco
il tuo viso dolce
sotto l'onda
biondissima
dei capelli.
Scherzano i bimbi
con l'Ava paziente.
Tutta la casa è piena
dell'Assente.
Hai acceso la lampada
per la bambina morta?
Davanti il piccolo
altare
i fiori di calicanto
spandono quella loro
sottile fragranza
d'inverno di freddo.
Amor mio
di lontananza?
Nella stanza nuziale
hai tu recato
con le tue mani
l'acqua nell'anfora
e il libro che sai?
Odora la cena
sulla tovaglia di lino
cucita in un'ora
serena
da te?
Attendi che salga le
scale
qualcuno venuto da
lunge
cui punge un acuto
dolore
di casa lontana?
Vedo il tuo viso
dolce come il cielo
se passano ale di
nuvole
primaverili.
Quali nuvole
velano
i tuoi occhi grigi
di tristezza vana?
Creatura!
Con una gioia amara
di piangere
colgo il fiore della
tua bocca pura!
E nulla è più triste
di questo lento
tormento.
Andare andare andare
fasciati di
malinconia
dietro una
rimembranza
nell'ora che
s'accendono
come insonni pupille
sui trivi i fanali
via
per strade di sogno
Creatura
oh senza speranza
mai
d'arrivare.
(Da
"Senzanome", Mondadori, Milano 1924)
IL DECEMBRE
di Antonio
Beltramelli (1879-1930)
Cielo d' inverno,
pallido sì come
un'opale, fra toni
grigi e rosa
sopra il ricamo delle
rame ignude.
Un falcetto di luna
era nel fondo
brumoso, a pena,
sopra l'alte mura
del giardino, E i
comignoli e le torri
e i bruni tetti
avevano a bacìo
tracce di neve, tinte
di soavi
iridescenze. Non si
udìa che il fresco
parlottar delle bimbe
nel giardino.
Era intorno un
biancor d'alba serena.
Ella pensava un cuore
ed una nave.
A notte il trepestio
della tempella
la ridestava con un
tuffo al core.
Sbarrati gli occhi,
si levava, intenta
al suono. E ancora
rinascean le voci
delle veglianti al
letto di sua madre
e udiva un ulular
lungo di pianto.
Ma il suono lento di
una, campanella
dall'orto, ed una
musica sommessa,
levata a Dio nella
solinga chiesa,
le chiudevan la mente
in un riposo
stanco, lontano,
senza mutamento.
Giunse Natale e la
trovò più bella.
Più luminoso il
piccoletto volto
e gli occhi
illanguiditi di dolcezza.
Giunse Natale e le
trovò un sorriso.
Forse sognava in cor
la primavera
ed un ritorno. Nella
bianca cella,
odoravan soave i
calicanti,
i fiori della purità
jemale.
E a notte ondavan le
campane chiare.
Giunse il Natale con
le cennamelle
e con le ombre dei
tre re pastori.
Un profondo mistero
di letizia
raccolse intorno al
ceppo le educande.
Ed ella meno si sentì
smarrita
e vide in cielo una
raminga stella.
Natale!... un aliar
vago d'incensi,
e luci e suoni.
Un'angosciata ebbrezza
le serrava la gola:
- Oh! dolce amore,
può dunque darsi che
da tanto buio
risorga a te,
nell'aria, nella vita?... -
E scrisse: - Gaddo,
non ho più respiro,
non ho più lena, non
ho più che il mio
dolore! Gaddo, dove,
dove sei?
Porto la mano al
cuore che lo sento
appena appena! Non
ricordi il maggio?
Cantavan le
colombe.... io ti aspettavo...
e all'acuto odorar
del gelsomino
mi abbandonava tutto
il mio coraggio.... -
(Da
"Solicchio", Treves, Milano 1913)
PRIMA NEVE
di Giulio Gianelli
(1879-1914)
Sorrisa da occhi già
mesti
da voci giulive
di bimbi cui orna le
vesti,
discende da un bianco
mistero
la neve e descrive
ne l'aria un suo
lento pensiero.
Su i tetti colore di
rosa,
su li alberi posa
un attimo, poi non è
più.
Svanita siccome un
pensiero
tornata al mistero!
Un'anima bella che
fu.
(Da "Mentre
l'esilio dura", Streglio, Torino 1904)
NOSTALGIA
di Giovanni Tecchio
(1872-?)
Nell'immoto grigior
la neve lenta,
A piume a piume
candida si posa,
Pianamente così
silenziosa,
Che la campagna tutta
s'addormenta.
E si trasforma e
ormai non si rammenta
Più la parvenza
d'ogni umana cosa;
In una visione
dolorosa
Si va piegando in sé
l'anima intenta.
Strano sopore
d'infinita pace;
Qua il fumo d'uno
sperso casolare,
Là in fondo in fondo
tremula una face.
Ch'io ti rivegga
ancora, o fanciullezza!
Tutti là ancora
intorno al focolare...
Ma non ritorna più
quella dolcezza.
(Da "Canti",
Monanni, Milano 1931)
BUONE FESTE, BUONE FESTE!...
di Giacinto Ricci
Signorini (1861-1893)
Buone feste, buone
feste! Ma tu posi in cimitero:
Corre e ride oggi la
gente, ma rivive il mio pensiero
Quella piena ora di
guai:
Quando, fermo il cor,
l'estremo ministerio far ti volli
E con mani tremebonde
sopra i letti azzurri e molli
Della bara ti posai.
Quanto tempo oggi è
passato? Ma che forse ancora batte
L'ala il tempo per il
mondo? forse ancora fuggon ratte
Le speranze ed i
dolor?
Questa vita che ci
inebbria non è forse un vano incanto?
Il mio lutto non
ondeggia, come nuvola di pianto,
Su chi vive e su chi
muor?
Ma tranquilli almeno
i morti dormon tutti nelle bare?
Ché tortura empia,
infinita, per i cuori è ricordare
del passato i tristi
dì.
Forse, nella densa
notte della tomba ancor sospiri,
E ricordi eternamente
le ferite ed i martìri
Che il tuo spirito
patì.
(Da
"Thanatos", Soc. coop. per l'arte tipografica, Cesena 1892)
NATALE ANTICO
di Teresah (pseud. di
Corinna Teresa Ubertis, 1874-1964)
Odore di Natale e di
bruciate!
Sotto la cappa del
camino c'era
quasi una primavera
d'agrifogli;
il vischio, il mirto;
e c'erano i germogli
della speranza che
nome non ha...
Nome non ha, ma
spunta, ecco, e s'abbarbica
ai rami della quercia
che divampa;
e la fiamma s'allunga
e striscia e stampa
orme di luce entro la
cappa nera;
fa bel cammino verso
la brughiera,
fiorisce spino,
luppolo, giaggiolo,
nome non ha, ma canto
d'usignolo,
volo di storno, amor
di capinera...
è tutta d'oro, va
verso l'estate...
Odore di Natale e di
bruciate!
S' era a veglia
lassù, sotto le rame
che avean per bacche
gocciole d'inverno;
zia novellava di
cielo e d'inferno
e non udiva
l'uggiolìo del cane.
— C'è qualcuno
nell'aia... hanno picchiato
ai vetri... no... —
Veniva dal passato,
dall'avvenire, il
muto viandante?
Ognuno gli chiedeva
il suo sembiante.
Noi bimbe si pensava:
Oh sarà bello!
avrà la neve a
fiocchi sul mantello...
ma sotto l'agrifoglio
bacerà
la più bella di noi,
che non lo sa.
(Da "Il libro di
Titania", Ricciardi, Napoli 1909)
LA NOTTE SANTA
di Carlo Chiaves
(1882-1919)
Caduta è sulla terra,
tutto il giorno, la
neve.
Dopo il vespero breve
la notte, anche, è
discesa.
Ma, tutt'a un tratto,
il vento
aspro vento di gelo,
spazzò le nubi: in
cielo
ardon fitte le
stelle.
Ed è superbo il vasto
splendor
dell'infinito,
sovra il mondo
sopito,
candido, terso,
uguale.
In terra anche, un
bagliore
vago, qua e là
s'accende,
palpita, trema,
splende
ne le case dell'uomo.
E con fiamma diversa
per le finestre aperte,
raggia su le deserte
strade, la luce
incerta.
Queste faci son vive
perché si veglia, al
mondo,
perché il vocio è
giocondo,
presso la fiamma
viva.
Perché una pace
immensa
ci conforta,
c'incanta,
perché la notte è
santa,
perché la notte è
bella.
A tratti, per le
tenebre,
un'eco di campane
giunge, che par di
umane
voci diverse, un'eco.
È come l'armonia
d'una dolce preghiera
che salga, ne la
sera,
verso le stelle, pia.
Pace! un rintocco
freme
da la campana: tace
l'alta notte: indi -
Pace! -
freme un rintocco,
lento.
Ed ogni cor si placa
in un palpito uguale:
su da l'anima sale
un senso alto di
pace.
Più serena la vita,
più securo l'amore
più lieve anche il
dolore,
più facile la via.
Meno crudele il
pianto
forte la gioventù,
e non c'inganni più
una speranza vana.
Innalzando a le
stelle
gli occhi ed il cor,
si pensa
con tenerezza immensa
tutto che il cor
vorrebbe.
Abbia al suo desco un
pane
quei che la man ci
stende:
se a me la fiamma
splende,
splenda a tutti una
fiamma.
Non strugga acerbo il
pianto
altri, e non stremi
il duolo;
al padre il suo
figliolo
duri, ed ai figli il
padre.
Non ardan, nella
notte
fochi men puri o
degni;
amor soltanto regni
tutta la santa notte.
Vibra intanto un
estremo
rintocco di campana.
Pace! l'anima umana
piange di tenerezza.
(Da "Tutte le
poesie edite e inedite", IPL, Milano 1971)
NOTTE DI NATALE
di Giuseppe Albini
(1863-1933)
La notte del Natale
argentea, cheta
Nel mite aer distendesi,
Mentre solingo a la
solinga meta
Salgo per le vie placide.
Ove sono le nevi
turbinanti
A la bufera gelida
Che sferza e avvolge
ciechi i viandanti?
Felicemente immemore,
In vetta a le
montagne o tra i sonori
Scogli il verno si esercita:
Qui, dolce come a'
giorni degli amori.
Inonda il plenilunio,
E sol, come un
incenso, per i tersi
Spazi e 'l divin silenzio
Raro esala vapor. I
clivi immersi
Ne l'aureola sfumano,
E le zolle riluccican
di gemme
Ove le ha tocche il vomere.
santa notte, i cori
di Betlemme
Che gioia nunziavano
Fammi tu riudire, e
quando aggiorni,
Duri tra i rei, tra i miseri.
Alquanto de la pace,
in che si adorni
Questi colli riposano.
(Da
"Poesie", Zanichelli, Bologna 1901)
CANZONE DI NATALE
di Giuseppe Deabate
(1857-1928)
È tornato il
leggendario,
Il vegliardo
incappucciato
Dei bambini e del
lunario;
Ecco il verno è
ritornato!
Batte il piè di neve
eguale
Al palazzo e al
casolare;
Picchia ai vetri
delle sale,
Siede accanto al
focolare;
Ride e mormora alle
culle:
Il Natale è
ritornato;
Bacia in volto le
fanciulle:
— Bimbe mie, sono
arrivato!
Presto presto per le
stanze
A spiegar la bianca
veste:
Questo è il tempo
delle danze,
Questo è il tempo
delle feste!
Alle porte dei
tuguri,
Alle misere soffitte,
Agli squallidi
abituri
— Dove giaccion
derelitte
Le miserie al suolo
ignudo —
Batte il vecchio e
grida: Aprite!
Io per voi sarò men
crudo,
Io per voi sarò più
mite!
Così notte e dì
vagando
Va il vegliardo
incappucciato,
Va il vegliardo
ramingando
Senza posa pel
creato...
Via dall'uno
all'altro ostello,
Varca monti e varca
valli,
Scuote il candido
mantello...
È una pioggia di
cristalli.
Sovra i campi e sovra
i tetti,
Su la terra
desolata...
È una danza di
fiocchetti,
È una grande
nevicata:
Oh bei fiocchi, oh
lunghe istorie
Dell'inverno, che
desìo,
Quanto amor, quante
memorie
Suscitate nel cuor
mio!
Quando il tempo così
lento
Ci pareva ad
aspettarvi,
Quando l'occhio stava
intento
Le lunghe ore a
contemplarvi!
Oh bei sogni, oh
sogni eterni,
Quanti giorni son
passati;
Quante nevi, quanti
inverni
Da quei dì son
dileguati!
Quanti fior caduti al
suolo,
Quante fedi in sulla
via!...
Ecco lungi spicca il
volo
La dolente anima mia,
Come passera smarrita
Per la terra
desolata...
— Bimbe mie, non è la
vita
Che una grande
nevicata!
(Da "Il
canzoniere del villaggio", Casanova, Torino 1898)
NUOVO NATALE
di Giulio Salvadori
(1862-1928)
Dimmi, Pietà materna,
dimmi, Desìo d'amore,
sai la Parola eterna
per cui dà vita il
cuore?
Aprirsi ama: bisogno
d'un'altra vita,
ardente
palpito, non di
sogno,
ma d'altro cuore ei
sente.
Se non è cuor
mortale,
è palpito del cielo.
Oh uscir di sé!
fatale
luce e di morte gelo
È l'ideal bagliore,
se in esso io resto
assòrto.
Ah, il mio fratello
muore
ed il mio cuore è
morto.
No, non è morto!
Ardore
divino e umano,
eterno,
tocca il mio freddo
cuore,
scioglie il suo
triste inverno,
E un tenero Bambino
vivo nel cuore è
nato.
Ah, il suo riso
divino
è dal dolor velato!
I poveri, gli
afflitti,
i misteri gementi,
gl'infanti derelitti,
i languidi, i morenti
Vedo in quel mesto
velo
e in Lui li stringo
al petto.
Nel palpito del Cielo
il nuovo Fiat è detto.
(Da "Ricordi
dell'umile Italia", Libreria Editrice Internazionale, Torino 1918)
NOTTE SANTA
di Ada Negri
(1870-1944)
Madre, una notte di
Natale io penso
con neve in terra e
fulgor d'astri in cielo,
e dentro il gemmeo
fluttuante velo
un aroma nostalgico
d'incenso.
Tu sfioreresti il
suol col passo alato
de' tuoi tempi più
belli — allor che il gajo
cuore batteva al
ritmo del telajo,
e povertà ridea senza
peccato.
L'anima in petto io
sentirei tremare
quale a fior della
neve il bucaneve;
scendere a me vedrei,
con volo lieve,
bianche angelelle,
nel candor lunare.
Soavissima notte!...
— Uno stupore
d'infanzia,
un'innocenza di bambino
addormentato. — Io
non avrei vicino
al cuor che il soffio
del tuo grande cuore.
Narrerebbero intanto
le campane
che nacque ancor fra
i poveri Gesù.
E noi s'andrebbe, io
senza meta, tu
senza ricordi, per le
valli piane,
salmodiando in pace —
ed al fiorire
dei cieli, all'alba,
in violette e in gigli,
ritorneremmo tacite
ai giacigli
rupestri, per sognare
e per morire.
(Da "Dal
profondo", Treves, Milano 1910)
PRESEPE RUSTICO
di Augusto Ferrero
(1866-1924)
Lassù, lassù, fra i
vertici nevati,
asceta solitario
veglia il piano
l'antico Santuario.
Ivi quando il
granturco al sol biondeggia,
e nel romito bosco
ogni sito più fosco
avviva di color gaio
il ciclamo,
traggon dai popolosi
borghi le genti a
placidi riposi.
Ora nel manto candido
di neve
l'antico veglio
dorme.
Tace l'eco dei grandi
ippocastani
ché ai recessi
montani
non peregrinan più
divote torme
o di pace bramose
anime elette.
Nel luogo austero e
pio
resta qualche pastor
sceso dall'alpe
e un canuto e fedel
servo di Dio.
Qual fra le
giovinette, onde frequente
avea tributo la
Madonna Nera
di felci e fior
boschivi,
or qui, ne' cittadini
agi cullata,
ancor volge un
dolente
pensiero ai verdi
clivi,
onde i borghi
apparivano nel piano
bianchi navigli
erranti
ai confini del mare
alto, lontano?
O morti boschi, nel
fatal silenzio,
acque del rio gelate,
cui traevan le mandre
all'arsa estate,
ermi angusti sentieri
pei dorsi aspri e
selvosi,
abissi orrendi e
neri,
a cui nel fondo
strepita la Ianca,
o fra rupi obliati
casolari,
cui la neve ora
copre, uguale e bianca,
ancor, di questi
giorni all'allegrezza,
vi rimembra il poeta.
Pensa al solenne
antico Santuario,
che guarda, solitario
meditabondo asceta,
fremere lungi le
città, nel piano.
Ivi un'ignota mano
foggiò un povero e
rustico presepe:
v'è il pargolo Gesù
con la Famiglia,
e il bove
all'asinello assai somiglia.
Mi sta, quel rozzo e
povero presepe,
tuttor nella memoria.
E al canuto e fedel
servo di Dio
ed ai pochi pastor
scesi dall'alpe
al luogo austero e
pio,
d'ogni festa
esigliati
nel silenzio
invernale,
lassù, lassù, fra i
vertici nevati,
invio fraternamente
il buon Natale!
(Da "Nostalgie
d'amore", Roux e C., Torino-Roma 1893)
PRIMA LUCE
di Antonio Della
Porta (1868-1938)
Domani splenderà la
prima luce
De l'anno; e il vivo
suono de la buona
Opera umana correrà
pel mondo
Allegramente; e
chiederan le sorti
Liete li umani al
giovinetto nato
Lui deprecanti pel
futuro bene.
Dolce promessa d'ogni
dolce bene,
Se il padre sole
indorerà la luce
Nova, sarà che rechi
il nuovo nato,
Seco adducendo la
letizia buona
Ristoratrice salda de
le sorti
Che han diversa
vicenda per il mondo.
E ciascuno invocante,
al picciol mondo
Di sue spemi
recondite, il gran bene
Trarrà nel'auspicio;
e, tra le sorti
Dolorate in silenzio,
egli la luce
Novella chiederà, non
su la buona,
Ma sovra la più
triste a l'anno nato.
E, guardando nel
sole: — O nuovo nato
Cui volgasi anelante
il cuor del mondo —
Pregherà, ritrovando,
alata e buona,
La voce rituale, — il
sommo bene
De la speme ch'è in
te, ne la tua luce,
Rinnovi la più triste
di mie sorti. —
Così, Madonna, io
penso de le sorti
Mie rifiutare, per
virtù del nato
Novello, quante a la
novella luce
Domani saran fosche,
in faccia al mondo;
Incorruttibil gioia,
il nostro bene
Risplenderà sola
speranza buona.
Ne la remission
timida e buona
A l'arbitro di tutte
nostre sorti,
Io sentirò la voce, o
solo bene,
Tua mormorare: — È
giorno; il sole è nato;
Destasi l'opra umana
per il mondo
Giulivamente a la
propizia luce.
La prima luce avviva
con sì buona
Letizia il mondo, che
le nostre sorti
Fremono: l'anno è
nato, il grande bene! —
(Da "La bella
mano", Zanichelli, Bologna 1891)
QUESTA SERA
di Francesco
Cazzamini Mussi (1888-1954)
Metti legna sul
camino,
versa un gotto nel
bicchiere:
sono astemio, ma vo'
bere,
questa sera,
come tutte l'altre
sere.
Oh ben vengano i
ricordi,
questa sera!
Troveranno un bel
bracere
nel mio cuore
ed il vino buon
umore!
S'avvicina il
capodanno
e le pietre spacca il
gelo.
Poco male! Poco
danno!
Metti legna sul
camino,
versa un gotto nel
bicchiere:
sono astemio, ma vo'
bere,
questa sera...
I ricordi, se
verranno,
poveretti, a
salutarmi,
questa sera,
da devoti vecchi
amici
non avran viso
dell'armi,
ma pensando agli
infelici,
e magari ai più
felici,
guarderemo insieme il
cielo...
S'avvicina il
capodanno
e le pietre spacca il
gelo.
Poco male! Poco
danno!
Senti? Il vento come
urla...
Se spogliasse la
foresta,
solamente!
Ma le carni ti
raggela
ed un brivido ti
corre
per la pelle.
Nelle valli, tra le
forre
fischia e indomito
ribelle,
or ti sbatte come
vela,
or ti bacia come
femmina
che ti culli
dolcemente.
Ride, piange, stride
ed urla.
Ah, col vento non si
burla!
Ma la nebbia scende
lenta
come un velo,
che nasconde, che
confonde.
Onde, onde, onde,
onde...
Fascia, smorza ogni
rumore.
Tu la senti
mareggiare
impalpabile, sottile.
Ov'è il sole
dell'aprile?
Delle stelle il
scintillare?
Tu la senti anche nel
cuore.
E la sente,
anch'esso, il fuoco
che languendo a poco
a poco
s' addormenta.
E la nebbia
sonnolenta
scende lenta lenta
lenta.
Metti legna sul
camino,
versa un gotto nel
bicchiere:
sono astemio ma vo'
bere
questa sera...
In campagna a
capodanno?
Che stranezza
d'annoiato!
Capodanno... Il
vecchio è andato,
l'anno nuovo se ne
andrà...
Oh se quello
ritornasse...
Ritornare?
Non si può dall'al di
là!
Quella povera piccina
che mentiva tanto
bene,
e d'un riso luminoso
ingannava amante e
sposo,
quella povera piccina
non ritorna al nostro
bene.
Nostro. Quello
proibito,
che fu il mio,
quello onesto e
stabilito
del marito.
Quella povera piccina
che farà, lassù, con
Dio?
E poi l'altra... E
l'altra ancora...
Non son morte...
Questo è il grave,
che il morire
fa il ricordo più
soave...
Metti legna sul
camino,
versa un gotto nel
bicchiere:
sono astemio, ma vo'
bere,
questa sera...
Quelle povere
ragazze,
un po' sciocche, un
poco pazze,
della dolce vita
vana?
Come spuma nel
bicchiere!
Oh! Ma le altre, più
severe
di soverchie
primavere?
Penitenza di peccati
che non voglio
perdonati!
La città, come
sperduta
nella nebbia, è sì
lontana!
Oh che il vino m'è
cattivo,
se rivivo
quel ch'è stato e non
ritorna,
se l'imagine ravviso
d'un sorriso
della dolce vita
vana.
La più dolce... O tu
che bevi,
non posare la tua tazza
mentre infuria
l'allegria,
sazio, lesto, a passi
lievi,
vieni via...
In campagna a
capodanno?
Che stranezza
d'annoiato!
Chissà quanto m'ha
cercato
in città Doretta mia!
Metti legna sul
camino,
versa un gotto nel
bicchiere:
sono astemio ma vo'
bere,
questa sera...
Oh saggezza che
zampilli
nel chiarore
del liquore,
che scintilli
su dal ceppo che
ancor arde!
Tutto il resto? Ubbìe
bugiarde.
Ecco, allungati che
il fuoco
ti riscaldi a poco a
poco...
L'infinito... L'
avvenire...
Che sgomento!
Che morire!
Urli il vento
furibondo,
e sul mondo
cali pur la nebbia
greve.
Qui fa caldo e si sta
bene...
Che più cerchi?
Dentro il breve
limitare
del camino c'è la
vita,
fuori, il mare
della notte alta
infinita,
fuori, il vento
furibondo
e la nebbia densa e
greve.
Poi, chissà, forse,
la neve...
Oh tu saggio, tu che
ronfi,
o segugio de'begli
anni,
Ti ricordi, quante
lepri?
Ora, stanco, stai
vicino
alla soglia del
camino,
triste, pieno di
malanni,
né annusando tra i
ginepri,
tra le oscure selve
intatte,
tra le fratte,
segui il filo
dell'agghiaccio.
Ti ricordi quante
lepri?
Ora, molle come
straccio,
o vescica che si
sgonfi,
ti rasciughi i reumi
e gli anni.
Non s'asciugano,
ahimè, gli anni...
O Brighella, qua la
zampa.
Su, la lepre passa,
arrampa
per le balze, alla
montagna...
Quanta strada già
guadagna!...
Su, gagliardo tra i
gagliardi!
Tu non senti?
Dormi?... È tardi...
Oh, dormire!
Metti legna sul
camino,
versa un gotto nel
bicchiere:
sono astemio, ma vo'
bere,
questa sera...
(Da "Le allee
solitarie", Ricciardi, Napoli 1920)
PAESAGGI, I
di Mattia Limoncelli
(1880-1966)
Lontano le città nel
luccicore
fatte presepi a
specchio delle rive
esitan bianche
bianche entro un vapore.
Le ricingono —
sciarpe fuggitive —
impazienti, argentei
canali
dopo lentezze gelide,
invernali.
Un va e vieni di locomotive
su una rete binaria
con frequenza di
spole
dai folti centri via
pei campi svaria
entro occhiate di
sole:
mesce i randagi
popoli
delle fosche
metropoli.
(Da "Faro senza
luce", Treves, Milano 1922)
Cornelius Krieghoff, "Winter Landscape" |
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