E visto che l'inverno
è arrivato, anche se non ufficialmente, mi sembra opportuno pubblicare una
ventina di poesie che parlino di questa stagione. Nella maggioranza di questi
versi si notano descrizioni di paesaggi desolati, che l'inverno, imminente o cominciato
da poco, ha già cambiato in modo netto. Il mese è, molto spesso, quello di
dicembre: il primo che dimostri in modo chiaro un mutamento climatico, con le
prime gelate e le prime nevicate (se si escludono i luoghi montani in cui, già
a novembre la neve abbonda).
Lo spazio temporale
in cui sono state scritte e pubblicate queste poesie va, all'incirca,
dall'ultimo decennio dell'Ottocento al primo trentennio del Novecento.
Tra i poeti qui
presenti, se ne possono trovare alcuni decisamente ottocenteschi come il
Marradi e il Guerrini; eppure entrambi, almeno in questi componimenti, mostrano
una tendenza verso la nuova poesia. Si faccia, ad esempio, un raffronto tra La quercia abbattuta di Marradi e La quercia caduta del Pascoli: entrambe
uscite nello stesso periodo (ma quella del Marradi precede di poco l'altra).
Più legate al modo di
poetare del XIX secolo sono le liriche di Avancini, di Belluso, di Boner e di
Francesco Chiesa: poeta svizzero di lingua italiana, quest'ultimo, che subì
costantemente, lungo l'arco della sua prestigiosa carriera poetica, l'influenza
di Giosuè Carducci.
Fra gli altri, c'è da
segnalare un poeta che non fu mai granché considerato, pur possedendo qualità
non indifferenti: Augusto Edoardo Berta; coetaneo del Pascoli, fu autore di due
volumi in versi molto belli e dalle caratteristiche innovative.
Vi sono anche dei
poeti crepuscolari: Marrone e Govoni, che, rispettando le tematiche a loro più
care, pongono l'accento sulla tediosità della fredda stagione.
Non son pochi,
infine, i versi di quei poeti definiti "minimi", che pure, rileggendoli,
sono da rivalutare per lo meno per alcuni tra i loro componimenti, come quelli
che compaiono in questa selezione. Tra di essi vorrei citare un certo Tullio
Ortolani, che oltre a scrivere e pubblicare poesie svolse l'attività di
professore; a lui ho già dedicato un post nella sezione dei "poeti
dimenticati".
EPISTOLARIO, VI
di Bruna (pseud. di
Laura Clementina Maiocchi, 1866-1945)
Amico mio, per voi
questa mattina
colsi l'ultima rosa;
pendea pallida e
china
quale una pensierosa
testa dolente.
Coronata ell'era
di pure stille;
ancora
il pianto de la sera
serbava e de
l'aurora.
Ma vidi tosto al
tocco de la mano
la corolla sfiorire
siccome sogno vano.
Or voglio rïunire
i petali rosati in
questo foglio
che viene a voi,
gentile
diletto amico; voglio
de la rosa d'aprile
mandarvi (mentre già
l'inverno avanza,
cinto di nevi e
brine)
la soave fragranza.
Restano a me le
spine.
5 dicembre '97
(Da "In
solitudine", Cappelli, Rocca S. Casciano 1898)
INVERNO IMMINENTE
di Augusto E. Berta
(1855-1923)
Nel parco assiderato,
che il gran brivido assale
dall'imminente
inverno, va la Dama, superba
figurina vivente
d'una scena spettrale.
Chiuso il ciel. - La
ramaglia degli alberi non serba
che una scialba
memoria del verde trionfale
de' bei giorni del
sole. - Agonizza nell'erba
l'ultima rosellina.
Fischia il vento - fatale
rovina! - ed urla al
mondo la sua minaccia acerba.
Bella Dama elegante -
vi dice il vento - è l'ora!
Fuggite questa tetra
monotonia vasta
e desolata! Andate -
o pensosa signora!
Tutto vi muore
intorno! Tutto qui geme e implora
sotto i colpi crudeli
del verno iconoclasta!
Al tepido salotto
tornate - o Dama - è l'ora!
(Da "Le
stigmate", Tip. Vincenzo Bona, Torino 1894)
ODE INVERNALE
di Avancinio Avancini
(1866-1939)
Salve dicembre: a
grandi
passi tu varchi la
deserta valle,
e di tue fredde
pioggie i venerandi
boschi bagnati
curvano le gialle
chiome in atto
dolente;
miran le creste
brulle, incoronate
di nubi, a 'l cielo
sonnacchiosamente,
e con sordo fragor
cento cascate
colan lungo le roccie
di vivo sasso,
dileguando a 'l fondo
in una polve di
minute goccie.
Di qua, di là, sopra
la vetta e il tondo
fianco di monti, mute
le capannuccie stanno
a l'inesausto
diluvio; i vetri
splendono, e sedute
ne la luce invernal
filano il fausto
canape le comari:
mentre di fuor sibila
il vento, scossi
piegan li abeti in
fila i secolari
scheletri lagrimosi,
ed a i commossi
miei sensi il verno
schiude
solennemente i
barbari secreti
de 'l suo poema
gigantesco e rude. -
Ma ne 'l vicin
salotto, a le pareti
de 'l qual pendono i
vecchi
quadri e si vedon
raddoppiati i rai
de la fiamma festiva
entro gli specchi,
ma ne 'l vicin
salotto, ove di gai
fumi la mensa odora
e il prezioso vin
ride traverso
a 'l lucente
cristallo, è la signora
mia ritta ad
aspettarmi; il guardo, perso
ne 'l crepuscolo,
pare
d'un bellissimo sogno
iniziato
serenamente il fil
continuare:
cadono i ricci
copiosi a lato
de 'l roseo volto,
pura
cornice: sopra le due
guancie, lisce
sì come pietra
levigata e dura,
perenne maggio la
beltà fiorisce.
(Da "Rime",
Tip. Bortolotti di G. Prato, Milano 1888)
DOMENICA D'INVERNO
di Tito Marrone
(1882-1967)
Domenica d'inverno
aspra di pioggia
su le piazze deserte
e su le strade,
conosco la malinconia
che invade
tutte le cose umide
del suo pianto:
l'edera che
intristisce su la loggia,
il fior di crisantemo
e il dior d'acanto.
Spento è novembre,
con l'illusione
dell'estate dei morti
a San Martino;
ora trascorre il
fiato decembrino
dove un sorriso tenue
fiorì:
la terra è triste
come una prigione
che tutte le speranze
seppellì.
Domenica d'inverno,
ecco il tuo pianto:
lacrime in cielo, fango
su la terra;
ed uno stesso affanno
vi rinserra,
anima nostra, anima
delle cose!
E vi ricopre ora uno
stesso manto,
anima nostra, anima
delle cose!
Lasceremo passare
questo giorno
fino al tramonto che
non si vedrà,
com'alba non si vide,
e sorgerà
un altro giorno, con
la stessa pioggia
forse, e ci sembrerà
quasi un ritorno
di questo che si
stempra su la loggia!
Lunedì: giorno di
lavoro. Noi
non guarderemo
immobili con tetri
occhi l'acqua che
crepita su' vetri,
e non diremo inutili
parole.
Ma oggi, ch'è
domenica! non vuoi,
anima, un po'
d'azzurro, un po' di sole?
(Da «Rivista di
Roma», dicembre 1904)
PIOGGIA
di Nicola Moscardelli
(1894-1943)
Piove e fa freddo. Si
gela.
Il cielo
è sconsolatamente
disperato.
Anche il cieco
cammina: l'ombrello forato
tentenna ondeggia si
abbassa
guarda nel cielo,
schiva le pozzanghere.
Egli guarda con gli
occhi del cane
che annusa e
scantona.
È il buon figliuolo
il solo
il bastone della
vecchiaia
la sua pupilla destra
e forse anche
sinistra.
C'è nell'aria
intermittente
un odore di gabinetto
chimico
filtra la pioggia
indefinitamente.
Il cane s'arresta
se fiuta odore di più
grossa tempesta.
Trema il guinzaglio
che accompagna le
nuvole.
Questa è la via del
camposanto, certo.
Un lampo illumina
d'un colpo
quella miseria spettrale
che passeggia.
Cadono tutte le
maschere
e ruzzola nella mota
il ghigno di chi non
ha visto.
Sta nella sera immota
la sua figura
solenne.
E chiama chiama
chiama
se venga di lontano
qualcuno che ha fame
qualcuno che ha pane
per sé e per il cane.
Pallidi indifferenti
scettici
si affacciano ai
balconi
i primi fanali
monocoli.
(Da
"Abbeveratoio", Libreria Della Voce, Firenze 1915)
GIORNO DI PIOGGIA
di Abdon V. Micillo
(pseud. di Aldo C. Lombini, 1891-?)
Il giorno è freddo,
oscuro e melanconico,
cade la piova e non
ha posa il vento.
Al rudere, che
crolla, ancor s'abbranca
la vite, con tenace
abbracciamento;
ma via, con ala
stanca
ad ogni infuriar de
la bufera
cadon le foglie a
schiera.
Il giorno è fosco,
freddo e malinconico.
È fosca la mia vita e
melanconica
cade la piova, e non
ha posa il vento.
Al passato, che
crolla, ancor s'abbranca
il pensier, con
tenace abbracciamento;
ma via, con ala
stanca
cadon le spemi
giovanili a schiera
nell'urlante bufera.
È la mia vita fosca e
melanconica.
(Da
"Fremiti", Casa editrice dela F.I.G.P., Napoli 1911)
NELLA BRUMA
di Ugo Ghiron
(1876-1952)
Pigra sera
decembrina: nuota
oscura
l'ampia selva dei
camini e delle cupole
entro l'aria densa e
molle come vischio.
Un immenso
mar di fango piazze e
strade,
su cui scialbo trema
il guizzo dei fanali.
Passi fiochi,
fiochi strepiti di
ruote, come in sogno;
dei rintocchi
d'orologio - come in sogno -
che fra i lenti
veli oscillan della
bruma...
Poi, d'un tratto,
- così chiaro che il
ciel taglia -
(batte giallo,
dunque, il sole a
qualche nera inferriata?)
un cantare
strano, stridulo,
di gallo!
[Da "Poesie
(1908-1930)", Sandron, Palermo 1932]
IL VIATICO
di Angiolo Orvieto
(1869-1967)
I campi stamattina
erano tutti fioriti
di brina;
pareva nevicato da
per tutto,
sopra gli alberi
spogli
e sulle foglioline
dei trifogli.
L'aria fredda e
serena, appena appena
colorata di rosa ad
oriente...
Quand'ecco fra la
brina dolcemente
si sente la vocina
d'una cmapanellina.
Il Viatico andava
dalla Rosa,
la vecchia contadina.
E intanto la sua
nuora, poverina,
gemeva fra le doglie.
Cadean l'ultime
foglie
dalla vigna
avvizzita,
qualche boccio di
rosa decembrina
si schiudeva alla
vita.
(Da "La
primavera della cornamusa", Bemporad, Firenze 1925)
VILLA BORGHESE
di Ettore Romagnoli
(1871-1938)
Quivi crosciar di
gelide acque cadenti, e attorno,
per le querce
grigiastre, di frondi uno stormir;
e della vita il
murmure, mentre declina il giorno,
per l'aer luminoso
giunge fioco a morir;
e il sole che purpureo
i raggi ultimi vibra
tra i foschi rami, a
specchio del verde umido pian
su cui del ciel
l'immagine diafana or si libra,
ed or limpide nubi
con lento moto van.
Trilla un augello, e
sùbito impaurito tace:
mentre dal nebiloso
etra il notturno gel
piove su l'onde, e,
trepida, la luminosa face
Espero leva, e
ascende con lento passo il ciel.
(Da "Miti e
fantasie", Carabba, Lanciano 1910)
TRA FIORI MORTI
di Tullio Ortolani
(1869-?)
È il dì freddo:
taciturna
tra fior morti tu
cammini.
Mentre la luce diurna
va mancando, a terra
chini
tieni i grandi occhi
divini.
Sul giardin mesto
quale urna
funeraria, donde fini
sogni salgon, la
notturna
alta quiete ecco si
versa
da le stelle, da la
luna;
ma l'affanno che in
cor porti
non ha pace. Sempre
immersa
ne la tua triste
fortuna
tu cammini tra' fior
morti.
(Da "Vox in
deserto", Tip. P. Castaldi, Feltre 1895)
OH COME ACCIDIOSA A POCO A POCO
di Gustavo Brigante
Colonna (1878-1957)
Oh come accidiosa a
poco a poco
Entra la notte nella
muta stanza!
Oh come il vento va
parlando roco
Da presso e sospiroso
in lontananza!
Nessuno nel camino ha
acceso il fuoco,
Nessuno a me
consiglia una speranza;
E pur dei dì che
vanamente invoco
M'assale ancor la
viva ricordanza.
E pur m'assale ancor
la nostalgia
Degli inverni
lontani, allor che accanto
Al fuoco, nella mia
casa silente,
Riposavo in un sogno
confidente,
E m'era augurio
affettuoso e santo
La tua buona carezza,
o madre mia.
(Da "Gli ulivi e
le ginestre" M. Carra & C., Roma 1912)
PATINA DI BRONZO
di Corrado Govoni
(1884-1965)
Cantano tra la nebbia
dei galli da dei
pollai;
il freddo trebbia
l'ultime rose dei
rosai.
Una campana da un
convento articola
l'ore:
un'altra stampa una
particola
di rumore.
La stanza prende un
aspetto strano
di archeologia...
Oh quel tamburo
lontano
che buratta la sua
malinconia!
Unica fede ne l'addio
de l'orto verdeggia
il bosso.
Tra le foglie c'è lo
scoppiettio
dei bubboli d'un
pettirosso.
(Da "Armonia in
grigio et in silenzio", Lumachi, Firenze 1903)
BALLATA JEMALE
di Gino Del Guasta
(1875-1940)
Nei viridarii
squallidi è cascata
l'ultima foglia sotto
un cielo algente;
e a piangere ritorna
la dolente
anima - di fantasmi
arca gelata -
Io non attingo
nell'ansia segreta
il malioso farmaco
d'amore
a una feminea bocca
sensuale,
ma struggo i giorni
miei sì come asceta
ne la febre dell'arte
e nel dolore.
E a notte, per la
tenebra glaciale
una vanente immagine
spettrale
mi persegue. Sei tu,
madre, che gemi
nella fossa acquidosa
e ignuda tremi
fra le croci
terragne, sconsolata!
(Dalla rivista «Le
Varietà», febbraio 1894)
INVERNO
di Francesco Chiesa
(1871-1973)
Inverno, poiché il
tuo fiato aspro lima
la terra e striscia
ruvido nel cielo,
come ved'io non
apparenti prima.
Nuda la verità fuor
d'ogni velo
caduco scerno:
semplice, virginea,
immobil entro numeri
di gelo.
Fuor d'ogni veste
florida, pampinea,
la collina, ecco, si
rivela, chiusa
perfettamente di più
salda linea.
Ecco l'albero che
scuote e ricusa,
vani accidenti, fiori
e foglie; e austero
rientra nella sua
formola astrusa.
Rientra, come talor
uomo parliero
si ritrae dalla
torbida parola
dentro i nitidi
schemi del pensiero.
Del parlar onde
sdegna, ei si consola
ivi intendendo... E
tra le fronde rade
meglio penetra il
sole e l'aria svola;
e chiare tracce
appaiono di strade
per entro i boschi;
ed una gemma pronta
spunta nel segno ove
una foglia cade.
Nudo e più fermo ogni
macigno impronta
sé nella luce: aspra
la terra indura
che marciva, e il gel
fulgido sormonta.
A te nei veli d'Iride
natura
non piacque, o
Inverno; e rigida le serri
sulle membra palladie
un'armatura.
Ferma vuoi tu
bellezza, e che non erri
di colore in colore:
e l'erbe stingi
e i rami tempri come
grigi ferri.
Tu il riso errante a
fior di cosa stringi
dentro; tu il riso
delle cose impietri
d'un'immobilità, come
alle sfingi.
O puro austero! E tu
sospendi i tetri
marciumi; tu
l'architettura rude
del mondo sgombri; tu
d'argenti e vetri,
o buon mago, la
lurida palude
copri, e vi danzi e
vi ti specchi e ridi;
de' semi, quel che
più vigore inchiude
tu, buon arbitro,
serbi e gli altri uccidi.
(Da "I viali
d'oro", Formiggini, Roma 1911)
IL SALUTO
di Aldo Fumagalli
(?-?)
Lontano, su le cime
aspre dei monti
Venne la neve, da la
valle aperta
Venne il vento
ghiacciato sovra i boschi:
Primo saluto! Se
diamni a l'alba
Il sole brillerà su
le boscaglie
Le troverà già
vecchie, ne l'autunno
Arse dal soffio
immane de la morte!
Ne le case già brilla
il focolare
Dei primi ciocchi
lenti e silenziosi.
Or la Lena dov'è?
Dov'è Maria?
Dov'è lo sciame
garulo dei bimbi?
Oggi non li ritrovo
su la via
Consueta, e, intorno
alita l'inverno.
Sui boschi è un velo:
sovra i campi attesa
De gli squarci
profondi de gli aratri,
E del riposo de le
nevicate...
Levasi intorno grave
di bellezza
L'ampio saluto de la
pace, mite
Come suono lontano di
campane.
Levasi intorno a
l'ora de la pace
Una muta bellissima
preghiera.
(Da
"Arcate", Puccini, Milano 1913)
HIEMALIA, I
di Edoardo Giacomo
Boner (1866-1908)
T'amo, nemboso
inverno! a me stagione
Grata non men d'ogni
altra sei; ché quando
S'empie d'ira e di
tenebre il vallone,
O spuma e scoppia il
Jonio venerando,
E quindi 'l vento dal
settentrione
Soffia, un pianto di
volghi ansii recando,
Quinci dell'arsa Libia
il solleone
Narra e i palmèti dal
profilo blando,
Parmi aspirar nobili
sensi alteri,
Foco al tuo gelo
attingo, e l'aure sfido
Anima e capo ergendo;
e mentre i ner
Flutti s'avventan su
'l deserto lido
E rumoreggia il tuon,
franchi pensieri
Che vincan forse i
tempi al vento affido.
(Da
"Plenilunio", Emilio Quadrio, Milano 1889)
DICEMBRE
di Mario Adobati
(1889-1919)
Anima mia, in una
stretta lieve,
come la siepe di un
giardino morto,
racchiudi in te con
l'ultimo tuo breve
sogno sepolto l'ultimo
conforto.
Rifiorirà ancora un
bucaneve
entro la cinta del
lontano orto,
anche se il gelo
generò la neve,
anche se il gelo vi
recò sconforto.
Ma in te, anima mia,
in te sì sola,
entro il tuo gelo non
avranno vita
dolci pensieri in
morbido abbandono.
Un latte
incorruttibile sol cola
dal tuo gelido cielo.
Su le dita
questa neve raccolgo
come un dono.
(Da "I cipressi
e le sorgenti" ,
Tip. C. Conti e C., Bergamo 1919)
MUTO DICEMBRE
di Enrico Cardile
(1884-1951)
Muto dicembre, nella
bianca valle
non di voce o campana
eco si ascolta:
rabbrividisce la mia
fronte, a volta,
come sfiorata d'ala
di farfalle.
(Nevica sui capelli,
o sovra il cuore?)
Natività, ma tu non
sei più quella,
è spenta in cielo
omai l'ultima stella,
ucciso è omai sul
monte il Salvatore...
Muto Dicembre, la tua
bianca cuna
non dondola, per me,
sulla speranza,
tutto quel che di
vita ora mi avanza
ceppo non offre
all'ultima fortuna.
Fuoco non dona il
canto, o Gioventù:
l'Anima non si esalta
o si ribella,
e col Natale non si
rinnovella,
e col Natale non
sorride più...
(Da
"Sintesi", Studio Editoriale Moderno, Catania 1923)
QUERCIA ABBATTUTA
di Giovanni Marradi
(1852-1922)
Tu giaci, quercia; e
quante volte, al blando
tuo rezzo verde che
il villino ombrava,
vedesti i bimbi, in
compagnia dell'ava,
saltar d' intorno a
lei, rosei vociando!
Ed or che il verno
addensa la bufera,
or che a colpi di
scure ad una ad una
cascarono le tue
braccia sfrondate,
gioconderai d'alacri
vampe a sera
le veglie della casa,
ove raduna
l'avola i bimbi a
novellar di fate;
mentre in lei fisse,
trepide, incantale,
le testine auree
nell'opaca sala
splendono al
focolare, in cui s'esala
il tuo spirito
antico, alto fìammando.
(Da
"Poesie", Barbera, Firenze 1923)
GUARDANDO LA TERRA
di Cosimo Giorgieri
Contri (1870-1943)
Dormono i germi che
si sveglieranno
nel suol che un
giorno ci addormenterà.
L'inverno è mite. Una
serenità
cerula sovra il
piccolo orto tepe:
la vecchia terra è
ruvida di crepe,
nera la siepe che fu
verde già.
La terra nel suo mite
ozio si adagia
novellamente. Come
calma! Come
par che contempli,
tra le rade chiome,
un cielo chiaro a
fiocchi di bambagia.
Stanca posa e pur
sogna: e pure invita:
chi del suo letto si
atterrì, chi mai?
ella è buona a chi
dorme: ella ai rosai
sempre serbò la
ritmica fiorita.
E queste zolle, or or
vangate, ancora
non paion dunque
soffici, tramate
ancor dei rivi che
alla nova estate
ripulluleran fuori,
acqua canora?
Terra fedele, letto
ultimo e pio,
onde il fervido odor
delle radici
voi respirate, taciti
e felici,
o morti, in braccio
all'infinito oblìo,
Terra, oh com'oggi ti
sopisci, come
ti adagi al sonno tra
i brulli arboscelli,
tra le siepi oggimai
senza capelli,
e i cipressi alti
dalle eterne chiome!
Il cielo è mite. Una
serenità
cerula sta sopra le
cose. Hanno
tutte le cose in
questa fine d'anno
come un sorriso
d'anima che sa.
Dormono i germi che
si sveglieranno
nel suol che un
giorno ci addormenterà.
(Da "La donna
del velo", Lattes, Torino 1905)
LUNA INVERNALE
di Alfio Belluso
(1855-1904)
Fra gli alberi nudi e
silenti
Che sporgon su' muri
dell'orto,
Sospirano gelidi i
venti.
Il disco manchevole e
smorto
La luna fra nuvole e
veli
Nasconde nell'alto
de' cieli.
Trascorre la notte
invernale
Fra sibili arcani e
singulti...
Nell'umide tenebre,
quale
Mistero di spasimi
occulti
E inganno di sogni
dubbiosi
Affanna e lusinga i
riposi?
S'addensan, si
squarcian nel cielo
Le nubi cacciate dal
vento,
E passa tra 'l
pallido velo
La luna: un immane
lamento
Par s'oda da lungi venire...
Lamento d'un grande
martìre.
(Da
"Cerere", Giannotta, Catania 1899)
DICEMBRE
di Olindo Guerrini
(1845-1916)
Nel ciel grigio e
sonnolento
è una gran
malinconia,
e la neve senza vento
muor nel fango della
via.
Un mortale
increscimento
assalì l'anima mia;
agghiacciato il cor
mi sento
nel sudor
dell'agonia.
Muore il giorno e al
mondo invia
un addio che fa
spavento,
un singhiozzo
d'elegia.
Muore l'anno e lento
lento
nel languor
dell'etisia
l'amor nostro, ecco,
s'è spento!
(Da "Le Rime di
Lorenzo Stecchetti", Zanichelli, Bologna 1903)
Lorenzo Delleani, "Inverno" |
Una selezione impegnativa dal punto di vista estetico! La poesia richiede il suo tempo per essere metabolizzata.
RispondiEliminaSarebbe bello fare una lettura pubblica.
ti segnalo il sito http://diepicanuova.blogspot.it, e'di un mio caro amico Franco Romano'.
RispondiEliminaGrazie della segnalazione! Ho dato già una sbirciata al sito da te raccomandatomi e ho notato la presenza di interessanti articoli. Vi tornerò sicuramente per cercare ed approfondire argomenti che potrebbero coinvolgermi. Riguardo alla lettura pubblica di queste poesie, potrebbe essere una buona idea, ma, come hai ben detto, visto che i versi spesso necessitano di tempo per esser metabolizzati, la cosa migliore è sempre e comunque leggerli con la massima attenzione. E se ci piacciono, leggerli all'infinito...
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