Sono anch'io una
foglia ormai ingiallita, ancora attaccata al ramo di un albero in autunno. Vi
vedo, foglie del mio stesso ramo: miei cari morti, già caduti in terra uno dopo
l'altro. Aspetto... non so quanto rimarrò ancora qui, ma prima o poi sarò con
voi, finalmente. È tornato novembre: mese consacrato ai defunti, ed è allora
impossibile non pensare a voi (così tanti nella mia mente), che siete stati
qui, con me, per un certo tempo, ed ora mi avete abbandonato per sempre. Ho
gettato al vento autunnale l'ultima speranza ed aspetto soltanto la definitiva
partenza. Intanto qui c'è il sole, ma è un sole freddo, senza calore... la luce
si fa sempre più avara e le giornate sono sempre più brevi. Il mio cuore e la
mia anima sono sempre più tristi...
IL VENTO
di Ceccardo
Roccatagliata Ceccardi
- È il vento -
mormorò taluno.
- O una trave che s'è
ricordata dell'Autunno, rispose un altro.
- Forse un tarlo...
- Un topo...
Un lume batteva l'ali
contro un vaso di vetro, a mezz'aria della stanza: a torno, una danza d'ombre
s'allacciava alle pareti; saliva sui mobili con un balzo, dando il capo nel
soffitto. Ed io ripetei a bassa voce: - il vento?
e gli altri in coro -
una trave...
- un tarlo:
- un topo.
E il mio cuore:
L'autunno di ramo
in ramo si raccoglie
come un uccello al vento:
e un lamento di foglie
mesce con un richiamo
di piogge, di fontane
e d'ombre. Il pianto
vaga in aria a lontane
solitudini, oscilla
di villa in villa,
e scolora ogni fronda.
Pendon lacrime e canto
ne la pace profonda
de la campagna:
ed un rimpianto
ad ogni gronda
fuggitivo si lagna;
ed un lamento
di vento l'accompagna...
E il mio pensiero: -
un viandante che ha freddo...
E gli altri ancora:
- un tarlo;
- un topo...
E il mio pensiero: -
forse né gli uni, né l'altro.
- E allora chi?
Il cuore si chiuse
rabbrividendo.
E il pensiero: allora
chi? - un uccello smarrito, un ramo caduto?
Un attimo oscillò.
Nel silenzio ognuno
si chiedeva: chi?
E l'angoscia entro il
pallido velo dell'ombre s'affacciava da ogni volto. Qualcuno si volse verso il
vano oscuro del corridoio che s'apriva in fondo alla stanza... ma una voce
ripeté: il vento!
- e noi respirammo.
Pur io mi richiesi
ancora, entro il cuore:
- il vento?
- Forse nessuno.
E come un'eco
nell'anima:
un tarlo,
un topo,
un uccello,
un ramo...
I fantasmi del lume
battevano il capo contro le travi: io m'avviai verso la porta crollando il
capo.
Alcuno disse: no, no.
Ed io - perché?
E m'avviai. E gli
altri ascoltarono in silenzio i miei passi che lontanavano, pel corridoio,
lungo la scala del cortile, guardandosi in faccia.
E ognuno si ripeteva
in cuore: il vento!
(Da «La Riviera
Ligure», 1900)
NELL'OMBRA
di Enrico Thovez
Il parco nel
crepuscolo grigio s'infosca e posa.
Cessò la pioggia:
gocciano, luccicando, le frasche
con un crepito sordo,
gorgogliano le vasche,
e la rena lavata beve
l'onda piovosa.
Tutto è molle e
odorante; par di sentire il lieve
suggere della ghiaia
dai suoi pori di pietra:
rosea e bianca nel
buio sotto la volta tetra
biancheggia in mezzo
ai carpini in meandri di neve.
Le ninfe grigie e i
satiri verdeggiano di muffa.
Fra lo stormire
liquido de le fronde sommosse
da un alito
insensibile, a fior de l'acque scosse
de lo stagno,
starnazza l'ali il cigno, e si tuffa.
La vaga forma candida
naviga per l'immoto
specchio dell'acque
nere. Con un sussurro umano
foglie secche si
staccano; passa come una mano
sulla mia fronte:
cadono sotto, nel buio ignoto.
Tutta la selva vive.
Sono fruscii, bisbigli,
schianti improvvisi,
cupi scricchiolii e risate:
le foglie secche
crepitano piano a tratti, calcate
da un passo...:
qualcheduno coglie nell'ombra i gigli?
Ritorna un dolce
spirito nei luoghi antichi e cari
forse? o la mente
popola del suo delirio il vuoto?
Vaghi biancori
accennano, spira un profumo noto...
o morto amore, o
dolce forma, sei qui? mi appari?
Viene una veste
bianca qui lungo l'acqua oscura?
È il cigno, il cigno!
M'alita la selva umida in faccia
un brivido di tomba:
mi avvinghiano le braccia
dei tronchi strani:
io arretro, palpito di paura...
La selva secolare
sola vivente è qui.
Questo fruscìo
leggero è il sibilo autunnale
delle foglie cadenti:
nessun passo mortale;
oh, nessun morto
amore torna dai morti dì.
(Da «La Riviera
Ligure», 1902)
ELEGIA AUTUNNALE
di Vittorio Betteloni
Quando dal basso
cielo, autunno con pioggia incessante
spesso ci annoja, a
guisa di scellerati funghi
ch'alzan da negra
zolla il capo dipinto d'arcane
cifre, che dannan
morto chi di quelli si pasce,
tali in mio cuore
molte tristezze sollevan la fronte
misteriosa e quale io
stesso mal ravviso.
L'anima affascinata a
lungo di quelle si pasce,
con voluttà che amara
tutta quanta la invade.
Nel pigro sangue
intanto s'insinua sottile veleno,
che senza uccider
mette il viver nostro in odio,
che assai peggior
d'ogn'altro velen desiabile rende
morte su tutte cose,
morte che non sa darti.
Ma poscia che la
pioggia e il vento percosse l'intera
notte la tua
finestra, se inaspettato il sole
viene a destarti a
giorno, il sole che d'iridi tutto
e di raggianti gemme l'ultimo
verde copre;
e la Natura esulta
qual donna a carezze d'amante
ogni mestizia tosto
sgombra da 'l petto allora.
Vero è bene però,
perchè splende oggi il sole, non muta
punto sua rude,
ferrea tempra l'uman destino.
Pur che importa? Non
è; ma men triste la vita oggi appare
dunque esultiam nel
sole, noi che per breve tempo
a le sue feste
appella la diva immortale Natura:
dimentichiam per poco
quali noi siamo, quale
il fatal esser nostro
mistero infinito ravvolge;
prendiamo parte a 'l
gaudio de la Natura immensa.
Oggi a 'l mattin su i
campi c'invita l'allodola dolce,
che fumerà odorosa su
'l piatto nostro a sera.
Poi tornerà domani a
piangere il cielo a dirotto,
tornerà il cor domani
a le mestizie sue.
(Da "Crisantemi",
1903)
SAN SABA
di Diego Angeli
Lenta la pioggia cade
nel vecchio giardino ove un giorno
io l'aspettai spiando
fra i rami dei chiusi recinti:
qualche pallida rosa
d'Autunno fioriva all'intorno
e sotto l'erbe verdi
si aprivano i primi giacinti.
Hyla non forse mai
scrutò fra gl'immobili steli
se nella chiara fonte
tendesse una ninfa l'agguato:
nel moribondo giorno
curvavansi limpidi i cieli
alto attingea la luce
un bel campanile quadrato.
Non una voce. A volte
piombava un arancio maturo
sul terreno sonante:
a volte passava uno stuolo
rumoroso di corvi. Ma
l'orto era sempre più oscuro:
ma io pur mi sentivo
ad ogni minuto più solo.
E nel silenzio grave
un grave pensiero tenace:
— Verrà? Troppo ho
tardato a stringerla fra le mie braccia!
Sulle mie labbra è il
senso di quella sua bocca vorace,
nei miei occhi il
riflesso di quella sua pallida faccia!
Tutta la vita, tutta,
per scioglierle la chioma ondosa
come sul limitare
dell'inobliata laguna,
quando nella mia
stanza ella venne silenziosa
come una bianca forma
recata da un raggio di luna!
(Ella aveva nei
biondi capelli l'odore del sale,
dentro i lunghi occhi
obliqui, l'immagine triste di un mondo
e nella voce il suono
dell'irreparabile male).
Ah la mia vita tutta,
per l'ultimo abbraccio profondo!
Ma quest'oscuro voto
rimase nel cuore dolente
chiuso come una tomba
sulle illusioni più care.
Tu non sapesti
entrare nel breve giardino morente
Anima del Crepuscolo,
immobile sul limitare!
(Da "L'oratorio
d'amore", 1904)
ELEGIA D'AUTUNNO
di Arturo Onofri
Cadon le brune foglie
morte
nei tepidi aliti
autunnali,
pigre, dolenti, quasi
pendule
per ghirigori dalle
nuvole;
ma poi precipitano
come strali
e ancora a terra
sembrano vivere.
Nell'aria d'autunno
monotona e greve
che anelano esse di tremulo
e lieve?
Di lieve cenere molle
è il cielo,
dove una rondine
ultima emigra
in un tagliente volo
tacito;
ma dentro a lei
singhiozza l'anima
che senza un brivido,
dianzi, pigra
languia, svogliandosi
d'ogni spasimo.
E adesso, o ricordi,
sfiorita l'estate,
pel grigio tramonto
d'autunno volate.
Ascolto l'ora, come
in sogno,
batter precipite nel
mio cuore,
e quel ch'eterno ieri
parvemi
oggi è sepolto in
fondo a un baratro.
Colei che tenera
vuole amore
ha baci e brividi, ma
non l'anima.
Io penso ad un'altra
che amavo, ch'è morta...
Chi è che singhiozza
nel buio alla porta?
(Da
"Liriche", 1914)
ELEGIA D'AUTUNNO
di Marino Marin
Quando nebbia cinerea
recinge
le lontananze quasi
triste incenso,
nel tedio de' campi
umidi un senso
di dolore e di morte
il cor mi stringe;
e penso: come verde
in foglie e in fronde
langue la giovinezza
in brevi dì:
piegan garzoni e
giovinette bionde,
piegasti tu, fratel
dolce, così.
E se in cupa foresta
odo la romba
del vento che
flagella i nudi rami,
pietà di voi mi
punge, o bimbi grami,
o bimbi assiderati
nella tomba:
la piova, che
trafigge a i fior l'antera,
piccioli cuori, voi
trapassa ancor;
o bei piedini freddi
come cera,
chi vi riscalda giù
nel muto orror?
Il verno batte a le
funeree porte,
né man pietosa è che
vi tolga al gelo,
o chiusi al dolce
lume occhi di cielo,
o labbra suggellate
da la morte:
non la materna
carezzevol mano
che a benedirvi, o
parvoli, s'alzò,
la man che in caro
atto d'amore il sano
lettuccio a sera
ricomporvi usò.
Piegan tra accidiose
erbe ne' santi
luoghi di morte i
fiorellini mesti;
a pena è se tra
l'urne ergonsi agresti
autunnali e ciuffi di
amaranti:
oh buoni, oh forti,
la pioggia vi piaga,
v'insulta il vento, o
fiori de l'avel,
ma se raggio di sol
ride, la vaga
testina anco si
drizza in su lo stel.
Primole nove e novi
bimbi al mite
aprile sgraneran gli
occhietti azzurri,
bacio d'amor
ravviverà i sussurri
de l'aria e de le
selve rifiorite;
ma chi s'abbatte ne
la Parca nera
cade colpito ne la
tomba giù...
Hai bel chiamare, o
vaga primavera:
la morta gente non
ritorna più.
(Da
"Humus", 1892)
CANZONETTA
di Tito Marrone
Cara, novembre, il
gelido
mese dei morti, è
giunto.
Del nostro amor
defunto
chi si ricorderà?
Desiderammo d'essere
liberi,
all'ultim'ora:
di ricordarlo ancora
l'anima temerà.
Ma poi che dentro
l'intima
tomba del cuore ei
giace,
cara, la nostra pace
non ne risentirà;
e noi potremo
cogliere
dall'anima, oggi
stesso,
l'ultimo fior per
esso
che non si desterà.
Il fior della memoria
che ci fiorì nel
cuore,
passate appena l'ore
della felicità,
esalando l'effluvio
timido che gli resta,
reclinerà la testa
e si disseccherà.
(Da
"Liriche", 1904)
ORA FOSCA
di Domenico Gnoli
Tutte le piogge de la
tristezza
battono ai vetri,
tutte le foglie
l'ispida brezza
stacca dai rami
tetri;
tutti i cipressi
c'han germogliato
da le cose defunte
sotto un cinereo
nuvolato
drizzano le punte;
tutte le solitudini
mute
per deserti senza via
nel sudario de le
cose perdute
fasciano l'anima mia.
Come l'eternità è
profondo
il silenzio funerale:
solo, ad ora ad ora,
dal fondo
sale un singhiozzo,
sale
il singhiozzo delle
primavere
co' gli alberi in
fiore,
il singhiozzo de le
molli sere
coi canti d'amore.
(Da "I canti del
Palatino. Nuove solitudini", Treves, Milano 1923)
TORBIDO
di Giuseppe Zucca
Non era, non era la
pioggia
che mi rullava sul
cuore
la sua gran marcia
funerale.
Non era, no, la
nebbia
che mi fasciava il
cuore
del suo sudario
sepolcrale.
Pareva, per quell'aria
spettrale
di un novembre assai
piovoso,
che tutte, nel mio
cuore dolente,
le mie ultime
speranze
con un gran
singhiozzo affannoso
piangessero
disperatamente;
pareva che mai più,
mai più
dovessi sapere un
sorriso,
dovessi vedere il
sereno.
Ma ecco, tra quel
lividore,
su nel cielo fiorire
improvviso
grande, immenso,
l'arcobaleno!
Il sole, tra poco? il
sereno?!
O cuore! tu, tu che
non credi...
Impara! Ricorda. Se
pure,
talvolta, la torva
bufera
annera il tuo giorno,
tu vedi:
di là dalle nuvole
oscure,
c'è il sole, c'è il
sole, c'è il sole!
(Da "Io",
1921)
AUTUNNO
di Guido Marta
Autunno autunno, è
assai dolce ristare
sul limitare, a
riscaldarsi al sole:
e sognar nei fossati
le viole,
se il gatto ronfa
presso il focolare.
Autunno autunno,
all'uscio tu ài picchiato:
passò, lungo la via,
la prima gregge:
passò il villano, che
in sua mano regge
il cesto grave sotto
il pergolato.
Odor di mosto,
riasciacquìo di tino:
io — fermo sulla
soglia della casa
non più mia, con lo
sguardo alla cimasa —
sono un mendico in
cerca di cammino.
(Da "La neve in
giardino", 1922)
LA GHIRLANDA, V
di Tommaso Sillani
Sol di Novembre!
Tepido tu vieni
a mitigare il primo
freddo e poni
il tuo pallore sovra
i campi proni
nel gran silenzio e
sopra i colli ameni.
S'addormentano in te
di seme pieni
i solchi lungo i
fiumicelli buoni;
offre nel raggio tuo
gli ultimi doni
la Terra Madre dagli
aperti seni.
Un grappolo che ancor
pende dai tralci
offre, e tra i rami
picciolette poma
che a ricolta scordò
l'uomo silente;
e intorno chiusi ne
la gialla chioma
dondolan gli olmi,
dondolano i salci
e cadono le foglie
lentamente!
(Da "Le
pastorali", 1912)
NOTTE DI AUTUNNO
di Walter Ottolenghi
Pioggia di crisantemi
bianchi
nella notte,
crisantemi che affondano
il candore
nel silenzio,
morendo,
soavi e lenti
come piccoli pianti
di bimbi,
come un brivido di
profumo
che accarezzi uno
spasimo
Ieri fu... sì, ieri,
che strisciammo
melanconici
tenendoci per mano,
come strani bimbi
pensosi,
per questo viale
dai giganteschi pini,
che avevano paura di
noi
tanto si ritorcevano
nel vento
schermendosi!
Ieri fu
che noi vagammo
sino al disperato
limite del silenzio,
per chiamar, senza
voce,
l'anima lontanante.
Ricordare non vale,
bisogna sentire
ancora,
e per sempre,
chi siamo stati ieri!
Tu m'hai fuocato
d'uno sguardo d'ombra
e m'hai fatto pallido
come un insonne,
io t'ho ravvolta
tutta di silenzio
e t'ho portata fuori
di te stessa,
per ghermirti in me
solo:
guarda quei corpi ora
che scuotono la
ghiaia
di quel lungo viale
in letargo,
che vanno nel
silenzio,
guarda quei corpi:
sono i nostri
e noi stiamo
estaticamente
a vederli vagare!
Siamo infitti a un
istante
che rimane per noi,
poiché noi solamente
siamo gli ospiti
dell'amore!
Ieri!
ed il cielo
ci sembrava una
pozzanghera
d'acqua malata,
tant'era triste,
e l'anima commossa
delle cose altissime
ci pareva sorella!
Ora è la notte,
la pozza grigiastra
s'è fessa
e ne appaiono rivi
d'argento
di veli e di stelle:
ecco son tutti i
petali
del fiore
dell'infinito!
Taci!... l' anime
nostre
guardano noi stessi
vaganti
come smarriti corpi
pigrissimi!
Ed ora non avere
paura,
poiché si leva alto
il suono di
quell'organo d'argento,
e timidi voli
d'uccelli sperduti
paiono le note:
c'è un'armoniosità
più pura dell'anima
bianca
della lucentezza del
cielo,
un'armoniosità che
corre
come stendente veli
su di noi,
su tutti, di questo
gregge raccolto!
ed io ti guardo
come un pallido
essere
trasumanato
da una fede nuova,
pagana e sacra
d'amore,
come un giglio
bianchissimo
che offenda il sole
in un meriggio rosso.
Annodiamo le cime
dei pini flessuosi
come spire di fumo,
annodiamo questa
natura altissima,
e ne faremo un arco
di trionfo,
e passeremo noi,
sgranando nel
silenzio il passato,
gettandolo ai rivi
perchè lo cantino a
chi resta!
L'acque si specchiano
nel cielo,
freme la luce nel
candor d'opale,
come una conca
si schiude l'anima
del mondo
e ci attende...
Vieni... del manto
bianco
voglio farti una
veste leggera
come tutte le cose
divine!
(Da "Luce",
1922)
RIME DI NOVEMBRE
di Gesualdo Manzella
Frontini
Dal mio giardino
triste
sale uno sfatto odor
di crisantemi,
muoion le foglie come
gialle ariste;
cadon vinte le spemi
da la Corona sul mio
capo morta.
Un mite sole scialbo,
con un sorriso
pallido ammalato
occhieggia fra le
nubi umide falbo,
e sfiora l'emaciato
piegante viso a la
Corona morta.
La mia Corona ardente
di papaveri accesi e
rosolacci,
di gioveni desii or
tristemente
caduti ne li abbracci
del disinganno. Oh la
Corona morta!
O rime di Novembre
rime di pianto e di
melanconia,
(oh! mai) passate
ebrezze, or io per sempre
piangerò ne la via
del mio dolore la
Corona morta.
(Da "Le rosse
vergini", 1905)
PIOGGIA DI NOVEMBRE
di Vittorio Masotto
Oh, questo grigio
immutabile velo,
Che l'orizzonte
tutt'intorno chiude...
Questo pianto
perpetuo del cielo
Sui nudi rami, su le
zolle nude...
E l'inverno così
batte alle porte,
Urge i tuguri... —
Ahi quante, in muto affanno,
Povere umane vite
piegheranno,
O inverno, ancora, al
tuo soffio di morte...
Ancor nemico è l'uomo
all'uom. Risona
Pur sempre intorno la
selvaggia guerra:
E sempre a chi il
miglior sangue le dona
Avara cresce i suoi
frutti la terra.
Sempre?... — Ma in
ogni tronco, in ogni seme,
In ogni atomo,
occulta un'operosa
Anima alberga, e vi
respira e freme —
Occulte fremon de la
faticosa
Plebe, entro i petti,
a mille, alme d'eroi...
E quest'oppressa, un
dì, questa schernita
Plebe si leverà ne'
dritti suoi,
Nella sua forza, a
conquistar la vita.
(Da "Verso
l'aurora", 1905)
CANTO DI MEZZO
NOVEMBRE
di Giovanni Chiggiato
Sta sui deserti campi
il moribondo
autunno, Ciò che fu
verde, si sface
sotto le tarde
pioggie in tra un immondo
limo tenace.
Guardo: nei mille
fili, onde s'addensa
la nebbia fra una
nuvola e un rigagno,
s'impiglia il mondo
quasi entro un' immensa
rete di ragno?
È la tua morte,
autunno; ella che inchiude
quanto ti piacque, in
questa ombra infinita...
Nessuna intorno
s'alza lene o rude
voce di vita.
No: quel silenzio a
un improvviso canto
che da la strada si
levò, s'infrange.
Che fu? Chi sordo a
l'universo pianto
oggi non piange?
Non so chi passa,
canta egli e non cura
d'acqua o di nebbie o
di vischiosa mota:
balza la gioia d'una
sua ventura
oltre ogni nota!
Prodigio d'una fresca
gola: il mio
pensier si foggia or
su quell'aria lieta.
Fratello ignoto che
mi dai l'oblio:
tu mio poeta.
(Da "La fonte
ignota", 1907)
LO SPASIMO DELLA
SELVA
di Luigi Orsini
Ecco, e Novembre si
facea palese
per un grande languor
di tòni foschi,
come se da un
fantastico paese,
ove il ciel
s'incalìgina di toschi,
e' fosse giunto con
mani protese
per córre foglie ai
solitari boschi,
muto sciogliendo via
per ogni rupe
una malinconia di
cose cupe.
E in un pensiero cupo
di dolore
eran le cose tacite e
compunte;
c'era ne l'aria non
so che... l'odore
de la soavi prìmule
consunte;
c'era su per le vigne
arse un colore
quasi di gote a poco
a poco smunte,
e intorno un po' de
la tristezza arcana
che vela il sogno
quando s'allontana.
Ma più triste sorgea
l'aspra boscaglia
entro cui
s'attardavano i castagni
che fra intrichi di
vepri e di sterpaglia
ferìano il cielo di
selvaggi lagni;
come a sfidare
un'ultima battaglia
si serravano,
squallidi compagni,
un contro l'altro, e
al vespero morente
storcean i bronchi
disperatamente.
Dicean: — non valse i
giganteschi dossi
aver piegato per
l'altrui diletto?
Cullar non valse nidi
a pettirossi,
e a cuori umani
offrire ombre e ricetto?
Ah che sui nostri
rami ultimi scossi
piomba oramai
l'inverno maledetto;
e nei tramonti
desolati e lunghi
noi marciremo tra 'l
senior dei funghi! —
Ma già scendeano da
più alti monti
luci sì chiare che
parean cristalli,
e nel grande rossor
de li orizzonti
fiorìa come una selva
di coralli;
e fumavan camini
ilari e pronti
risalutando i fiumi
per le valli,
mentre da un tetto
usciva ermo e loquace
di bocche in fiore un
mònito di pace:
«Se siete buoni,
n'avrete più tante!
...buoni com'essi, di
queste pendici...
essi, i castagni!
V'àn dato lor piante,
v'àn dato i frutti di
loro radici!
Pregate prima per
l'anime sante
di quei che vissero,
o tristi o felici:
son tutte a un modo
le cose sepolte...
Se siete buoni,
n'avrete più molte!...»
Languìa la voce
dentro la capanna
e i castagni morìan
sotto le stelle;
ma morìan più
contenti, a la tiranna
sorte già dòmo
l'impeto ribelle:
tanto può sovra
un'alma che si duole
la tenerezza d'anime
sorelle:
e il novo giorno
irradiò una schiera
d'alberi morti in
atto di preghiera.
(Da "Le campane
di Ortodonico", 1921)
AUTUNNO ESTREMO
di Francesco
Pastonchi
È così chiara e calma
di splendore,
senza un desìo che vi
muova ombra d'ale;
questa pace d'estrema
ora autunnale!
Posa la terra e gode
il suo stupore.
Tutto vi si rivela
nel pallore
con una purità che
ignora il male;
e su estatici monti
il cielo è quale
languido agli orli il
calice d'un fiore.
Tutto è di là da un
velo, ma sì lieve!
come un sogno di cosa
oltrevissuta,
che resta:
labilissimo tesoro.
Il tempo è immoto. Da
remota pieve
i suoi rintocchi su
la terra muta
cadono come lente
gocce d'oro.
(Da «La Lettura»,
1919)
LIMITARE DI NOVEMBRE
di Francesco
Cazzamini Mussi
Languido autunno,
inoltri il passo tardo
e la tua mano con un
gesto lento
spoglia i giardini
d'ogni aulente fiore...
Languido autunno, in
te morir non duole...
Erra nell'aria come
una soave
malinconia che nel
mio cuor discende,
nel vecchio cuore che
si sente solo,
preda a un'ebbrezza
eh' è dissolvimento...
O dolci amori della
primavera,
cadon le foglie, e
dove siete voi?
Languido autunno, in
te morir non duole.
Oro nel cielo ed oro
sulla terra,
maturità feconda che
sfiorisce
nella pienezza del
rigoglio estremo
come sorriso che, non
visto, muore...
Maturità feconda che
tramonta!...
Anima mia, non
piangere.... Nel fango,
sovra la terra, putre
già la foglia
che stormiva alla
brezza vespertina
e che l'alba baciava,
e in sé viveva
una sua vita umile,
ma grande...
Anima mia, qualcosa
entro te muore,
forse è già morta,
dolcemente morta...
(Da "Fogline
d'assenzio", 1913)
BALLATA AUTUNNALE
di Fausto Maria
Martini
Con te, fratello, la
montagna ascesi
in ansia di
conquista;
con te, fratello, ed
a l'immensa vista
non furon gli occhi
dalla luce offesi.
Oggi, nel triste
autunno che si muore,
andiamo, uniti, per
solinga strada...
Io non ricordo più
l'amaro assenzio
che bevvi, il sangue
da l'ultima spada...
Io non ricordo: io
vado senz'amore,
(ecco: si fende l'ala
del silenzio,
cadono intorno foglie
rosse e gialle,
come morte farfalle)
senza speranza, e
nell'autunno, appare
questo mio cuore come
un vecchio altare,
un vecchio altare
senza ceri accesi...
(Da "Le piccole
morte", 1906)
BRIVIDO
di Sandro Baganzani
Questo sottile male
inguaribile
che non so cosa sia
che mi fa piangere di
malinconia
in una giornata
fine-autunno
troppo dolce per
cantare
mentre sulle aie i
galli raspano
i chicchi di
granoturco
e la campagna
è così immobilmente
silenziosa
che si sente
il volo d'un insetto
tremare.
Come se io dovessi
partire
per sempre:
come se tu
non dovessi amarmi
più:
o forse come un
convalescente
che è stato assai
male
che s'affaccia alla
finestra dell'ospedale
per spiare
l'inverno con un
lungo brivido...
(Da "Arie
paesane", 1920)
ANIME DI NOVEMBRE
di Emanuele
Castelbarco
Biondo novembre,
addio, tenero figlio
dell'autunno che
muore, addio stagione
amica che dipingi di
castagno
di fulvo d'oro le
disfatte chiome
degli alberi
ondeggianti agli ultimi aliti
ventosi; addio
nostalgico ritorno
della lontana
primavera, o estate
buona di San Martino,
che col tuo
soavissimo sole il
lavorio
saluti lento della
sacra terra.
Dopo è l'inverno
purificatore
la bianchissima pausa
in cui s'adagia
dormente in germe la
novella vita,
ma è anche il gelo per
gli immoti colli
anche è la morte per
i freddi campi:
non frullo d'ali, non
trillo di grilli,
verde di fronde,
lunghi canti a sera.
Ora invece, o
novembre, ancora intento
nella soffice zolla
il contadino
la lama affonda del
sapiente aratro
e contralti di donne
pei tramonti
smorzan cadenze di
stornelli ardenti.
Così ci scaldi col
tuo dolce sole
beatamente e
assaporar ci fai
con più fondo piacere
questo tardo
venir d'un tempo ch'è
presso a morire.
Ma tu novembre anche
più sacro sei
per i morti che porti
sulle braccia
per tutti i morti
sparsi per il mondo
e per i nostri che
ahimè in vita amammo
meno di quanto non li
amiamo in morte,
ché se nel sole della
vita viva
noi si pensasse che
quei puri cuori
doloranti per noi
d'ansie e d'affetti
forse presto saranno
soli e freddi
sotterra sì vicini e
sì lontani,
o sante creature,
tutto il male,
anche se poco, che
compiemmo incauti
avremmo ai vostri
piedi dolcemente
mutato in bene come
un olocausto,
ché troppo triste è
ripensarvi vive,
o sante creature, e
non contente
di tanti nostri
palpiti di tanti
gesti impensati nel
bollir del sangue.
E noi, che
nell'istante ultimo vostro
la nostra vita per la
vostra avremmo
sereni offerta
sorridendo a voi,
noi ne' lontani
giorni dell'aprile
per un breve piacer
che inseguivamo
quanto dolore, o care
anime sante,
a goccia a goccia vi
versammo in cuore!
Forse la vita col suo
volto allegro
più crudeli ci fa che
non la morte.
Il riso è una
campanula d'argento
che leggermente
dondola e tintinna
come cristallo al
fiore della pelle
e dentro è un vuoto
d'echi che vaniscono
senza ritorni e senza
ricordanze,
ma le lagrime (o
volto pensieroso
pallido della morte
che ci guardi
ci fissi ci trascini
nel mistero)
ma le lagrime sono la
rugiada
dell'anima. E tu morte
non lo spettro
sei per gli umani
dalle occhiaie vuote
e dall'orrenda falce,
ma la buona
nostra maggior
sorella che ci accogli
benignamente in un
immenso abbraccio
e al gran remeggio
delle tue pure ali
verso mondi purissimi
ci porti.
Ché se in polvere tu
disfi la carne
(questo morbido sogno
roseo e caldo)
l'anime irradï di più
ardente vita,
e se a noi togli i
corpi di chi amammo
in ispirito a lor ci
riconduci.
Così tu passi tra le
foglie d'oro
mite e biondo
novembre, messaggero
inconscio di profonde
rispondenze,
tra i cieli
dileguando coronato
di crisantemi, e son
le tombe in festa
tutte le tombe sono
una fiorita
come un maggio
risorto per incanto;
e sono veramente esse
la culla
dei ricordi più puri
e più lontani
dove s'adagia luminosamente
la nostra amata
giovinezza morta.
(Da "Pause e
motivi", 1915)
ELEGIA D'AUTUNNO
di Francesco ed
Emilio Scaglione
E stamattina un
pallido chiarore
ch'a le malie de
l'universo invita,
e un oleandro, che ne
'l giallo ha fuore
gli occhi vermigli de
la sua fiorita,
mi fanno accorto che
l'autunno muore
come l'estate ier fu
seppellita,
come l'inverno di cui
son tornate
l'ombre de le
brevissime giornate
e de le notti che non
sanno amore.
Ma non è forse così
bianco il sole
su' tuoi nitidi
colli, amica buona,
ove d'acque, di
foglie e di viole
un odorato cantico
risuona,
ove perpetuo zefiro
ti vuole
e freschissimi
nettari ti dona,
mentre quaggiù
un'ignota ansia suprema
la giovinezza mia
logora e strema
in quest'attesa che
non ha parole.
E a questo raggio che
tra guglie e mura
etico piove sovra i
miei balconi,
e ne la stanza
solitaria e scura
gli atomi desta a
lucide tenzoni,
ne l'angoscia che
l'anima mi fura,
io di sogni m'inebrio
e di canzoni;
tal se un vecchio
dolore in te si spande
t'inebri di fuggevoli
bevande
a smemorarti de la
tua sciagura.
(Da
"Limen", 1910)
Ferdinand Hodler, "Autumn evening" |
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