domenica 31 ottobre 2021

Gli angeli in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 

Come un po' tutti sappiamo fin dall'infanzia, gli angeli sono esseri spirituali, asessuati, dotati di ali simili a quelle degli uccelli, che gli permettono di volare; essi svolgono i compiti assegnatigli da Dio, e così possono essere messaggeri, protettori o guardiani. Nelle infinite opere figurative in cui compaiono gli angeli, molto spesso sono raffigurati con particolari tratti somatici: biondi, spesso ricci, con gli occhi chiari, col volto paffuto, vestiti di bianco, simili agli adolescenti che si avvicinano alla maggiore età. Quand'ero bambino, così come da giovane, gli angeli mi attiravano ben poco; col passare degli anni, invece, l'interesse verso questi personaggi fantastici è cresciuto in me, pur non credendo affatto che possano esistere. Di poesie sugli angeli ne esistono tantissime, anche molto belle; a tal proposito c'è un'antologia - di cui in futuro parlerò - che ha come argomento portante proprio questi esseri soprannaturali. Per la mia selezione, ho cercato di non inserire le poesie che, spesso famose, sono presenti nell'antologia citata. Nei versi che ho selezionato, gli angeli hanno varie forme; c'è chi li riconosce perché hanno le sembianze della propria sorella o della propria madre morta; chi li identifica come dispensatori d'amore e nello stesso tempo di morte; chi li vede tutti d'oro; chi li trova soli e sperduti; chi li raccoglie bagnati dalla pioggia; chi riconosce soltanto una traccia indelebile del loro passaggio... La fantasia dei poeti è semplicemente infinita: grazie ad essa nascono versi come questi e come tanti altri, dove l'immaginazione riesce a creare figure, situazioni e luoghi fantastici, impossibili, ineguagliabili.

 

 

GLI ANGELI IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO

 

 

L'ANGELO DI SILOÉ

di Antonio Barolini (Vicenza 1910 - Roma 1971)

 

Tocca

con l'ali

le acque

della fonte di Siloé.

 

Come nel gioco dei dadi:

chi mi butta per primo,

mia sorte?

 

Logoro il giorno,

dispersa la speranza,

inutile la morte.

 

Chi sa

cosa distingue dalle belve

e cosa confonde con esse?

Perché

questo reame di viltà?

 

(da "L'angelo attento. Il meraviglioso giardino", Feltrinelli, Milano 1968, p. 264)

 

 

 

 

L'ANGELO DEI BAFFI

di Vittorio Bodini (Bari 1914 - Roma 1970)

 

Coi suoi denti più falsamente bianchi

ghigna squittisce litiga

coi camerieri

all'alba,

e lesina la mancia.

è detestabile.

Spia le mondane e le ama

come spettacolo

non la virtù i fascisti

i piselli di scatola

il lapsus-calami il lapsus-linguae

l'arruffio il cumulo il viluppo

il costume spilorcio della sua musa.

Ridendo s'allontana

avvolto nel suo sudario

nel più vasto sudario di un mattino

tra gessoso e violetto

in cui l'ombre senza un gemito si disfanno

nelle vie e nelle macchine

e l'angelo dei baffi

ecco infine si posa sul parabrezza.

 

(da "Tutte le poesie", BESA, Lecce 1997, p. 125)

 

 

 

 

L'ANGELO

di Filippo De Pisis (Ferrara 1896 - Milano 1956)

 

Angelo biondo di dove sei venuto

a consolarmi, di dove?

O l'oro antico dei tuoi capelli

e la fronte pura

e l'occhio ridente, pur nella tua nequizia

(è un giorno e mezzo che non mangi, hai detto)

e le spalle gentili

e le gambe marmo antico

e il tuo sorriso nell'ombra

e la tua voce.

Un bacio sulla fronte ti ho dato

e leggero ho abbozzato il segno della croce

sul tuo petto di giovane atleta.

Sulla porta hai voluto rendermi

fuggevole un bacetto.

Sull'albero di verde cupo

ho visto accendersi una luce in cielo,

e poi sei scomparso.

 

(da "Poesie", Garzanti, Milano 2003, p. 152)

 

 

 

 

LA SORELLINA ANGELO

di Donata Doni (pseud. di Santina Maccarone, Lagonegro 1912 - Roma 1972)

 

La sorellina morta,

ritratto che guardava la tua infanzia,

la sorellina angelo,

Santina come te si chiamava,

per anni è stata poi sepolta

nel fondo cuore.

Santina, Lagonegro,

il paese ove nacqui, ove dormi

il tuo sonno di bambola piccina

nella cuffietta della fotografia.

Ora che la morte mi tende

una mano che rifiuto,

ora, dopo anni di silenzio,

riascolto la tua voce.

Tu, prenata a me,

tu angelo che mi segui

con un sorriso lontano.

Sorellina, e se tu fossi rimasta

oltre i cancelli del giardino

dei morti, a Lagonegro?

 

(da "La carta dispari", Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1968, p. 48)

 

 

 

 

IL MIO ANGELO

di Giacomo Falco (Savigliano 1901 - Milano 1959)

 

E tu, smarrito angelo, sei solo.

Erri, sceso dai cieli, quasi sulla terra,

quasi sui mortali, quasi sui sepolcri.

Sulle mie sillabe, tu, sulla mia carne,

segno di Dio visibile, percorri

questo mio stesso camminare ansioso:

ed io non temo, se d'argento un'ala,

rivelata al mio cuore, passa sui miei giorni.

 

(da "Dove io m'esilio", Garzanti, Milano 1960, p. 36)

 

 

 

 

L'ANGELO BAGNATO

di Renzo Pezzani (Parma 1898 - Castiglione Torinese 1951)

 

Angelo mio, come siete bagnato.

Andiamo al fuoco dei carbonai.

Delle nuvole di maggio

non bisogna fidarsi mai.

 

Come fumano le vostre ali,

i capelli lisci e neri.

Bianche nuvole come dai prati

si distaccano dai vostri pensieri.

 

Nella luce dei vostri occhi

vedo splendere l'arcobaleno.

Dormiremo come fratelli

sopra un cumulo di fieno.

 

Sembreremo, coricati,

due gigli fulminati.

 

(da "Belverde", SEI, Torino 1935, pp. 53-54)

 

 

 

L'ANGELO C'È...

di Marino Piazzolla (San Ferdinando di Puglia 1910 - Roma 1985)

 

L'Angelo c'è ed è quasi sempre nostra madre morta, che noi immaginiamo, ancora viva, ma in un altro paese della terra.

 

(da "Parabole dell'Angelo di cenere", Fermenti, Roma 1980, p. 19)

 

 

 

L'ANGELO D'ORO

di Giuseppe Raimondi (Bologna 1898 - ivi 1985)

 

L'angelo apparve nella curva

dilatata del cielo all'ora di sera.

La luce ha fuso il verde del

mare con l'azzurro dell'aria

in un qualcosa di grigio e di rose,

venuto lento sino in terra.

Un'ombra di nero tinge

il grande azzurro. Lottano

d'amore il nero e l'azzurro

nel caldo delle rose, forate da

luci di fanali come grosse lucciole

riapparse. Insegne di fuoco si accendono

e spengono, lasciano cicatrici sul

grigio di rose. Finché un oro diffuso

in polvere d'oro disegnò una figura

diretta sulla terra. Trionfo della sera

ormai svenuta come fanciulla.

Un angelo, era, avviluppato di oro,

dentro un manto di splendida

gioventù. -  «Angelo, mio angelo,

venuto dalla tua riva di perla,

cos'è che si grida? Cosa è

che impugni e protendi al

fianco? E' una lunga, bruciante

spada di puro oro come

il timone al navigante del

cielo. L'oro che tu porti, temprato

in un sogno immacolato mi ha

bruciato per la vita. Fra poco,

angelo di vita, di sogno, tu

ripartirai per la tua riva.

Partendo lasciami vicina la

tua grande spada, che resti

con me, carne e sostanza

d'oro, luce, memoria, speranza.

Solo con la notte tornerà

il dolore dolcissimo della

speranza, mio angelo».

 

[da "Poesie (1924-1982)", Scheiwiller, Milano 1999, pp. 39-40]

 

 

 

 

ANGELO D'AMORE E DI MORTE

di Enrico Somarè (Travedonia 1889 - Milano 1953)

 

Angelo d'amore e di morte,

sale verso il mio sguardo che t'implora,

affranto, la tua tenebrosa aurora

vestita d'erba sepolcrale.

 

Si leva un vento siderale

gemendo là nell'arido roveto,

come il flutto angoscioso nel canneto

del lago spento che s'oscura.

 

L'aria inquieta s'impaura,

l'anima trema intorno a questi fiori

riarsi dal silenzio e dai terrori

e piange su la tomba immane.

 

O presagi, le campane

percuotono il mio cuore già sepolto.

Arde il cielo sul tuo povero volto

d'ombra, fra croci e rami.

 

Cadono i funebri velami.

Mutò la luce in tenebra splendente,

la vita in una morte più vivente,

il tempo nell'eternità.

 

E poi che precipiterà

la sera del mio giorno di dolore,

cadrò su questa fossa del mio cuore,

in braccio alla tua sorte.

 

(da "Canti", Edizioni dell'Esame, Milano 1951, pp. 91-92)

 

 

 

L'IMPRONTA

di Giorgio Vigolo (Roma 1894 - ivi 1983)

 

Dentro le pagine spesse di roccia

che col suo peso l'alpe incuba opprime

è stampata d'un angelo la forma

come in un libro ove fu chiuso un fiore.

Nel duro impasto di rupe e di ferro

quella celeste immagine s'impresse

gittata nella tenebra: la pietra

come cera rispose alla sua impronta.

 

Ed or le volte sotterranee, i curvi

gomiti delle grotte, gli archi, i vani

son la cava figura,

lo stampo delle membra in questi porfidi

come inciso cameo dentro la terra.

L'inverso d'una statua. Non aria

la circonda ma pietra: aria è il suo corpo.

 

Sulla roccia granita di scaglia,

incrostata di mica e di quarzo

balena l'ala occhiuta del serafino:

e nell'acuta volta tra lo sfarzo

dei metalli e le vene di rubino

la faticosa scapola s'incastra

sull'omero divino

e in uno slancio di volo ancora la pietra solleva.

 

Questo è l'antico esempio di quel divo

spirto che un giorno inabitò la terra,

anima viva dentro vive membra.

O sensibile terra, carne e ossa

dell'ineluttabile creatura

che si vestì di te come d'un corpo,

quali celesti sensi

scossero allora questa pietra dura,

quali pensieri immensi in questo teschio

ebbero albergo, e passioni e sogni

nello scheletro bianco dei calcari?

O macerie d'un tempio,

o sconsacrati altari.

 

Venne la morte: ed in quell'ora estrema

l'astro si spense, s'agghiacciò, fu terra,

l'immortale esalando anima al cielo.

Esanime rimase, inerte salma

d'un dio, spoglia immortale.

Delle angeliche membra allor la cieca

materia si disfece in brulicanti

miriadi di bestie avide e uccelli:

tutta fu sparsa dalle muffe verdi

delle foreste.

 

E fu la nostra vita.

 

(da "Canto fermo", Greco e Greco, Milano 2001, pp. 148-150)

 

Hugo Simberg, "The Wounded Angel"
(da questa pagina web)


domenica 24 ottobre 2021

Novembre nella poesia italiana decadente e simbolista

 

Novembre è, probabilmente, il mese più caro ai poeti decadenti e simbolisti; ciò si spiega facilmente: nei trenta giorni dell'undicesimo mese dell'anno solare, la stagione autunnale (anch'essa particolarmente cara a questi poeti) si mostra in tutto il suo splendore o, ancora meglio, in tutto il suo grigiore; in questo periodo caratterizzato da un clima sempre più rigido; da giornate sempre più corte; da piogge sempre più copiose e insistenti; da una grande quantità - non riscontrabile in altri mesi - di foglie che cadono dagli alberi sempre più spogli, viene da sé che a guardare il cielo, la terra, gli alberi e il paesaggio circostante, si possa provare una netta sensazione di totale decadimento, di fine imminente; causa di tutto ciò è anche un mutamento umorale, conseguente alle tipiche manifestazioni stagionali, che si concretizza in una malinconia straripante (non a caso, alcune tra le migliori poesie crepuscolari vedono il mese di novembre quale protagonista). C'è poi da aggiungere che in questo preciso mese cade il giorno della commemorazione dei defunti: ricorrenza che oggi è assai trascurata, ma che un secolo fa veniva tenuta ancora in gran considerazione. Ecco allora che il novembre diviene il mese dei morti, manifestandosi con le tipiche caratteristiche della perdita assoluta, di un non-ritorno conclusivo. Le foglie cadute, il cielo perennemente grigio, la pioggia, il paesaggio spettrale, non sono altro che simboli di morte; in questo contesto, il mese di novembre è a sua volta simbolo di scomparsa definitiva.

 

 

 

Poesie sull'argomento

 

Mario Adobati: "Novembre" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).

Diego Angeli: "L'estate dei morti" in "L'Oratorio d'Amore" (1904).

Ugo Betti: "Canzoncina di novembre" in "Canzonette - La morte" (1932).

Giovanni Camerana: "Capovolti si specchiano" in "Poesie" (1968).

Francesco Cazzamini Mussi: "Novembre" in "I Canti dell'adolescenza (1904-1907)" (1908).

Carlo Chiaves: "Novembre" in "Tutte le poesie edite e inedite" (1971).

Guelfo Civinini: "Canzonetta novembrina" in "I sentieri e le nuvole" (1911).

Vincenzo Fago: "Nel mar grigio si spegne doloroso" in "Discordanze" (1905).

Francesco Gaeta: "Novembrina" in "Poesie d'amore" (1920).

Cosimo Giorgieri Contri: "Verso il novembre" in "La donna del velo" (1905).

Corrado Govoni: "Ognissanti", "Ne la notte dei morti" e "Il giorno dei morti" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).

Corrado Govoni: "Novembre" in "Poesie elettriche" (1911).

Arturo Graf: "Novembre" in "Morgana" (1901).

Arturo Graf: "Tristezza di novembre" in "Le Danaidi" (1905).

Arturo Onofri: "Novembre" in "Liriche" (1914).

Giovanni Pascoli: "Novembre" in "Myricae" (1900).

Francesco Pastonchi: "Novembre" in "I versetti" (1930).

Francesco ed Emilio Scaglione: "Mattina di novembre" in "Limen" (1910).

Giovanni Tecchio: "Novembre" in "Canti" (1931).

Aurelio Ugolini: "Novembre" in "Viburna" (1905).

Diego Valeri: "Mattino di Novembre" e "Ed è giunto il novembre..." in "Umana" (1916).

 

 

 

Testi

 

NOVEMBRE

di Arturo Graf

 

Oh come triste e disperato e fiero

Fischia tra le sfrondate arbori il vento,

Empie il bosco di strida e in suo tormento

Trae delle foglie il cenere leggiero!

 

Simile a fumo procelloso e nero

Da borea scende un ravviluppamento

Di tetre nubi, è d’ombra e di sgomento

Tutto colma del ciel l’ampio emisfero.

 

Lungo i botri scoscesi e le fiumare,

E in vetta al colle desolato, gela

Tremando al vento l’erica selvaggia.

 

Sotto l’immensa e cieca nube il mare,

Cupo, senza un baglior, senza una vela,

Flagella urlando la scogliosa spiaggia.

 

(da "Morgana")

 

 

 

 

NOVEMBRE

di Aurelio Ugolini

 

Cielo che gli occhi ne abbarbagli e stanchi

su città grige e aride campagne;

riso di sole pallido che imbianchi

                   tombe terragne:

 

novembre! Oh come gli alberi sfrondati

treman riflessi nei cerulei fonti,

e come senza fine e desolati

                   sono i tramonti!

 

Tutto s'adagia in un'indifferente

quiete, in un languir triste di suoni

e di colori: il cuor piange le spente

                   illusioni.

 

Una ne brilla ancor, ma per le strade

tutto ai libecci il platano si spoglia;

ma nelle tue foreste, autunno, cade

                   l'ultima foglia.

 

(da "Viburna")



Jakub Schikaneder, "Na Dusicky"
(da questa pagina web)


domenica 17 ottobre 2021

"Alcuni scritti" di Gustavo Botta

 

Se oggi è possibile consultare un libro in cui siano presenti i versi e le prose poetiche di Gustavo Botta (Milano 1880 - Ternate 1948), bisogna ringraziare Francesco Flora (1891-1962): critico letterario e poeta come il Botta, curatore del volume Alcuni scritti (Ariel, Milano 1952), dove si trovano gran parte delle poesie e delle prose dello scrittore milanese, precedute da un ottimo saggio dello stesso Flora, in cui si delineano, in modo ineccepibile, sia la personalità e il pensiero artistico di Botta, sia la sua opera poetica; quest'ultima venne alla luce soltanto dopo la morte del poeta. Oltre al Flora, di Botta si ricordarono altri critici come Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, che lo inserirono a sorpresa nella loro importantissima Antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo; quindi, buon ultimo, fu Glauco Viazzi a collocare Botta, all'interno di una sezione, della altrettanto basilare antologia intitolata Dal simbolismo al deco. Leggendo la prefazione di Flora, presente come dicevo in Alcuni scritti, ci si rende conto dell'insoddisfazione perenne di Botta relativa ai suoi versi e alle sue prose; è certo che egli pubblicò pochissime cose sue, in giornali e riviste del primissimo Novecento; per il resto, cercò sempre di modificare, rivedere e perfezionare ciò che scrisse e mai pubblicò. Pure, qualcosa che venne alla luce, ebbe degli elogi da letterati e critici - come Gian Pietro Lucini e Giovanni Boine - che avevano una non comune capacità di individuare talenti in anticipo rispetto agli altri. E, sempre leggendo la prefazione di Francesco Flora, ecco un frammento che ben descrive il modus poetandi di Botta:

 

La tendenza del Botta in quasi tutti i suoi versi è di risolvere per lo più gli stati d'animo eletti e un po' chiusi (alcuno parlò di certo suo ermetismo) nella modulazione armonizzata di un quadro di natura: soli, notturni, paludi: o visini di sogno e di incubo, magari tregende e diavolo: e qualche voce d'amore e di sostenuto patire.

Altra e più agevole direzione della ricerca poetica di Guatavo Botta si volge al poemetto in prosa: e qui tutti gli elementi delle sue varie ispirazioni sono più drammatici ed eloquenti. [...]¹

 

In questo volume sono presenti altri due lati fondamentali della maestria e della competenza di Botta, quelli del traduttore e del critico d'arte; chiudono infatti questo prezioso volume una traduzione del racconto Il centauro di Maurice de Guérin, e un saggio sulla pittura di Emilio Gola.

Ecco, per concludere, due esempi del fare poetico di Botta: una composizione in versi e una prosa poetica, scelte tra quelle che secondo me meritano maggiormente di essere ricordate.

 

 


 

 

NEL SOGNO

 

Nel sogno che sognai

c'erano donne tristi e liete

c'erano fate mansuete

c'erano gli amati volumi

e c'erano densi profumi

che disfacèvansi nell'aria.

C'era una riva solitaria

già tutta stellata di lumi

nella languida sera

violetta, ma c'era

la sventura nera

ambigua e varia,

che non mi lascia mai,

la sventura la sventura ereditaria

nel sogno ch'io sognai.


Milano, 1903

 

(da "Alcuni scritti", Ariel, Milano 1952, p. 29)

 

 

 

 

PARTONO I NAVIGATORI...

 

Partono i navigatori sulla nave snella, che andrà per burrascosi mari, per sconosciuti mari, verso lontane isole verdi, lontano;

partono dispiegando al vento che le gonfia, le larghe solenni vele che il sole indora e la luna inargenta, partono fra cenni di addio e sventolìo di bandiere, cantando!

Così l'anima mia, vergine trepida, impetuosamente ardita, verso l'oceano d'amore - verso Eldorado, verso Eldorado! - salpa, fra gridi di giovinezza e risa illuminanti e profumanti ondate e immagini di delirio...

O glorioso miraggio!... Porto di fiamma capovolto nell'acqua di viola! O gorghi amari! O immensa pace! O raggiante approdo di felicità! E tu, Morgana, ritta su l'infinito, fantasma versicolore!

1898

 

(da "Alcuni scritti", Ariel, Milano 1952, p. 67)

 


NOTE

1) Da "Alcuni scritti", Ariel, Milano 1952, pp. 20-21)

domenica 10 ottobre 2021

Antologie: "Lirica del Novecento"

 

Lirica del Novecento è il titolo di una tra le migliori antologie dedicate alla poesia italiana del XX secolo. La prima edizione uscì presso Vallecchi Editore in Firenze, nel 1953; da ciò risulta evidente che il volume, composto da 835 pagine, possa prendere in considerazione soltanto la prima metà del Novecento. I curatori di questa opera antologica sono Luciano Anceschi (1911-1995) e Sergio Antonielli (1920-1982). Il primo, che fu un ottimo critico e filosofo, appena un decennio addietro aveva già curato un'altra storica antologia: Lirici nuovi; Antonielli invece, oltre che critico letterario, fu prosatore e insegnante. Questa antologia seleziona versi di 53 poeti italiani; tra costoro, soltanto tre (Delio Tessa, Virgilio Giotti e Mario Dell'Arco) figurano come prettamente dialettali. Si parte dai crepuscolari e si giunge alla cosiddetta "Quarta generazione" (rappresentata però dal solo Giorgio Orelli). Si dà  (giustamente) maggiore spazio ai due "mostri sacri" della poesia italiana novecentesca: Ungaretti e Montale. Per il resto, spicca la presenza di alcuni poeti e poetesse scomparsi in giovane età: Fracassi, Ghiselli, Pozzi e Scipione (ma quest'ultimo si dedicò soprattutto alla pittura) che in vita non pubblicarono libri di versi; altra peculiarità, è la scelta di includere, nella pur severa selezione, due poeti-filosofi quali furono Carlo Michelstedter e Mario Novaro. Risultano invece trascurati i futuristi, visto che l'unico a salvarsi dall'esclusione totale è Filippo Tommaso Marinetti. Certo è che questa antologia ha fatto scuola, e le successive opere similari, in particolare le più avvedute, dovettero tenere ben presenti gli schemi adottati da Anceschi e Antonielli, che, insieme a Giacinto Spagnoletti, furono i primi a tracciare una linea basilare e imprescindibile, che avesse la garanzia di rappresentare la migliore poesia italiana del XX secolo. Ecco infine i nomi dei poeti che figurano in questa antologia.

 

 LIRICA DEL NOVECENTO

 



Guido Gozzano, Sergio Corazzini, Marino Moretti, Fausto Maria Martini, Sibilla Aleramo, Carlo Michelstaedter, Mario Novaro, Filippo Tommaso Marinetti, Corrado Govoni, Ardengo Soffici, Giovanni Papini, Camillo Sbarbaro, Piero Jahier, Clemente Rebora, Aldo Palazzeschi, Dino Campana, Delio Tessa, Arturo Onofri, Umberto Saba, Vincenzo Cardarelli, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Luigi Bartolini, Giorgio Vigolo, Sergio Solmi, Corrado Pavolini, Adriano Grande, Angelo Barile, Luigi Fallacara, Diego Valeri, Virgilio Giotti, Carlo Betocchi, Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli, Sandro Penna, Libero De Libero, Scipione, Enrico Fracassi, Luca Ghiselli, Cesare Pavese, Mario Luzi, Vittorio Sereni, Antonia Pozzi, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni, Alessandro Parronchi, Piero Bigongiari, Aldo Borlenghi, Giorgio Bassani, Pier Paolo Pasolini, Mario Dell'Arco, Giorgio Orelli.

domenica 3 ottobre 2021

La poesia di Giovanni Camerana

 

Secondo il mio modestissimo parere è ancora da scoprire la reale importanza della poesia di Giovanni Camerana (Casale Monferrato 1845 - Torino 1905), scrittore piemontese che viene spesso accomunato ai cosiddetti "scapigliati" ma che, nella sua opera poetica, attraversò più di una corrente e, per certi versi, fu uno dei precursori del simbolismo poetico italiano. Nato a Casale Monferrato, dopo gli studi universitari esercitò per tutta la vita la professione di magistrato e, ritenendola incompatibile con la poesia, coltivò la sua passione letteraria senza mai pubblicare un volume di versi, limitandosi, in casi tutto sommato sporadici, a far apparire alcune sue poesie in riviste, senza mai rivelarsi e firmandosi con una semplice "Y". La prima edizione dei suoi Versi uscì due anni dopo la sua morte, nel 1907. Nel 1956 fu pubblicata, a cura di Francesco Flora, una seconda, più accurata raccolta delle poesie di Camerana, mentre è del 1968 quella che può ancora oggi definirsi la sua opera poetica completa; curato da Gilberto Finzi, quest'ultimo libro contiene molte poesie rimaste fino a quell'anno inedite o come.

Si è detto che Giovanni Camerana è stato considerato un poeta prettamente scapigliato, ciò in realtà è vero soltanto se ci si riferisce alla prima fase poetica dello scrittore piemontese, ovvero quella che, grosso modo, si svolge negli anni compresi tra il 1865 ed il 1870. Quando la corrente scapigliata ormai è al suo tramonto, viste anche le precoci scomparse di esponenti illustri quali Emilio Praga e Igino Ugo Tarchetti, la poesia di Camerana assume nuove caratteristiche, le quali, sono perfettamente riassunte da Piero Nardi nel volume Scapigliatura ( Zanichelli, Bologna 1924):

 

Un tedio dell'esistenza, prima ancora di vivere; una nostalgia del passato, bello perché lontano e perché irriconducibile; una aspirazione, continuamente risorgente, a un ideale vago, continuamente delusa dalla realtà inesorabile; un vuoto, dopo l'inquietudine, una stanchezza suaditrice di morte.

 

Ben calzante è anche questa breve analisi, sempre riferita alla seconda fase della lirica del Camerana, che ha fatto Giuseppe Petronio in Poeti minori dell'Ottocento (UTET, Torino 1959):

 

Sempre più con gli anni si andò avvicinando ad una fosca dolorosa religiosità, ad una affascinata contemplazione della morte, e sempre più andò cercando i simboli (la nera Madonnina di Oropa; il paesaggio di Olanda; un quadro di Bocklin) che dicessero quella sua angoscia, e le forme espressive - da quelle alla Baudelaire a quelle parnassiane, da quelle simbolistiche a quelle dei più moderni pittori - che gli permettessero di effondere la sua tetra visione del mondo.

 

Insomma Camerana nel suo percorso poetico ha cercato sempre di aggiornarsi e di esprimere, con forme adeguate ai tempi, il suo profondo "mal de vivre" che lo avrebbe portato al suicidio.

Chiudo riportando l'elenco dei volumi pubblicati postumi, che riuniscono i versi di Camerana, seguiti dalle presenze del poeta piemontese nelle antologie più importanti e, infine, tre poesie che risalgono alla sua fase più dolente e visionaria.

 

Medaglia di Leonardo Bistolfi
(da "Poeti minori dell'Ottocento", UTET, Torino 1959, p. 657)

 


Opere poetiche

 

"Versi", Streglio, Genova-Torino-Milano 1907.

"Poesie", Garzanti, Milano 1956.

"Poesie", Einaudi, Torino 1968.

 


 


Presenze in antologie

 

"Poesie moderne (1815-1887)", raccolte e ordinate da Raffaello Barbiera, Treves, Milano 1889 (pp. 289-290).

"I Poeti Italiani del secolo XIX", a cura di Raffaello Barbiera, Treves, Milano 1913 (pp. 1127-1129).

"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (p. 234).

"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (pp. 125-126).

"La lirica moderna", a cura di Francesco Pedrina, Trevisini, Milano 1951 (pp. 301-304).

"Poeti minori del secondo Ottocento italiano", a cura di Angelo Romanò, Guanda, Bologna 1955 (pp. 244-256).

"I poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano 1955-1958 (vol. III, pp. 70-81).

"Un secolo di poesia", a cura di Giovanni Alfonso Pellegrinetti, Petrini, Torino 1957 (pp. 25-26).

"Poeti minori dell'Ottocento", a cura di Luigi Baldacci, Ricciardi, Napoli 1958 (pp. 929-939).

"Poeti minori dell'Ottocento", a cura di Giuseppe Petronio, U.T.E.T., Torino 1959 (pp. 655-670).

"Poeti della scapigliatura", a cura di Mario Petrucciani e Neuro Bonifazi, Argalia, Urbino 1962 (pp. 161-204).

"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 57-61).

"Poeti minori dell'Ottocento italiano", a cura di Ferruccio Ulivi, Vallardi, Milano 1963 (pp. 459-471).

"Secondo Ottocento", a cura di Luigi Baldacci, Zanichelli, Bologna 1969 (pp. 1118-1122).

"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. 3, pp. 40-43).

"La Scapigliatura", a cura di Elio Gioanola, Marietti, Torino 1975 (pp. 198-222).

"Poeti della rivolta", a cura di Pier Carlo Masini, Rizzoli, Milano 1977 (pp. 119-123).

"Poesia italiana dell'Ottocento", a cura di Maurizio Cucchi, Garzanti, Milano 1978 (pp. 386-396).

"Otto secoli di poesia italiana", a cura di Giacinto Spagnoletti, Newton Compton, Roma 1993 (pp. 533-534).

"Poesia religiosa italiana", a cura di Ferruccio Ulivi e Marta Savini, Piemme, Casale Monferrato 1994 (pp. 567-570).

"Lirici della Scapigliatura", seconda edizione aggiornata a cura di Gilberto Finzi, Mondadori, Milano 1997 (pp. 199-234).

"Dagli scapigliati ai crepuscolari", a cura di Gabriella Palli Baroni, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2000 (pp. 231-251).

"Torino Art Nouveau e Crepuscolare", a cura di Roberto Rossi Precerutti, Crocetti, Milano 2006 (pp. 27-33).

"La poesia scapigliata", a cura di Roberto Carnero, Rizzoli, Milano 2007 (pp. 391-422).

"Poeti per Torino", a cura di Roberto Rossi Precerutti, Viennepierre, Milano 2008 (p. 17)

 

 

 

Testi

 

 

COROT

 

È autunno. Il parco tanto verde un dì,

Splendido tanto,

Intirizzisce nella nebbia; il canto

Cessò nei rami; ogni allegria finì;

 

È il triste ottobre. I fracidi sentier

Son seminati

Di foglie gialle e piene d’acqua; i prati

Fumano, come un immenso incensier;

 

Sullo stagno, che attonito squallor,

Che strana calma!

Forse lenta nel fondo erra la salma

Di qualche ondina dai capelli d’or;

 

Le bacian l’alghe flessuose il piè

Fatto di neve;

Non è una morta, è un’ombra bianca e lieve,

Una ideale trasparenza ell’è;

 

Nel buio specchio rigato qua e là

Di un tenue filo

Bianco, immerge la selva il suo profilo,

La selva sacra per antica età;

 

È autunno, è il pianto fùnebre, il respir

Dell’agonia;

Gravi echi d’arpa e strofe d’elegia

Paion dal lago e dalla selva uscir...

 

Cuorgnè, 1° ottobre 1878

 

(da "Poesie", Einaudi, Torino 1968, p. 13)

 

 

 

 

DIES ILLA

 

O tu che scendi la funerea valle,

Sotto il ciel di novembre, centenario

Fantasima dei monti ermi, le spalle

Dal troppo tempo affrante e dal dolor;

 

Tu che tremi, ed incespichi, e barcolli

Come al ribrezzo di qualche invisibile

Fossa, e sei giunto alle boscaglie, ai colli

Bianchi, ove il vento della vita muor;

 

Tu che puoi dir: «Finii la mia giornata;

Era un incubo, e la finii; le orribili

Pareti a picco, i gorghi, la implacata

Bruma, la notte rea, tutto varcai»;

 

Tu che puoi dir: «Sono stanco, ero la casa

Buia, la casa deserta da secoli,

Perduta in mezzo la campagna rasa;

Ero la frana che non cessa mai;


Sono stanco e curvo, un Golgota fu il calle,

Ma splende l'alba, il mar dei morti tremola...»

O tu che scendi la funerea valle,

Centenario fantasma viaggiator;

 

O tu immobile al suol, giallo carcame,

Vedi! - a te salgon le anelanti invidie

Come il fumo dal rogo, e nella infame

Pugna ti sognan le agonie del cor.

 

Nervi, 4 febbraio 1889.

 

(da "Poesie", Einaudi, Torino 1968, p. 144)

 

 

 

 

A LEONARDO BISTOLFI

 

Bistolfi, se al pensier tuo stanco arrida

Malinconicamente il contemplare, —

Lontan dalle plebee stupide grida, —

Le argentee nubi alte nel cielo e il mare

 

Nordico, vieni! — A noi fausto il migrare,

A noi prole di duol, verso la fida

Olanda immensa, e le sue dune e il mare

Che le flagella, il mar pieno di strida,

 

Pien di tuoni e di tènebra. — Vedremo

Harlem nebbiosa in fondo al piano, e il giro

Dei remoti mulini al filo estremo

 

Degli orizzonti; e sentirem, nel tetro

Silenzio vesperal, come un sospiro,

Passar di Ruysdael, grave, lo spetro

 

12 novembre 1892.

 

(da "Poesie", Einaudi, Torino 1968, p. 156)