domenica 14 luglio 2013

Poeti dimenticati: Ulisse Ortensi

Ulisse Ortensi nacque a Pratola Peligna (L'Aquila) nel 1863 e morì a Sulmona (L'Aquila) nel 1935. Figlio di un avvocato, malgrado dimostrasse precocemente le sue propensioni e la sua passione per la letteratura, dovette seguire le orme del padre e si laureò in Legge divenendo poi avvocato. Ma i suoi interessi letterari non si domarono mai e fu così che negli anni andò pubblicando volumi di versi, drammi e traduzioni (famose quelle delle poesie di Edgar Allan Poe); fu anche critico letterario di valore. Leggendo le sue poesie si nota una certa affinità con la poetica di Giovanni Pascoli, ciò è dimostrato soprattutto dalla predilezione per le scene agresti e per una sincera pietà nei confronti degli umili e dei poveri.



Opere poetiche 

"Versi", Sarasino Editore, Modena 1893.
"Nuove poesie", Emporium, Bergamo 1896.
"Poveri sogni", Roux & Viarengo, Roma 1904.
"Liriche", Tip. F. Centenari e C., Roma 1907.





Testi

SPLEEN INVERNALE

Quando cadono le foglie, quando cadono le brume,
quando il Sol dà fioca luce, quando il mar dà nere spume
il mio core si rifugge, come un povero romito,
nel più oscuro asil del petto e là chiuso sbigottito,
pulsa pieno di mestizia, mentre sulla grigia pieve
fischia il vento dell'inverno e s'accumula la neve.

Come stanco della vita il mio cuore si raccoglie,
quando cadono le brume, quando cadono le foglie!

Quando i venti tempestosi urlan sull'eremitaggio,
quando scuotono i tuguri del mio povero villaggio;
il mio cuore si rifugge, come un essere atterrito
nel più oscuro asil del petto: là, tremante, sbigottito
pulsa e piange, piange e pulsa, mentre il vecchio campanile
rimodernano le nevi con un bianco e nuovo stile.

Pulsa e piange, piange e pulsa il mio cor senza coraggio,

quando i venti tempestosi urlan sull'eremitaggio!

(da "Versi")




LA CAMPANA FUNEBRE
(Alla memoria di Maria T...)

Tu devi avere un cuore. Ahi! che lamento
affannoso si udì nella tua voce
quando Maria spirò! Com'era lento
il tuo rintocco in quell'istante atroce!

Che funebri singhiozzi sopra il tetto
passavano portati via dal vento,
mentre cadevan ne l'estremo affetto,
le fredde rose sul bel corpo spento!

Quel giorno orrendo era la casa mia
come un tempio nei giorni di Passione:
v'eran la morte e la disperazione
e in tutti gli occhi il pianto sol fiorìa.

La tua voce venìa come parola
di condoglianza e di conforto. Ahi! quante
dolci cose dicea! Ma non consola
nulla al mondo chi piange un bel sembiante.

Le capinere sopra il campanile
pareano morte; il freddo umido vento
ne la casa deserta e nel cortile
univa alla tua voce il suo lamento.

Quanta passion scendea da la tua gola
che gemeva sui tetti della pieve!
Sopra la casa mia una parola
eterna si posava con la neve.

(da "Poveri sogni")

venerdì 12 luglio 2013

Poeti dimenticati: Bino Binazzi

Bino Binazzi nacque a Figline Valdarno (Firenze) nel 1878 e morì a Prato nel 1930. Studiò tra Arezzo e Firenze e stabilì prestissimo una solida amicizia con Ardengo Soffici. Insieme a Francesco Meriano, nel 1916 fondò una rivista: "La Brigata", che però ebbe breve vita. In seguito fu collaboratore del "Nuovo giornale" di Firenze e redattore del "Resto del Carlino". Già a diciannove anni cominciò a pubblicare volumi di versi che molto debbono al Carducci, al D'Annunzio, al Pascoli e ai poeti crepuscolari.



Opere poetiche

"Eptacordo", Assisi 1907.
"Turbini primaverili", La Vita Letteraria, Roma 1910.
"La via della ricchezza", Vallecchi, Firenze 1919.
"Poesie", Vallecchi, Firenze 1934.





Presenze in antologie

"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. 1, pp. 102-111).
"I crepuscolari", a cura di Nino Tripodi, Edizioni del Borghese, Roma-Milano 1966 (pp. 499-503).
"Le notti chiare erano tutte un'alba", a cura di Andrea Cortellessa, Bruno Mondadori, Milano 1998 (pp. 319-320).



Testi

EMMA

Giù ne la cognita valle da l'orizzonte serrato,
ma preciso e tranquillo siccome risolto problema,
noi scenderemo a ritesser placide gioie infantili
lungo le sponde del fiume, dove più blanda fluisca
l'acqua azzurrina; ed i giorni blandi fluiranno ed azzurri
sopra l'anime nostre francate di tutti i desiri.
Poi che l'estrema canzone de la vendemmia si taccia,
e cedano le foglie al soffio dell'ultimo autunno -
biancheggiando da lungi framezzo ad i pioppi sfrondati,
sommesso il collo al giogo, i lenti mugghianti giovenchi -
Emma, il tuo nome sereno quasi meriggio d'aprile
mi spenderà nel cuore, quasi tubar di colomba
ridesterà la nota canzone di rose e d'amore.
L'attonita dolcezza de gli occhi tuoi chiari infantili
cercherà le nascoste chiesuole fra ciuffi di quercie
vibranti all'aer puro lor sacro linguaggio d'argento
da' bianchi campanili; e insiem troveremo la eterna
ignota al mondo tristo, preghiera che esalta e consola.
Tu sarai la sorella, la candida buona sorella
che poserà innocente sull'omero adusto che seppe
la dura ignobil croce per l'erta implacata de gli anni,
flagellando il mio spirto la sferza d'un aspro desire.
E nel tuo bianco volto mirando con occhio d'amore
risentirò la mite dolcezza di giorni remoti.
Oh felice sapienza all'onda fluente dell'ore
accordare il buon ritmo d'un vergine cuor di fanciulla!

(Da "Poesie")

martedì 9 luglio 2013

"Bruges la morta" di Georges Rodenbach




"Bruges la morta" (1892) è il titolo di un romanzo scritto da Georges Raymond Constantin Rodenbach (Tournai 1855 - Parigi 1898), letterato belga di lingua francese che divenne celebre soprattutto per le sue opere poetiche ("La bianca giovinezza" e "Il regno del silenzio" quelle più importanti) le quali, per i toni fortemente malinconici, influenzarono Guido Gozzano e i poeti crepuscolari. Non dissimile dai suoi versi questo romanzo che trasforma la città di Bruges nel luogo più decadente e sognante del mondo, colmo di atmosfere tristi, piovose, grigie che preannunciano un disfacimento lento e ineluttabile. La storia è quella di un vedovo che non riesce ad accettare la scomparsa improvvisa della sua amata compagna e, per questo motivo, va a vivere nella città fiamminga rimanendo volontariamente esiliato nelle sue vie pervase da una cupa rassegnazione. Ma un giorno, durante una delle sue rituali passeggiate, il vedovo vede una donna che somiglia in maniera incredibile alla moglie morta; da quel giorno l'uomo inizierà a seguire questa donna misteriosa in modo ossessivo, fino a cercare con decisione un approccio per instaurare un rapporto amichevole che poi si trasformerà in morbosa passione. Il romanzo, come già detto, diventò un punto di riferimento per alcuni poeti italiani del primissimo Novecento; questi furono attratti in particolare dalla città di Bruges che Rodenbach nel suo libro riesce a descrivere con parole indimenticabili. A titolo dimostrativo si leggano questi versi tratti da "Armonia in grigio et in silenzio" di Corrado Govoni: «Ma ecco che l'autunnale contagio / si propaga: e le cose più ordinarie / ne le stanze si sentono a disagio / come de le novelle pensionarie. / / I monasteri dai muri di cloro / su cui l'inverno allenta le sue chiuse / incominciano tutti ad appassire; / / e le sperse campane, da le loro / grige casucce da le porte chiuse, / fanno la propaganda di morire»; si confrontino ora con questo passo del romanzo di Rodenbach: «Un'impressione funebre emanava da quelle case serrate, dai vetri offuscati come occhi di agonizzanti, dai frontoni che ripetevano nelle acque le loro scale luttuose. [...] E dovunque, sul suo capo, un gelido gocciolìo, le piccole note salate delle campane delle chiese, gettate come un aspersorio che benedica un feretro». Anche questi altri versi di Marino Moretti sono significativi: «Lenta lenta lenta va / nei canali l'acqua verde / e coi bei cigni si perde / nella grigia immensità, / nell'eterno mezzo lutto / mentre il giunco tristemente / s'è chinato a bere il flutto / della placida corrente... / Il tintinno d'una folla / di campane fa tremare / lievemente la corolla / d'uno smorto nenufare»; e ancora un brano di "Bruges la morta": «L'influsso della città su di lui riprendeva: lezione di silenzio che gli veniva dai canali immobili, che con la loro calma meritavano di esser frequentati dai nobili cigni; esempio di rassegnazione offerto dai quais notturni; soprattutto esortazioni di pietà e di austerità che cadevano dagli alti campanili di Notre Dame e di San Salvatore, sempre emergenti dal fondo delle prospettive».
Da ricordare infine che la prima traduzione in italiano del romanzo di Rodenbach fu realizzata ad opera di Fausto Maria Martini, altro poeta crepuscolare, mentre, le citazioni presenti in questo post, provengono dalla versione di Piero Bianconi, uscita per la Rizzoli, a Milano nel 1955 (immagine in alto).

domenica 7 luglio 2013

Il difetto nella poesia italiana decadente e simbolista

Il "difetto" è a volte ritenuto dai poeti simbolisti un elemento positivo, che differenzia (in meglio) la persona, l'animale, la pianta, l'oggetto o il paesaggio. Non è il caso però di una poesia di Vittoria Aganoor in cui si parla di una valle apparentemente paradisiaca dove capita di trovare delle situazioni controverse e dolorose. Passando ad altri esempi, ne L'incrinatura di Guido Gozzano, il fiore morente a causa di una fenditura provocata accidentalmente al vetro di Boemia che lo racchiude è paragonato al cuore colpito, o meglio sfiorato appena da "una man superba", che per tal motivo lentamente si dissangua. Ne Il nido di Giovanni Pascoli, il difetto sta proprio in quel fondamentale rifugio per gli uccelli che risulta ormai abbandonato e cadente, circondato da un paesaggio autunnale che ne preannuncia il dissolvimento. Angiolo Orvieto invece vede nel Filo d'argento presente nella sua barba la morte che lo sta aspettando al varco e che gli manda, col pelo canuto, una sorta di avviso. In Buzzi infine, il difetto è rappresentato dalla Gabbia che impedisce al poeta di volare verso le più sfrenate fantasie e le più incontrollate libertà.



Poesie sull'argomento

Vittoria Aganoor: "Val di Sella" in "Leggenda eterna" (1900).
Ugo Betti: "I magri" in "Canzonette - La morte" (1932).
Paolo Buzzi: "La gabbia" in "Aeroplani" (1909).
Corrado Govoni: "Ascoltando un doppio" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Guido Gozzano: "L'incrinatura" in "Gazzetta del Popolo della domenica", maggio 1904.
Luigi Gualdo: "Rose appassite cui non rise il sole" in "Le Nostalgie" (1883).
Pietro Mastri: "Fuor di stagione" in "Lo specchio e la falce" (1907).
Nicola Moscardelli: "Vuoto" in "Abbeveratoio" (1915).
Angiolo Orvieto: "Filo d'argento" in "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya" (1898).
Nino Oxilia: "Contraddizione" in "Gli Orti" (1918).
Giovanni Pascoli: "Il nido" in "Myricae" (1900).
Giovanni Pascoli: "Il fringuello cieco" in "Canti di Castelvecchio" (1903).
Yosto Randaccio: "Atonia" in "Poemetti della convalescenza" (1909).



Testi

CONTRADDIZIONE
di Nino Oxilia

I

Io maschio ben costrutto
per l’amore ed avvezzo agli sportivi
giochi fisici, io, l’uomo dai lascivi
impeti, l’uomo in cui l’istinto è tutto,
io sono triste.

Io fecondo animale
che non conosco il rispetto
dell’altalena sociale,
e mi compiaccio dando lo sgambetto
alle dottrine dell’intelligenza,
saltando di piè pari sopra il petto
della menzogna detta convenienza,
io sono triste.

Io che passeggio sul puritanismo
a torso nudo come un gladiatore,
che sputo su Loyola con furore
e prendo a calci l’indeterminismo,
io che il metodo aborro e il sillogismo
e il fato greco e il mistico fervore,
io che son sperma e mani e occhi e creta
ma che non son poeta,
io sono triste.

Io che ho la penna in mano e fumo e stono
come un treno diretto,
che sono tutto in marcia, testa, petto,
gambe, riso, bestemmie, urla, perdono,
io sono triste...


III

O tristezza! Tu sei la benvenuta,
o amante dei poeti simbolisti.
Noi farem l’orgia delle cose tristi
sulla coltre dell’anima svenuta.

Adàgiati che possa contemplarti.
Sei figlia del rimpianto? Od il rimedio
dell’Impotenza? Maschera del Tedio,
o la modella delle Belle Arti?

Che sei? La febbre della notte eterna,
o un principio di gastrica? La morsa
dell’attesa o il respiro della corsa?
Sei la provincia o la città moderna?

Oggi, ieri, o domani? Il magnetismo
di un occhio ignoto, a un bivio, tra gli specchi?
L’elica di un Caproni od i cernecchi
d’un postiglione del romanticismo?

(Da "Gli Orti")

venerdì 5 luglio 2013

Da "La città dell'anima" di Giorgio Vigolo

È sotto l'influsso di quei cieli opachi e vibranti come alte maree di suono, che Roma m'ha rivelato nel sonno delle pietre l'anima sua più segreta; e durante i lunghi pellegrinaggi senza mèta per le antiche vie solitarie, quasi ho creduto di vegliare una creatura addormentata che tradisse di quando in quando i suoi sogni in qualche misteriosa parola.

(Da "La città dell'anima" di Giorgio Vigolo, Greco & Greco, Roma 1994)




Le città dell’anima è la prima opera letteraria di Giorgio Vigolo (Roma 1894 – ivi 1983). Fu pubblicata per la prima volta nel 1923, dallo Studio Editoriale Romano. Una ristampa dell’opera prima di Vigolo, è uscita grazie all’editore Greco & Greco di Roma nel 1994. Da quest’ultima (vedi foto sopra) ho trascritto un frammento che a me sembra significativo, poiché qui, come in tutto il libro, la protagonista è la città di Roma (lo sarà, spesso, anche nel resto dei versi e delle prose di Vigolo), vista dal poeta come se fosse un essere vivente. Naturalmente, consiglio a tutti di leggere queste prose dedicate alla bellezza della capitale italiana.


mercoledì 3 luglio 2013

Antologie: "Poeti minori dell'Ottocento italiano"

Circa quindici anni dopo la pubblicazione di Antologia della lirica italiana dell'Ottocento, Ferruccio Ulivi (1912-2002), insigne critico italiano, tornò ad occuparsi di poesia ottocentesca dando alle stampe una ulteriore e fondamentale antologia: Poeti minori dell'Ottocento italiano (Vallardi, Milano 1963). Un'opera quest'ultima, di ben 850 pagine, in cui Ulivi volle perfettamente classificare e antologizzare 95 poeti italiani cosiddetti "minori" compresi nei cento anni del XIX secolo. Il libro, assai diverso da quello precedente (che fu curato anche da Giorgio Petrocchi), è molto generoso nella selezione dei poeti, e comprende anche alcuni nomi quasi totalmente ignorati dalle precedenti antologie settoriali; per fare due soli nomi, si trovano qui quelli di Antonio Della Porta e di Emilio Girardini: poeti validi e anche originali, del tutto "riscoperti" da Ulivi. L'antologia è strutturata in sei sezioni, precedute da una introduzione che illustra il motivo di tale scelta. Si nota una netta predominanza di poeti del secondo Ottocento, e a mio parere la ragione sta nel fatto che tra il 1850 e il 1900 furono assai di più i poeti di talento rispetto al mezzo secolo precedente. Ecco allora, per terminare, l'elenco dei poeti presenti in questa antologia che ritengo sia tra le migliori dedicate a questo specifico settore.  





POETI MINORI DELL'OTTOCENTO ITALIANO

I
Diodata Saluzzo, Gabriele Rossetti, Giovanni Berchet, Jacopo Sanvitale, Silvio Pellico, Giovanni Marchetti, Tommaso Grossi, Giovita Scalvini, Andrea Maffei, Luigi Carrer, Niccolò Tommaseo, Alessandro Poerio, Giunio Bazzoni, Cesare Betteloni, Paolo Emilio Imbriani, Francesco Dall'Ongaro, Giuseppe Giusti, Agostino Cagnoli, Pietro Paolo Parzanese, Giulio Carcano, Giuseppe Revere, carlo Tenca, Arnaldo Fusinato, Vincenzo Padula, Luigi Mercantini, Goffredo Mameli, Ippolito Nievo, Erminia Fuà Fusinato. 

II
Giulio Uberti, Aleardo Aleardi, Giovanni Prati, Giacomo Zanella, Giovanni Raffaelli. 

III
Paolo Emilio Castagnola, Costantino Nigra, Pietro Cossa, Giambattista Maccari, Augusto Caroselli, Giuseppe Maccari, Vincenzo Riccardi di Lantosca, Emilio Praga, Bernardino Zendrini, Vittorio Betteloni, Vittorio Imbriani, Iginio Ugo Tarchetti, Arrigo Boito, Felice Cavallotti, Mario Rapisardi, Giovanni Camerana, Arturo Graf, Remigio Zena, Contessa Lara, Olindo Guerrini, Corrado Corradino.

IV
Biagio Miraglia, Giuseppe Chiarini, Enrico Nencioni, Giuseppe Cesare Abba, Tommaso Cannizzaro, Enrico Panzacchi, Luigi Pinelli, Domenico Milelli, Antonio Fogazzaro, Maria Alinda Bonacci Brunamonti, Giuseppe Aurelio Costanzo, Giuseppe Manni, Luigi Morandi, Edmondo De Amicis, Emilio De Marchi, Giovanni Marradi, Ulisse Tanganelli, Mercurino Sappa, Vittoria Aganoor Pompilj, Severino Ferrari, Guido Biagi, Emilio Girardini, Giuseppe Picciola, Guido Mazzoni, Giacinto Ricci Signorini.

V
Domenico Gnoli, Raffaele Salustri, Ugo Fleres, Nicola Marchese, Giovanni Alfredo Cesareo, Giulio Salvadori, Pompeo Bettini, Adolfo De Bosis, Antonio Della Porta, Enrichetta Capecelatro.

VI
Sebastiano Satta, Giovanni Bertacchi, Giovanni Cena, Ada Negri. 

lunedì 1 luglio 2013

Luglio in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

AFA DI LUGLIO. IL CANTO CHE NON VARIA
di Camillo Sbarbaro (1888-1967)

Afa di luglio. Il canto che non varia 
delle cicale; il ciel tutto turchino; 
intorno a me, nel gran prato supino, 
due fili d'erba immobili nell'aria. 

Un sopor dolce, una straordinaria 
calma m'allenta i muscoli. Persino 
dimentico di vivere. Mi chino 
coi labbri ad una bocca immaginaria...

E sento come divenute enormi
le membra. Nel torpore che lo lega,
mi pare che il mio corpo si trasformi.

Forse in macigno. Rido. Poi mi butto
bocconi. Nell'immensa afa s'annega
con me la mia miseria, il mondo, tutto.

(Da "Resine", Caimo, Genova 1911)





O LUGLIO, TU SEI COME UN GIOVINETTO
di Federigo Tozzi (1883-1920)

O luglio, tu sei come un giovinetto 
ch'abbia le chiome molli e succolente 
come frutta mature; e per diletto 
tu porti ai contadini le semente. 

Onde le floride aie sono il letto 
dove pieghi i ginocchi sorridente 
e stanco. Ma il tuo biancheggiante petto 
pieno è di sole come sangue ardente.

E pare che la luna sia più gonfia
nel cielo, dove perde tutto il latte;
e gli alberi si toccano le foglie.

Ma, la mattina, il gallo canta e tronfia
se le galline gli si metton chiatte,
per soddisfare tutte le sue voglie.

(Da "La zampogna verde", Puccini, Ancona 1911)





DI LUGLIO
di Giuseppe Ungaretti (1888-1970)

Quando su ci si butta lei,
Si fa d'un triste colore di rosa
Il bel fogliame.

Strugge forre, beve fiumi, 
Macina scogli, splende,
È furia che s'ostina, è l'implacabile,
Sparge spazio, acceca mete,
È l'estate e nei secoli
Con i suoi occhi calcinanti
Va della terra spogliando lo scheletro.

(Da "Sentimento del Tempo", Vallecchi, Firenze 1933)





UN GIORNO DI LUGLIO
di Adolfo Jenni (1911-1997)

Parla alto l'uomo, strepita il gallo,
ogni fiore è bandiera.
La donna ch'è sola si dispera,
azzurre le notti se il giorno ora è giallo.

Lungo i torrenti che l'afa dispoglia
canta, folletto, lo spirito;
così divaga la vipera,
tòrnea così al pioppo la foglia.

Questo è il soverchio giorno che il santo
pensa, invidiando, l'angelo:
di morte strana languido,
s'aprono i suoi gesti ad acanto.

Succo di pesca è la saliva,
profumo di accalmati orienti;
rilucono i denti
in giovinezza fuggitiva.

(Da "Le bandiere di carta", Collana di Lugano, Lugano 1943)





ORA CHE DOMINA LUGLIO
di Rocco Scotellaro (1923-1953)

Ancora non mi palpita una fede: 
per questo mi viene la luce 
e non me la sento il mattino 
e so il mio giorno rapito
in un vortice inane.
Se fossi zolla!
M’avrebbe rimossa la vanga, 
darei erbe e frutti
a questa stagiona che sorvola.
E sono sorgente seccata 
che mi scansano le greggi 
ora che domina luglio.

(Da "È fatto giorno", Mondadori, Milano 1954)





14 LUGLIO
di Cesare Vivaldi (1925-1999)

Questo mese è una data nella storia
dell'Italia: quattordici di luglio
del millenovecentoquarantotto.

Un'immagine sola alla memoria
ritorna: il Policlinico, nel mùglio
del popolo crescente, ininterrotto.

(Da "Il cuore di una volta", Sciascia, Caltanissetta 1956)





MATTINA DI LUGLIO
di Franco Fortini (1917-1994)

Nulla flette al largo la riga vergine
della mattina e nulla nell'aria trema
se non fili o la timida vertigine

delle fogliuzze dei salici. Chi rema
va in un medio placido sulla voragine.
I primi gridi si isolano.

Noi ci siamo venduti alla paura,
a vizi inavvertiti, alla speranza,
alla pietà.

(Da "Una volta per sempre", Mondadori, Milano 1963)





I PRIMI DI LUGLIO
di Eugenio Montale (1896-1980)

Siamo ai primi di luglio e già il pensiero
è entrato in moratoria.
Drammi non se ne vedono,
se mai disfunzioni.
Che il ritmo della mente si dislenti,
questo inspiegabilmente crea serie preoccupazioni.
Meglio si affronta il tempo quando è folto,
mezza giornata basta a sbaraccarlo.
Ma ora ai primi di luglio ogni secondo sgoccia
e l’idraulico è in ferie.

(Da "Diario del '71 e del '72", Mondadori, Milano 1972)





SERA DI LUGLIO IN GIARDINO
di Agostino Richelmy (1900-1991)

Si rompe il cielo al rozzo 
e remoto frastuono dei decrepiti 
motori e degli aerei supersonici. 
Timida olezza l’aria 
e nella grigia luce 
vedo gl’immacolati gelsomini. 
Pie corolle nel chiostro 
dei loro steli attorcigliati stretti 
al graticcio murale 
sono sorprese or ora 
dal taciturno arrivo 
dei volatili insetti. 
Imenotteri bruni 
testé nati dalla marcida palude 
sembrano modellini 
di novelli elicotteri. 
Sotto la luna tronca e semispenta 
nel nuvolone rotto 
me li figuro, mostri 
pelosi che natura 
mutua d’esca e diletico 
pone, ganzi o lenoni, 
sulle corolle intemerate 
degli efebici gelsomini.

(Da "La lettrice di Isasca", Garzanti, Milano 1986)





25 LUGLIO '67
di Ferruccio Benzoni (1949-1997)

Stentorea
in un visibilio di luce
che pare scolpita
la voce, 
il lembo di un prendisole...
È quanto di lei rimane
tra il paesaggio marino e me
immobili nel ricordo.
(Si sollevasse una brezza
un alito
e un poco di verde tremasse
cautamente
dalla cima delle piante alla punta
delle mie dita)

(Da "Fedi nuziali", Scheiwiller, Milano 1995)