domenica 13 novembre 2011

Racconto della stazione

Mi ritrovai alla stazione per un viaggio del quale io non sapevo nulla. Rimasi meravigliato quando vidi arrivare un treno di color giallo. Si fermò ed io entrai. Sbigottito guardai i passeggeri rendendomi subito conto che erano dei fantocci. Cominciai ad aver paura, mi chiedevo dove mai fossi finito quando il treno imboccò una galleria e rimasi al buio poiché il vagone in cui mi trovavo non aveva luce. Furono minuti e minuti d'angoscia, poi il tunnel terminò e fui abbagliato da una luce immensa. Mi pareva di entrare nel sole, tanto era il calore che m'invadeva; poi mi sentii carezzare il volto e udii una soave voce che disse: «Finalmente sei arrivato, da tanto ti attendevamo...»

sabato 12 novembre 2011

Racconto del laureato e del politico

E il laureato non riusciva a battere un chiodo. Allora, giunto ad una disperazione non più sostenibile, decise, contro la sua dignità, di andare a chiedere aiuto ad un politico. Dopo numerose richieste e interminabili attese riuscì ad essere ricevuto da un politico. Quando fu faccia a faccia con lui gli chiese, senza minimi indugi, un lavoro; al che il politico gli rispose:
«Vuoi un lavoro?, so che possiedi un titolo di studio importante, ma ciò che ti posso offrire non è certo adeguato a quello a cui probabilmente ambisci; però, se hai veramente bisogno di lavorare, allora puoi fare lo spazzino».
Il laureato, naturalmente, non aveva nei suoi progetti e nei suoi sogni quello di diventare uno spazzino e disse:
«Io la ringrazio, ma avrei preferito qualcosa di più adatto a me, non è possibile?»
E il politico:
«È possibile, ma trattasi di un posto da precario, con contratto a termine. Ogni anno questo scadrà, ma, se lei sarà meritevole, con molta probabilità le sarà rinnovato, e potrà andare avanti così per molti anni».
Disse allora il laureato:
«Ma io ho già quarant'anni, non posso permettermi di lavorare in questo modo!».
Gli replicò il politico:
«Caro signore, lei è incontentabile ed anche pretenzioso, io le ho offerto già due ottime possibilità e lei me le ha rifiutate. Sa cosa le dico? se ha veramente bisogno di lavorare le conviene accettare queste mie proposte, altrimenti se la sbrighi da solo. Arrivederci.».

giovedì 10 novembre 2011

Racconto dell'anima

Quel giorno entrai in un antico palazzo e salii le scale fino al settimo piano, dove trovai una porta sola, era quello dunque l'appartamento che cercavo, allora suonai il campanello e attesi, poco dopo sentii una voce stridula chiedere:
«Chi è?»
«Sono io» risposi,
e lei: «Io chi?»
pronunciai allora il mio nome e subitamente udii la persona di dietro alla porta togliere il catenaccio, poi la porta fu aperta e mi trovai davanti una vecchia signora dal volto rugoso e vestita di nero; mi sorrise dicendo:
«Prego, entri pure».
«Permesso?» io dissi e mi feci avanti, mi accorsi allora che c'era un salone semibuio, con una finestra che, chiusa, faceva trapelare, grazie ad una persiana rotta, un filo di luce.
Mi guardai intorno e vidi soltanto mobili vecchi, sentivo anche un forte odore di muffa e iniziai ad avere voglia di andarmene.
«Lo vuole un caffè?» mi chiese l'anziana signora
«No, grazie» risposi «ho fretta perchè devo fare molte altre cose...»
Allora lei disse: «Le porto subito quella cosa»
e si diresse verso un'altra stanza in fondo al salone, aprì la porta ed entrò, dopo pochi secondi tornò e in una mano teneva una lettera.
«Tenga» disse «questa è per lei»
«Grazie» le dissi, pur non sapendo che lettera mai fosse.
Salutai ed uscii da quel tristo tugurio, scesi le scale velocemente e mi sentii molto sollevato.
Camminando per la strada ancora pensavo alla vecchia, all'interno di quell'appartamento e provavo tristezza, desolazione, squallore.
Poi mi ricordai della lettera che nel frattempo avevo riposto nella tasca del soprabito. La aprii e lessi quello che vi era scritto, diceva:
«Caro Leonardo, tu oggi hai visitato la tua anima».

mercoledì 9 novembre 2011

Poeti dimenticati: Gino Gori

Nacque a Roma nel 1876 e morì a Sant'Ilario Ligure nel 1952. Dopo la laurea in Giurisprudenza cominciò a dedicarsi con assiduità alla letteratura e al teatro collaborando con suoi scritti a riviste quali "Capitan Fracassa", "Don Chisciotte", "L'Ora" e "Il Tirso". Amico di Trilussa, scrisse dei versi in dialetto romanesco. In seguito cominciò a viaggiare attraverso l'Europa, si sposò e quindi divenne proprietario di un albergo, si dedicò così alla sua nuova professione abbandonando l'attività letteraria. Le sue opere in versi mostrano una tendenza all'innovamento stilistico, mentre le tematiche ricalcano in parte quelle di Pascoli, Gozzano e Govoni, in parte quelle del realismo lirico, il cui artefice e iniziatore fu Massimo Bontempelli, molto stimato dal Gori.
 

Opere poetiche


"Er libbro rosso de la guera", Tipografia editrice nazionale, Roma 1915.
"Il mulino della luna", Alpes, Milano 1924.
"Il grande amore", Bemporad, Firenze 1926.





Presenze in antologie

"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. 3, pp. 171-186).
"Poeti Novecento", Mondadori, Milano 1928 (pp. 89-102).



Testi

L'ALBERO LUMINOSO

Cresce come l'alba
quest'albero di madreperla,
e porta impigliati fra i rami
figure d'uomini e colori.
Stormisce che non si sente
coi nostri orecchi mortali,
ma già nell'anima passa
una musica che pare
come un silenzio di amore.
Cresce la pianta mattutina
con una fretta dorata,
empie gli spazi della terra
e l'infinito del cielo.
Tutti la chiamano luce,
ch'è il vero nome di Dio,
ma ella non è che la favola della luce,
e dura un giorno soltanto,
come la fanciullezza,
come l'amore,
come la vita dell'uomo,
ch'è una piccola lacrima
caduta
dagli occhi invisibili dell'eternità.


(da "Il mulino della Luna", pp. 30-31)




LA CULLA

Fatta di nuvole bianche,
foderata d'azzurro e di tepore,
galleggia ancorata
alla riva del fiume della vita,
la culla della nostra infanzia;
e la dondola il vento
dell'alba,
e vi cantano intorno
le Stagioni invisibili del tempo:
Ninna nanna dei giardini,
quanti gigli e gelsomini!
ninna nanna dei ruscelli,
tutti i giorni sono belli,
e il mistero non ci affanna,
ninna nanna, ninna nanna.

Non importa accendere una lampada,
la culla è luminosa;
non importa colmarla di fiori,
la culla è fiorita;
non importa vegliarla,
tutta la materna bontà del cielo
è curva sulla culla,
e le stelle hanno occhi dolcissimi,
che non si chiudono mai.

Vi riposammo un giorno.
Basta.
Ci risvegliammo supini
e non vedemmo che il cielo.
Basta.
Tendemmo le mani per ricevere
i doni dorati del sole.
Basta.
Questo soltanto è bastato
per battezzarci uomini.
Ché se più tardi parlammo,
ché se più tardi pensammo,
ché se più tardi soffrimmo,
questo fu nulla
dinanzi al guardare in alto
dal fondo della nostra culla.

(da "Il Grande Amore", pp. 59-60)

martedì 8 novembre 2011

Poeti dimenticati: Yosto Randaccio

Iosto Carmine Randacio, in arte Yosto Randaccio, nacque a Cagliari nel 1880 e morì a Roma nel 1965. Giovanissimo si trasferì dalla Sardegna alla capitale italiana per iscriversi alla facoltà universitaria di Lettere e Filosofia, durante le lezioni ebbe modo di conoscere poeti come Tito Marrone, Carlo Basilici e Giuseppe Piazza, coi quali instaurò un saldo rapporto di amicizia. Cominciò in quel periodo a scrivere e pubblicare i suoi versi che uscirono anche in riviste famose come "Riviera Ligure" e "La Vita Letteraria". Nel 1909 fu dato alle stampe l'unico suo volume poetico: "Poemetti della convalescenza". Nelle liriche di Randaccio si nota, oltre all'uso del verso libero, una rielaborazione dei temi cari al D'Annunzio ed ai crepuscolari.
 

Opere poetiche


"Poemetti della convalescenza", Tipografia Meloni Aitelli, Cagliari 1909.
 

Presenze in antologie


"I crepuscolari", a cura di Nino Tripodi, Edizioni del Borghese, Milano 1966 (pp. 385-396).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 399-402).
"I crepuscolari", a cura di Francesco Grisi, Newton Compton, Roma 1990 (pp. 325-336).
"Neoidealismo e rinascenza latina tra Ottocento e Novecento", a cura di Angela Ida Villa, LED, Milano 1999 (pp. 772-817).
 

Testi 


CHIESA ABBANDONATA

Chiesa bianca solitaria,
sopita nel sogno de l'aria.

E le buone preghiere?
E le anime salmodianti,
e gli organi tuonanti
nel mistero de le sere?
Sento che spira un triste vento
d'esulamento.

Per dove? il mio cuore non sa,
anima de l'eternità.
La nostra tristezza chi la porta?
Quale gigante s'affatica
ne la lotta infinita
che non terminerà?

Tu pure sei morta!
Non lo senti stasera
nel vuoto di questa navata
desolata,
non lo senti questo vento
d'esulamento,
queste grida di suicida?


(Da "Poemetti della convalescenza")

domenica 6 novembre 2011

Poeti dimenticati: Giovanni Tecchio


Piatto anteriore di "Canti".

Giovanni Tecchio nacque a Bassano del Grappa nel 1872, studiò Lettere prima a Vicenza quindi a Padova, in quest'ultima città si laureò per poi ricoprire vari incarichi presso gli istituti scolastici di Vicenza, Pergola, Faenza e La Spezia. Nel frattempo pubblicò anche alcuni volumi poetici e fu annoverato insieme a Romolo Quaglino, Luigi Donati, Gustavo Botta ed altri, tra i poeti che, sotto la guida del carismatico Gian Pietro Lucini, fecero parte di un cenacolo milanese molto vicino alla poesia simbolista. È incerta la data della sua morte.
 
Opere poetiche

"Poesie", Salmin, Padova 1892.
"Mysterium", Chiesa e Guindani, Milano 1894.
"Le Visioni", Galli e Omodei-Zorini, Milano 1896.
"Rime della vita", Montanari, Faenza 1900.
"Canti", Monanni, Milano 1931.
 


Presenze in antologie

"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 327-332).
 

Testi

 SERENATA



Ne l'aere soave
spira odore
d'acacie in, fiore.
Dicono i fiori l'ave
a la luna bianca e pura,
immacolata,
che avvolge nel candore
la natura
addormentata.

In quel silenzio,
in quell'incanto
del creato,
vola il canto
d'un troviero
innamorato;
via col suon de la mandòla
vola, vola...

E canta e canta e canta
il giovine troviero.
La bionda vergine
su l'origliere
morbido e bianco,
voluttuosa
il capo stanco
posa.

Mentre ella dorme,
rosei
i sogni a torme
passano.

Il suo bel viso,
che sembra un gìglio
cui l'alba irrora,
lieve un sorriso
sottil disfiora.

Vola forse il suo pensiero
al troviero
che fuor canta innamorato?

Dorme intanto la natura
sotto al raggio immacolato
de la luna bianca e pura.

(da "Mysterium")

sabato 5 novembre 2011

Poeti dimenticati: Pietro Mastri


Piatto anteriore di "La via delle stelle"

Pietro Mastri, pseudonimo di Pirro Masetti, nacque a Firenze nel 1868 ed i vi morì nel 1932. Svolse per tutta la vita la professione di avvocato e, nello stesso tempo, compose versi che pubblicò in due distinti periodi. Nel primo, compreso tra il 1892 ed il 1907, il Mastri si dimostò un seguace della poesia pascoliana, sia per i temi trattati, sia per lo stile delle sue poesie. Nella seconda fase, che si delinea tra il 1920 all'anno della sua morte, il poeta fiorentino aggiunse ai suoi versi una visione della vita nello stesso tempo dolente e cristiana.


Opere poetiche
"Frammenti poetici", Bocca, Roma-Firenze-Torino 1892.
"L'arcobaleno", Zanichelli, Bologna 1900 (1920).
"Lo specchio e la falce", Treves, Milano 1907.
"La meridiana", Taddei, Ferrara 1920.
"La fronda oscillante", Bemporad, Firenze 1923.
"La via delle stelle", Alpes, Milano 1927.
"Ultimi canti", Treves-Treccani-Tumminelli, Milano-Roma 1933.
 

Presenze in antologie
"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 235-245).
"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 400-401).
"Poeti d'oggi: 1900-1925", 2° edizione, a cura di Giovanni Papini e Pietro Pancrazi, Vallecchi, Firenze 1925 (pp. 17-123).
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. 5, pp. 20-35).
"La nuova poesia religiosa italiana", a cura di Gino Novelli, La Tradizione, Palermo 1931 (pp. 248-254).
"Antologia della lirica contemporanea dal Carducci al 1940", a cura di Enrico M. Fusco, SEI, Torino 1947 (pp. 181-184).
"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (pp. 211-214).
"La lirica moderna", a cura di Francesco Pedrina, Trevisini, Milano 1951 (pp. 540-545).
"Un secolo di poesia", a cura di Giovanni Alfonso Pellegrinetti, Petrini, Torino 1957 (pp. 226-229).
"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 163-168).
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. 3, pp. 139-144).
"Poeti italiani del XX secolo", a cura di Alberto Frattini e Paolo Tuscano, La Scuola, Brescia 1974 (pp. 118-122).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 341-346).
"Otto secoli di poesia italiana", a cura di Giacinto Spagnoletti, Newton Compton, Roma 1993 (pp. 593-594).
 

Testi
MISTERO

Guardo. La notte, azzurramente pura,
sparsa di stelle, ha un intimo chiaror.
Splendi, o gran tempio della dea Natura,
coi mille e mille lampadarii d'òr!

Guardo: e il mio petto si sgonfia e sospira.
Qual nuova ambascia, qual ansia m'opprime?
(Nell'ombra, intorno, un fremito s'aggira:
scuoton, sognando, gli alberi le cime. )

Onde un'arcana tristezza in quest'ora
mistica, o notte, m'invade così?
Su dall' ignoto per certo vapora:
non aspra; vaga e sottile, bensì.

Tacitamente vaporan le brume
della tristezza da ignoti recessi.
(Che piange là, fra i pioppi, il cupo fiume?
chiede alla luna i tremoli riflessi?)

L'anima sogna. O profonda e silente
notte, ove annega per gli occhi il pensier,
come in quest'ora più acuta si sente,
più vana l'ansia del grande mister!

Passa sul volto agli umani in quest'ora
forse col vento notturno il mistero.
(Trema ogni stella, come quando sfiora
un'ala lieve la fiamma d'un cero.)

Passa: ed un' eco di cose lontane
— d'un'altra vita che forse già fu? —
simile a un fioco rombar di campane,
desta la valle del cuore, laggiù...

Silenzio immenso. L'aria ha blandimenti
trepidi e guizzi l'acque: sulla riva
del fiume stan gli alberi immoti, intenti.
È nelle cose come un' ansia viva.

Guardo a quei neri monti. Ed ecco nastri
d'argento, a un tratto, sulle sommità.
S'alza la luna: impallidiscon gli astri.
Oh gemmea luce! Oh gran serenità!

(da "L'arcobaleno")