domenica 15 settembre 2024

Riviste: "Lirica"

 Lirica è il titolo di una rivista che nacque a Roma, grazie all'iniziativa di Arturo Onofri, nel gennaio del 1912. La sua vita fu breve (durò soltanto due anni) ma intensa: nelle sue pagine, infatti, trovarono modo di pubblicare interessantissimi versi e prose, alcuni giovani intellettuali vogliosi di rinnovamento; lo stesso fondatore, insieme a Vincenzo Cardarelli, Giuseppe Antonio Borgese, Teofilo Valenti, Aurelio Enrico Saffi, Armando De Santis, Giorgio Vigolo e altri ancora, avevano la precisa intenzione di rompere con gli schemi tradizionali della nostra letteratura ed intraprendere nuove strade, avendo come riferimento alcuni paesi europei (Francia e Germania in primis). L'ultimo numero di Lirica uscì nel dicembre del 1913. Ecco, infine, tre testi poetici molto belli, pubblicati per la prima volta sulla rivista romana.





Da "APPUNTI"

di Aurelio Enrico Saffi (1890-1976)


Oh, dalla terrazza sul mare, le vele piccole e nebbiose di lontananza! - le più lontane vele che tocca lo sguardo.

A l'oriente declina il temporale e il giorno battuto e stanco si adagia in un poco di sole, tenero, arridente, prima che muoia:

da l'oriente escono, vengono nel sole le vele,

verso la terra ferrigna, sfavillante di fuochi al tramonto;

e ciascuna porta cuori solidi e tranquilli;

i marinai contenti di riabbracciare, sotto le prime stelle, le loro donne rassicurate.


(da «Lirica», aprile 1912)





ADDORMENTARSI

di Arturo Onofri (1885-1928)


Vaghe torme d'ombre intorno al letto;

per l'insonnia buia i miei ricordi

nel silenzio fanno a colpi sordi

un rullìo di febbre sul mio petto…

    Siete voi, che in un attimo ho scorte,

    ombre antiche d'amore e di morte?


Non intendo che il rullìo febbrile

annegarsi nel fluir dell'ore;

ma improvviso, in fondo al muto orrore,

scatta il bronzeo cuor d'un campanile:

    campanile che batte in eterno,

    cuore d'angelo, cuore d'inferno.


Ora ascolto: il tempo a mano a mano

goccia al fondo dell'eternità;

senza fine cade, e niuno sa

che l'abisso è il mio mistero umano.

    Campanile, non battere più!

    L'orologio son io, non sei tu.


Una stilla è ogni attimo, che piove

nel padule nero del ricordo,

e, cadendo in un gocciolìo sordo,

lo rincrespa di speranze nuove.

    Ora taci, stillìo secolare!

    Sono stanco del troppo sperare.


In silenzio un roseo velo cala

sui miei occhi, nella notte fissi,

ma nel fondo di fiorenti abissi

mi trasogno allo svolar d'un’ala,

    e quest'ombra di morte mi culla

    nel riposo infinito del nulla…


(da «Lirica», giugno 1912)





HOMO SUM

di Vincenzo Cardarelli (Nazzareno Caldarelli, 1887-1959)


Io pago tutto. 

Non c'è mica un peccato 

che io non abbia, finora, 

debitamente scontato. 

Ho un organismo vitale 

che vuole, contrariamente 

al Diavolo di Goethe, 

vuole il Bene e fa il Male. 

Pensate quale puntualità, 

e che liste di conti da saldare! 

Ai cursori d'Iddio

l'uscio della mia casa è sempre aperto. 

E spesso delle loro intimazioni, 

prevenendole, 

io stesso senz'attenderli mi faccio esecutore. 

Sì che quand'essi giungono, 

ritto sull'uscio, li fermo 

e li rimando dicendo: 

- Amici, sono anch'io 

cursore e complice d'Iddio. 

Che dunque venite a fare 

se il debito è già pagato? -

Qualche teologo in tale

inammissibile complicità

sillogizzando

pone il principio della santità.

Beate le terrestri creature

- vuol dire il teologo -

che non peccano senza martirio,

che accenderanno, per uscirne,

fuochi nella gran selva;

e quivi con essa bruceranno,

olocausto docile a Dio,

senza pensare a fughe di Caino!

Quanto a me volentieri

mi piacerebbe peccare

senza pentimento,

trincare senza scotto,

rompere il fato d'Iddio

con fortunate licenze;

e vi dico in verità

che senza indugio darei,

se pur l'avessi,

a qualche persona proba

che stima d'averla e non l'ha,

l'anima mia di santo,

per un poco d'allegra umanità.

 

(da «Lirica», dicembre 1913)


domenica 8 settembre 2024

I ricordi nella poesia italiana decadente e simbolista

 A volte, questi ricordi che affiorano, hanno le caratteristiche di una favola (Ugo Betti), oppure sono molto vaghi (D’Annunzio, Mastri e Sinadinò); altre volte somigliano a sogni di un “incarnato spirito” (Gianelli). Nella poesia Le memorie, di Tito Marrone, i “morti” ricordi rivivono se qualcuno si prova a suonare un vecchio clavicembalo. Ci sono anche i ricordi tristi (Giorgieri Contri e Marcellusi) che, in alcuni casi, riguardano amori possibili mai realizzatisi. Spesso però, i poeti decadenti e simbolisti italiani si lasciano andare sulla corrente dei ricordi più lontani e più belli, inerenti all’amore e all’infanzia soprattutto; e, insieme al benessere mentale che essi suscitano in loro, emerge una amara consapevolezza che quei tempi felici evocati dalla memoria ancor viva, si sono dissolti per sempre; alcuni, come il Bongioanni, si chiedono il motivo per cui si vadano a cercare dei ricordi meravigliosi ma strazianti, perché alla fin fine non fanno altro che acuire il dolore di chi sa che il passato non può più ritornare; Civinini, invece, pur rievocando con rimpianto le memorie della sua infanzia, si riconsola pensando che, nel presente, in lui ancora esistono dei sogni e delle speranze simili a quelle ormai perdute. Sia Gabriele D’Annunzio che Italo Dalmatico, infine, ipotizzano la possibilità di dimenticare i ricordi di un passato amoroso che gli causa troppa sofferenza.

 

 

Poesie sull’argomento

 

Mario Adobati: "L'inutule ritorno" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).

Diego Angeli: "Quello che è stato" in "La città di Vita" (1896).

Diego Angeli: "San Saba" in "L'Oratorio d'Amore" (1904).

Antonio Beltramelli: "Nostalgie" in "I Canti di Faunus" (1908).

Ugo Betti: "I ricordi" in "Il Re pensieroso" (1922).

Bino Binazzi: "Le nostre Pasque" in "La via della ricchezza" (1919).

Fausto M. Bongioanni: "Via Giulio, di sera" in "Venti poesie" (1924).

Carlo Chiaves: "Ne l'ora de le memorie" in «La Donna», febbraio 1910.

Guelfo Civinini: "Memorie dell'infanzia" in "L'Urna" (1900).

Guelfo Civinini: "Riverenza d'un ricordo veneziano" in "I sentieri e le nuvole" (1911).

Lucio D'Ambra: "Il rondò de i narcisi" in "Le Sottili Pene" (1896).

Italo Dalmatico: "Forse io di te mi scorderò..." in "Juvenilia" (1903).

Gabriele D'Annunzio: "Un ricordo" (3 poesie) in "Poema paradisiaco" (1893).

Giuseppe Del Guasta: "In questi occasi pallidi, sfumati" in «Le Varietà», febbraio 1894.

Francesco Gaeta: "Settimana santa" in "Poesie d'amore" (1920).

Diego Garoglio: "Ricordi e sogni" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).

Giulio Gianelli: "Ricordo di vita anteriore" in "Intimi vangeli" (1908).

Cosimo Giorgieri Contri: "Un'oasi" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).

Cosimo Giorgieri Contri: "Un'ora" in «Nuova Antologia», luglio 1906.

Corrado Govoni: "Natale" in "Le Fiale" (1903).

Giuseppe Lipparini: "Madame Chrysanthème" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).

Enzo Marcellusi: "Ricordo d'un pomeriggio piovoso" in "Il giardino dei supplizi" (1909).

Tito Marrone: "Ricordi la marina" in "Le rime del commiato" (1901).

Tito Marrone: "Le memorie" in "Liriche" (1904).

Fausto Maria Martini: "I giorni" in "Poesie provinciali" (1910).

Pietro Mastri: "Contrasto" in "L'arcobaleno" (1900).

Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: "Sogni d'ottobre" in "Il Libro dei Frammenti" (1895).

Agostino john Sinadinò: "Lied delle atonie" in "Melodie" (1900).

Alberto Sormani: "Ultima passeggiata" in «Cronaca d'Arte», aprile 1892.

Giovanni Tecchio: "Aurora" in "Mysterium" (1894).

Diego Valeri: "Dove fu? quando?..." in "Umana" (1916).

Giuseppe Villaroel: "Veglia" e "Le cose morte che tornano" in "La tavolozza e l'oboe" (1918).

 

 

 

Testi

 

 

QUELLO CHE È STATO

di Diego Angeli (1869-1937)

 

O memorie lontane come in bianche

stanze deserte e non aperte mai,

stanze chiuse ove il sol filtra dai fori

delle finestre. O mie memorie stanche,

laghi pieni di gigli ove già mai

nessuna man recise i bianchi fiori!

 

Il était un petit navire: oh vana

cantilena che i miei sonni cullava

aprendo agli occhi miraggi profondi:

navigli in rotta verso una lontana

isola, in mezzo ai flutti, ove raggiava

un sole ignoto, sopra ignoti mondi.

 

Memorie della Bella che a traverso

il bosco d'elci addussi in mia vittoria

mentre i merli fischiavano tra i rami,

della Bella cui pur ridea nel verso

l'illusione di futura gloria

e dolce cedeva ai miei richiami.

 

Memorie delle prime lotte quando

alzavo il capo in vano alla conquista

ultima, d'ogni più superba cima

e non vedevo il sangue che balzando

fuor dalle piaghe mi rendea la trista

battaglia inane, di quella ora prima.

 

O memorie, deserto ove già sono

le tombe delle cose che avverranno

e che saranno, come un tempo fu,

deserto immenso ove non giunge il suono

di voce umana e dove a schiera vanno

tutti i pensieri che non tornan più!

 

(da "La Città di Vita", Premiata Tip. dell'Umbria, Spoleto 1896, pp. 8-9)

 

 

 

 

RICORDI LA MARINA

di Tito Marrone (1882-1967)

 

Ricordi la marina

solitaria, quel giorno,

co' i brulli alberi a torno

umidi di pruina?

 

Ci rivolgemmo al sole

igneo su Favignana.

Due barche lente e sole

solcavan la fiumana

d'oro su l'acqua piana,

a 'l vespro novembrale.

L'anima autunnale

fu de 'l loco regina.

 

Arse l'estremo cielo

nel chiarore vermiglio.

La luna (parve un giglio

tenero su lo stelo,

 

un arco senza telo

apparso a l'orizzonte)

con la pallida fronte

vegliava la marina.

 

(da "Antologia poetica", Guida, Napoli 1974, p. 68)

 

Fernand Khnopff, "Memories"
(da questo sito web)



domenica 1 settembre 2024

Antologie: «Officina»

 

«Officina» (sottotitolo: Cultura, letteratura e politica negli anni cinquanta) è il titolo di un’antologia dedicata ad una delle migliori riviste letterarie italiane del secondo Novecento. Officina ebbe breve ma intensissima vita - i suoi numeri uscirono tra il 1955 ed il 1959 - e potè avvalersi di redattori e collaboratori molto prestigiosi; questi infatti furono inizialmente Francesco Leonetti, Pier Paolo Pasolini e Roberto Roversi; col tempo, ad essi si aggiunsero Franco Fortini, Angelo Romanò e Gianni Scalia. Nata come «Fascicolo bimestrale di poesia», in quella che potremmo definire la sua prima parte (1955-1958), fu pubblicata dalle Arti Grafiche Calderini; la seconda, invece, di brevissima durata (marzo-giugno 1959), vide la luce grazie all’editore Bompiani. Nelle pagine di Officina, oltre ai versi, alle prose e ai saggi dei collaboratori e dei redattori sopra citati, comparvero anche scritti di vario genere di altri scrittori famosi, come Clemente Rebora, Camillo Sbarbaro, Giuseppe Ungaretti, Carlo Emilio Gadda, Sandro Penna, Italo Calvino, Attilio Bertolucci, Mario Luzi, Giorgio Bassani, Paolo Volponi, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti e altri ancora. Ma per meglio chiarire il contenuto di questa antologia (pubblicata per la prima volta da Einaudi di Torino nel 1975), ho trascritto due frammenti esplicativi; il primo è tratto da un Nota del curatore Gian Carlo Ferretti, che precede il saggio introduttivo dello stesso:

 

Questo lavoro si propone anzitutto di valutare il significato che «Officina» ebbe nella seconda metà degli anni cinquanta (e risulta oggi) nel suo insieme, considerando perciò l’analisi delle sue singole personalità e dei suoi vari versanti sempre in funzione di quel significato più generale; e, ancora, esso si propone anzitutto di cogliere i nuclei ideali e culturali e metodologici e letterari del discorso complessivo della rivista, considerando perciò la verifica di ogni posizione o testo particolare sempre in funzione di quel discorso. Tutto questo con un’impostazione che vuol essere al tempo stesso informativa e sistematica, ma anche calata nel vivo del dibattito critico attuale. In tal senso si muovono l’introduzione, l’antologia, i vari apparati e le appendici degli inediti. Nell’impianto generale, perciò, e nella cura delle sezioni dei testi ripubblicati o pubblicati per la prima volta, si è cercato di applicare un criterio che fosse al tempo stesso agevole e pratico, ma rigoroso e documentato. […]¹

 

Il secondo frammento, che trascrivo interamente, fa parte della “Scheda bibliografica Einaudi”, ovvero un foglio di piccole dimensioni presente all’interno della seconda edizione (1978) di quest’antologia:

 

Le esperienze letterarie e culturali e politiche degli anni cinquanta, sono oggi al centro di un diffuso interesse. E questo libro porta appunto un prezioso contributo di riflessione storico-critica e di attualizzazione problematica e di documentazione in tal senso, perché ricostruisce per la prima volta una delle vicende intellettuali più vivaci di quegli anni, e perché al tempo stesso interviene attivamente su nodi che sono ancora da sciogliere.

«Officina», infatti, non rappresentò soltanto il terreno d’incontro (e di scontro) tra personalità che avrebbero avuto, in diverso modo, una parte sempre più rilevante nella vita culturale italiana (Fortini e Leonetti, Pasolini e Romanò, Roversi e Scalia, Calvino, Sanguineti e Volponi, oltre a certi «ospiti», come Gadda e Luzi e altri ancora); ma segnò anche una fase di fondamentale trapasso (1955-59), le cui implicazioni sono arrivate a investire gli stessi anni sessanta e settanta. Dall’«impegno» alla crisi del 1956, all’avvento del neocapitalismo, dallo storicismo alla stilistica ai primi apporti strutturalisti, dal crocianesimo a Gramsci a Auerbach, da Lukacs a Della Volpe a Barthes e Goldmann, dal «marxismo critico» all’esistenzialismo al neopositivismo, dall’antinovecentismo al realismo allo sperimentalismo, e così via: «Officina» si misurò con tutti i principali problemi (ideali e culturali, metodologici e letterari) di quel periodo, portando nel dibattito proposte originali e talora anche anticipatrici, e sviluppando – attraverso la sua concomitante ricerca poetica e critica – il tentativo più consapevole e avanzato di vivere intimamente le contraddizioni, gli attriti e le difficoltà del rapporto tra privato e pubblico, io e storia, linguaggio e realtà.

Rivista insieme antologica e di gruppo, eclettica e di tendenza, neoaccademica e militante, divisa tra vocazione artigiana e tensione scientifica, tra consapevole istanza extraletteraria e tenace letterarietà, tra rifiuto del mondo borghese e attrazione per esso, «Officina» concluse il suo ciclo proprio nel momento in cui l’intero orizzonte politico e culturale italiano cominciava a cambiare profondamente, e proprio nel momento in cui si profilava la stagione trionfante della nuova avanguardia. Ma la sua travagliata esperienza sarebbe ben presto apparsa ricca di insegnamenti fecondi e di indicazioni attive, al di là di ritardi e limiti e irrisolti contrasti (e, talora, anche grazie ad essi).

Impostato su un organico saggio introduttivo, su una vasta scelta di testi della rivista (tanto più utile, quanto più introvabili sono ormai da tempo i suoi tredici fascicoli), e su una serie di esaurienti apparati, questo libro si vale largamente delle dirette testimonianze attuali dei protagonisti e presenta alcuni documenti inediti di vivo interesse.

 

In conclusione, ecco l’elenco dei nomi - in ordine alfabetico - degli scrittori presenti nella sezione antologica (coloro che vi compaiono con dei versi sono contrassegnati con un asterisco).

 


«Officina»

Cultura, letteratura e politica negli anni cinquanta

 

Attilio Bertolucci*, Italo Calvino, Massimo Ferretti*, Franco Fortini*, Carlo Emilio Gadda, Francesco Leonetti*, Mario Luzi*, Elio Pagliarani*, Pier Paolo Pasolini*, Clemente Maria Rebora*, Angelo Romanò, Roberto Roversi*, Edoardo Sanguineti*, Camillo Sbarbaro, Gianni Scalia, Paolo Volponi*

 

NOTE

1)     Da «Officina», Einaudi, Torino 1978, p. XI.