domenica 15 aprile 2018

Pensieri e poesie sulla morte


Non so se provi più invidia o più ammirazione nei confronti di coloro che, sorretti da una fede molto salda, credono in un'altra vita dopo la morte. Io, per quanti ragionamenti faccia, arrivo sempre alla conclusione che la nostra esistenza si concluda con la nostra morte. Eppure sono certo del fatto che, tra le tante persone che credono nell'aldilà, ve ne siano d'intelligenti. Ho sentito infinite dichiarazioni, ho letto svariati scritti di argute menti umane che asserivano con certezza l'esistenza di una vita ulteriore dopo la morte, ma mai mi hanno convinto e tutt'ora non nutro alcuna speranza di vivere, dopo la mia dipartita, in un'aldilà dove, magari, sia possibile incontrare di nuovo le persone più care che ho amato e che ho perso. Comunque stiano le cose, questo preambolo serve per introdurre le due poesie che riporto qui sotto e che trattano l'argomento della morte e del post mortem. Gli autori sono due grandi poeti italiani del Novecento: Cesare Pavese e Alessandro Parronchi: il primo si limita a prefigurare, in modo decisamente sui generis, il momento del decesso, identificando la futura morte con gli occhi della donna amata; il secondo invece, partendo da un dialogo avuto con una non ben precisata signora, confessa di avere molti dubbi sulla possibilità che ci sia qualcos'altro oltre la vita umana, seppure egli sia un credente. Riguardo a quest'ultima poesia, è da sottolineare la curiosità del poeta nei confronti dell'estremo evento; curiosità che, a suo dire, è superiore alla paura. Ora, se, a pensarci bene, la paura della morte non ha alcun senso, perché in natura è un evento come qualsiasi altro, che coinvolge tutti gli esseri viventi, la curiosità può esistere solo se, come nel caso di Parronchi, ci sia una speranza di sopravvivere, in qualche modo, alla propria morte. Ma, ritornando alla paura, penso che sia giustificata in quanto, il periodo che precede la morte, è spesso caratterizzato da sofferenze più o meno intense. Ciò che terrorizza di più, tutto sommato, non è la morte in sé stessa, ma il suo tremendo annunciarsi.



VERRÀ LA MORTE E AVRÀ I TUOI OCCHI
di Cesare Pavese

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Cosí li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

(da "Poesie del disamore", Einaudi, Torino 1982)




LEI, SIGNORA, HA PAURA DELLA MORTE?
di Alessandro Parronchi

- Lei, signora, ha paura della morte?
- Moltissimo! E lei no?
- Le dirò che la temo, ma in me domina
più forte un senso di curiosità.
Solo quando potrò
affacciarmi sull'aldilà saprò
se sarò ancora. Forse troverò
- privo di occhi, di bocca, di orecchi -
solo il buio, saldato, della cassa
che mi contiene. O forse
qualcosa come una più strana luce
- la luce che ci illumina nei sogni -
mi sarà intorno. Fra chi crede e chi non crede
non può il calcolo delle probabilità
assicurare più della metà
agli uni e agli altri. Ed io resto col dubbio
se rimediare in qualche modo sia possibile
agli errori compiuti in vita, se
rimanga ancora un altro tempo, eterno
in cui gli esseri amati sopravvivano.
E, almeno in chi ha lottato fino in fondo
- se anche s'indebolirono già in vita -
il fuoco non s'estingua
la volontà non ceda
il disinganno non distrugga
la sete di giustizia non s'arrenda.

(da "Le poesie", Polistampa, Firenze 2000)


Jean Francois Millet, "Death and the woodcutter"


Nessun commento:

Posta un commento