La solitudine,
rispetto alla misantropia, è un sentimento più dolente; se il misantropo va
alla ricerca della solitudine perché infastidito dall'umanità, il solo o
solitario si ritrova in tale condizione senza volerlo: perché respinto, per
qualche motivo, da tutti, oppure perché incapace di trovare almeno una persona
che possa soddisfare le sue esigenze, con cui possa trovare un minimo di
accordo e di complicità. Da qui nasce il dolore dell'uomo e della donna che si sentono soli; ma questo tormento a volte si stempera in dolce malinconia o in compiaciuto vittimismo. Ecco allora
dieci poesie di dieci poeti italiani, scritte e pubblicate durante il XIX
secolo (fa eccezione quella del Camerana, che comunque porta la data del 1885), in cui vengono esternati questi
sentimenti di sofferenza; a volte essi sono autobiografici, a volte no, ma
comunque ritengo che tutti quelli riportati di seguito siano dei versi di buon
valore, degni di essere letti e riletti da anime sensibili, come certo saranno
tutte quelle che si soffermeranno su questo post.
SOLITUDINE
di Bruna (pseud. di Laura
Clementina Maiocchi, 1866-1945)
Ho pianto molto; ora
una pace blanda,
quasi mortale, scende
sul mio core.
Parmi di camminare in
una landa
vasta, silenzïosa,
senza un fiore.
Ma dove, dove, vado?
che mai spero
così sola e dolente
ne l'intenso
silenzio? Nulla so
del gran mistero
che mi circonda, ed
altro più non penso.
Il mio pensiero, ch'è
dolore, tace;
pietoso tace perchè
molto ho pianto:
io vo, come dormendo,
in questa pace.
Ed è il mio core un
ermo campo santo.
(Da "In
solitudine", Cappelli, Rocca S. Casciano, 1898)
LA NERA SOLITUDINE
di Giovanni Camerana
(1845-1905)
La nera solitudine
alla nera
solitudine;- il sogno
alto al profondo
pensier;- la sera che
è triste, alla sera
che piange; - al
mondo infranto, il bieco mondo.
(Da
"Versi", Streglio, Torino 1907)
LA BUONA VOCE
di Gabriele
D'Annunzio (1863-1938)
Sei solo. D'altro più
non ti sovviene.
E d'altro più non ti
sovvenga mai!
Sul tuo cuore fluisca
l'oblìo lene.
Ti sien dolci questi
umili sentieri.
Ancóra qualche rosa è
ne' rosai.
Sarà domani quel che
non fu ieri.
Domani prenderà novo
coraggio
e nova forza l'anima
che teme.
A la prima rugiada,
al primo raggio
non s'alza l'erba che
il tuo piede preme?
(Da "Poema
paradisiaco", Treves, Milano 1893)
LA VITA SOLITARIA
di Giacomo Leopardi
(1798-1837)
La mattutina pioggia,
allor che l'ale
Battendo esulta nella
chiusa stanza
La gallinella, ed al
balcon s'affaccia
L'abitator de' campi,
e il Sol che nasce
I suoi tremuli rai
fra le cadenti
Stille saetta, alla
capanna mia
Dolcemente
picchiando, mi risveglia;
E sorgo, e i lievi
nugoletti, e il primo
Degli augelli
susurro, e l'aura fresca,
E le ridenti piagge
benedico:
Poiché voi, cittadine
infauste mura,
Vidi e conobbi assai,
là dove segue
Odio al dolor
compagno; e doloroso
Io vivo, e tal morrò,
deh tosto! Alcuna
Benché scarsa pietà
pur mi dimostra
Natura in questi
lochi, un giorno oh quanto
Verso me più cortese!
E tu pur volgi
Dai miseri lo
sguardo; e tu, sdegnando
Le sciagure e gli
affanni, alla reina
Felicità servi, o
natura. In cielo,
In terra amico
agl'infelici alcuno
E rifugio non resta altro che il ferro.
Talor m'assido in
solitaria parte,
Sovra un rialto, al
margine d'un lago
Di taciturne piante
incoronato.
Ivi, quando il
meriggio in ciel si volve,
La sua tranquilla
imago il Sol dipinge,
Ed erba o foglia non
si crolla al vento,
E non onda
incresparsi, e non cicala
Strider, né batter
penna augello in ramo,
Né farfalla ronzar,
né voce o moto
Da presso né da lunge
odi né vedi.
Tien quelle rive
altissima quiete;
Ond'io quasi me
stesso e il mondo obblio
Sedendo immoto; e già
mi par che sciolte
Giaccian le membra
mie, né spirto o senso
Più le commova, e lor
quiete antica
Co' silenzi del loco si confonda.
Amore, amore, assai
lungi volasti
Dal petto mio, che fu
sì caldo un giorno,
Anzi rovente. Con sua
fredda mano
Lo strinse la
sciaura, e in ghiaccio è volto
Nel fior degli anni.
Mi sovvien del tempo
Che mi scendesti in
seno. Era quel dolce
E irrevocabil tempo,
allor che s'apre
Al guardo giovanil
questa infelice
Scena del mondo, e
gli sorride in vista
Di paradiso. Al
garzoncello il core
Di vergine speranza e
di desio
Balza nel petto; e
già s'accinge all'opra
Di questa vita come a
danza o gioco
Il misero mortal. Ma
non sì tosto,
Amor, di te
m'accorsi, e il viver mio
Fortuna avea già
rotto, ed a questi occhi
Non altro convenia
che il pianger sempre.
Pur se talvolta per
le piagge apriche,
Su la tacita aurora o
quando al sole
Brillano i tetti e i
poggi e le campagne,
Scontro di vaga
donzelletta il viso;
O qualor nella
placida quiete
D'estiva notte, il
vagabondo passo
Di rincontro alle
ville soffermando,
L'erma terra
contemplo, e di fanciulla
Che all'opre di sua
man la notte aggiunge
Odo sonar nelle
romite stanze
L'arguto canto; a
palpitar si move
Questo mio cor di
sasso: ahi, ma ritorna
Tosto al ferreo
sopor; ch'è fatto estrano
Ogni moto soave al petto mio.
O cara luna, al cui
tranquillo raggio
Danzan le lepri nelle
selve; e duolsi
Alla mattina il
cacciator, che trova
L'orme intricate e
false, e dai covili
Error vario lo svia;
salve, o benigna
Delle notti reina.
Infesto scende
Il raggio tuo fra
macchie e balze o dentro
A deserti edifici, in
su l'acciaro
Del pallido ladron
ch'a teso orecchio
Il fragor delle rote
e de' cavalli
Da lungi osserva o il
calpestio de' piedi
Su la tacita via;
poscia improvviso
Col suon dell'armi e
con la rauca voce
E col funereo ceffo
il core agghiaccia
Al passegger, cui
semivivo e nudo
Lascia in breve tra'
sassi. Infesto occorre
Per le contrade
cittadine il bianco
Tuo lume al drudo
vil, che degli alberghi
Va radendo le mura e
la secreta
Ombra seguendo, e
resta, e si spaura
Delle ardenti lucerne
e degli aperti
Balconi. Infesto alle
malvage menti,
A me sempre benigno
il tuo cospetto
Sarà per queste
piagge, ove non altro
Che lieti colli e
spaziosi campi
M'apri alla vista. Ed
ancor io soleva,
Bench'innocente io
fossi, il tuo vezzoso
Raggio accusar negli
abitati lochi,
Quand'ei m'offriva al
guardo umano, e quando
Scopriva umani
aspetti al guardo mio.
Or sempre loderollo,
o ch'io ti miri
Veleggiar tra le
nubi, o che serena
Dominatrice
dell'etereo campo,
Questa flebil
riguardi umana sede.
Me spesso rivedrai
solingo e muto
Errar pe' boschi e
per le verdi rive,
O seder sovra l'erbe,
assai contento
Se core e lena a
sospirar m'avanza.
(Da
"Canti", Le Monnier, Firenze 1860)
NEBBIE
di Ada Negri
(1870-1944)
Soffro. — Lontan
lontano
Le nebbie sonnolente
Salgono dal tacente
Piano.
Alto gracchiando, i
corvi,
Fidati all'ali nere,
Traversan le
brughiere
Torvi.
Dell'aere ai morsi
crudi
Gli addolorati
tronchi
Offron, pregando, i
bronchi
Nudi.
Come ho freddo! Son
sola;
Pel grigio ciel
sospinto
Un gemito d'estinto
Vola;
E mi ripete: Vieni,
È buia la vallata.
O triste, o disamata.
Vieni!...
(Da
"Fatalità", Treves, Milano 1892)
AL FUOCO
di Giovanni Pascoli
(1855-1912)
Dorme il vecchio
avanti i ciocchi.
Sogna un nuvolo di
bimbi,
che cinguetta. Il
ceppo al foco
russa roco.
Dorme anch’esso. A
tutti i nocchi
sogna grappoli e
corimbi.
Rosei pendono
nell’aria
solitaria.
Bianchi i bimbi tra
il fogliame,
su su, a quel roseo
sorriso
vanno. Il ceppo occhi
di brace
apre, e tace.
Ecco pendulo lo
sciame
dal grande albero
improvviso,
su su. Il vecchio nel
cor teme,
guarda e geme.
Ogni bimbo al suo
fiore alza
la mano e... scivola
e va.
Sbarra il ceppo la
pupilla:
crocchia e brilla.
E il vegliardo, al
crocchiar, balza
nella rotta oscurità.
Gira lento gli occhi.
Solo!
solo! solo!
(Da "Myricae",
Giusti, Livorno 1894)
ISOLAMENTO
di Giovanni Prati
(1815-1884)
Amo il fiore se,
germina soletto,
Più che se adorna di
mill'altri il suolo;
Amo il ruscello, che
per picciol letto
Passa ne'campi, e
l'uccellin che il volo
Muta per poche
fronde, e fuor del petto,
Versa cantando
qualche antico duolo;
Ed amo l'astro che
nell'aer schietto
Senz'altra compagnia
brilla nel polo.
Amo la nuvoletta, che
si tinge
d'una languida
porpora, e non posa
Per l'ignoto desio
che la sospinge;
Mi prende amor d'ogni
isolata cosa,
Perché l'anima mia vi
si dipinge
Isolata in eterno e
dolorosa.
(Da "Memorie e
lacrime", Marietti, Torino 1844)
IL TRENO HA FISCHIATO...
di Giacinto Ricci
Signorini (1861-1893)
Il treno ha
fischiato: fremendo
Sotto l'ampia sonora
tettoia
S'arresta; di un
balzo discendo,
E mi canta nel cuore
la gioia.
Veloce mi volgo
all'uscita,
Guardo: dietro i
cancelli lucenti
Mi aspetti con ansia
infinita,
E mi accenni dagli
occhi ridenti.
Così m'era dolce
l'arrivo
Nel passato: nessuno
ora viene
Che mi attenda
all'uscita giulivo,
Che mi baci e mi
dica: Stai bene?
Cammino tra il
chiasso a rilento,
Ma non odo il tuo
riso giocondo:
Ho voglia di pianger:
mi sento
Tanto solo e perduto
nel mondo.
(Da "Thanatos",
Società coop. per l'arte tipografica, Cesena 1892)
OH PICCOLO UCCELLO
DAGLI OCCHI NERI...
di Igino Ugo
Tarchetti (1839-1869)
Oh piccolo uccello
dagli occhi neri; tu vai accarezzando colle ali le onde dell’Oceano, e canti
lietamente la tua canzone nella solitudine. Entrambi siamo soli ed abbandonati
in questo deserto; una profonda quiete domina sulla natura, ma questo silenzio
non influisce sul mio cuore. Esso batte assai forte, o piccolo uccello dagli
occhi neri.
Io vengo quivi a
versare le mie lagrime , e a nascondere agli uomini il rossore della mia
debolezza. - Amare senza essere amato, - desideri inesauditi - sogni vani e
impotenti, e giovinezza senza speranze. Io canto i fiori recisi dalla mia
primavera, e tu canti lietamente la tua canzone, o piccolo uccello dagli occhi
neri.
Vorrei che una barca
sul mare, e la mia fanciulla tra le braccia, e un ultimo addio alla mia terra
natale. Forse, ed allora mi sembrerebbe meno desolata la vita. Ma ohimè! nessun
conforto io posso attendermi dagli uomini, se i miei lamenti non valgono pure
ad interrompere la tua canzone, o piccolo uccello dagli occhi neri.
Sí canta lietamente,
o piccolo uccello, uccello felice delle montagne. Io vorrei teco dividere il
mio destino. Vorrei io pure avere le ali, per vivere lontano dalla terra, e la
tua incostanza per non amare, e la brevità della tua vita per piangere di meno.
Ma addio, tu mi hai fatto sentire la tua canzone sopra la riva del mare, e una
grande tempesta hai suscitata nel mio cuore, o piccolo uccello dagli occhi
neri.
(Da "Disjecta",
Zanichelli, Bologna 1879)
SPLEEN
di Remigio Zena
(pseud. di Gaspare Invrea, 1850-1917)
Vibra, o sol della
poesia,
Vibra un raggio
d'armonia
Sulla negra anima
mia.
Della noia tra le
lotte
La caligine
m'inghiotte
D'un'opaca
mezzanotte.
Nel chiarore
vacillante
Della lampa
agonizzante
Son qui solo
brancolante
E alla Musa mia
sorella
Chiedo invan la
strofa bella,
Ma la Musa si
ribella,
Non discende a darmi
aiuto,
La sua man sdegna il
lïuto,
E il suo labbro resta
muto.
Altra musica non
sento
Che la musica del
vento
In risposta al mio
lamento.
Privi che l'ultimo
sbadiglio
Mandi il lume, in
questo esiglio
Entra tu, sole
vermiglio.
Vibra un raggio
d'armonia,
Santo sol della
poesia,
Sulla negra anima
mia.
(Da "Poesie
grigie", Tip. del r. I. de' sordo-muti, Genova 1880)
William-Adolphe Bouguereau, "Seule au monde" |
A leggere Leopardi sembrerebbe che il vero misantropo non è colui che si isola dal mondo, ma chi invece vive tra gli uomini. Infatti così scriveva:"Chi pratica poco cogli uomini, difficilmente è misantropo. I veri misantropi non si trovano nella solitudine, si trovano nel mondo. Lodan quella, sí bene; ma vivono in questo. E se un che sia tale si ritira dal mondo, perde la misantropia nella solitudine".
RispondiEliminaPensiero originale e forse veritiero. Forse, chi ha in dispregio l'umanità, non è detto che viva lontano da essa. Tutt'altra cosa è invece colui che ama la solitudine ma non per questo odia l'umanità. Grazie per aver ricordato questo interessante concetto leopardiano.
EliminaApprezzo molto la dimensione della solitudine": il verso di D'Annunzio sui rosai e'impagabile.
RispondiEliminaSì, molte poesie della raccolta da cui è tratta la poesia di D'Annunzio: "Poema paradisiaco", posseggono versi indimenticabili. In tempi molto brevi pubblicherò un altro post sulla solitudine, relativo però alla poesia italiana novecentesca.
Elimina"A nascondere agli uomini il rossore della mia debolezza...Esiste forse solitudine più grande? Più incompresa e afona?
RispondiEliminaNon mi sento di fare un commento Amo la poesia . Per me è lo sfogo dell'anima :)}
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