domenica 6 giugno 2021

Dio in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 

Tra i temi più ricorrenti nei testi poetici di tutti i tempi e di tutte le parti del mondo, c'è senz'altro quello relativo alla possibile esistenza di uno o più esseri ultraterreni che siano gli artefici della vita di ogni entità umana, animale o vegetale. Esistono poesie bellissime su questo argomento, sia che vogliano in qualche modo dimostrare l'esistenza di una divinità, sia che intendano negarla seppure a malincuore. Qui sono presenti dieci poesie di poeti non molto noti, in verità, che scrissero e pubblicarono versi durante il XX secolo; come al solito, ho scelto soltanto poesie italiane, cercando una volta di più, tra i volumi ormai dimenticati, o magari del tutto ignorati, qualche piccolo capolavoro. Si noterà, leggendo questi versi, che domina il dubbio un po' in tutte le voci poetiche selezionate, e lo stanno a dimostrare i "forse", gli "eppure" che iniziano alcuni componimenti poetici, così come i tanti punti interrogativi sparsi qua e là, significativi del fatto che, pure in chi crede fermamente, esistano delle incertezze non risolvibili. D'altronde, anch'io, nel mio insignificante piccolo, non ho mai risolto l'eterno dilemma per eccellenza, che accomuna gran parte dell'umanità (beato chi ha delle certezze assolute!), né, molto probabilmente, lo risolverò fino alla fine dei miei giorni.

 

 

DIO IN 10 POESIE DI 10 POETI ITALIANI DEL XX SECOLO

 

 

Da "NOTTURNO"

di Orlando Pier Capponi (1917 - ?)

 

Ora che tutto è pace, ora che il mondo

vertiginoso quasi è una memoria

(affaticata la città di sole

s'è distesa daccanto al cimitero)

in me raccolto, spingermi sull'orlo

dell'orbite m'è caro; nell'interno

buio vagare, a limitari ignoti,

con lampi di pensiero finché, stanca,

sogna un approdo l'anima che getta,

nel vuoto esausto, un'àncora che è sempre

ricordo d'un'immagine del mondo.

 

Lassù, svelato, non altro che cielo;

e la luce degli occhi, se protesa,

tocca montagne o sfiora oceani d'acque.

 

(In quale sogno apparvero le stelle,

in quale brama fruttuosa la Terra,

in quale arsura delle sabbie il mare?).

 

In te, potenza assurda, tu puoi tutto,

creatura viva in brevi giorni e notti:

ilare nume cavalchi un pianeta;

forza offesa squilibri ora il sistema.

 

Dunque chi sei, quale la tua legge?

 

(da "Processo al dolore", De Luca, Roma 1970, p. 38)

 

 

 

 

NON MORTE...

di Francesco Carchedi (1909-1987)

 

Già inoltra l'inverno:

qualche foglia sui platani

verde resiste, dove

una lampada la intiepidisce.

Forse speranza

raggiungerà il giubilo

di aprile: non morte,

non vita improvvisa,

ma tutt'uno, o Iddio,

nella tua luce.

 

(da "Sono sotto le stelle", Edizioni di «Dialoghi», Roma 1963, p. 91)

 

 

 

 

ALTRO NON SO DIRTI

di Giuseppe Gerini (1895 - ?)

 

Sei Tu che a notte fonda mi desti,

sei Tu che mi chiami?

Angoscia

la Tua voce, la Tua presenza.

L'essere mio, labile,

quel silenzio, vive,

cecità fissa.

Chi sono?

Dove sono?

Tu sei che mi chiami,

altro non so dirti,

altro non so gridarti che solo Tu sei

ed io vivo in Te

sommerso attimo.

 

(da "Nel mio eterno, La Vedetta d'Italia, Fiume 1940, p. 33)

 

 

 

 

TI CERCO DA MILL'ANNI...

di Luca Ghiselli (1910-1939)

 

Ti cerco da mill'anni e ancor non vedo

l'ombra dell'orma Tua.

Tanto mi sei lontano?

Non senti la mia angoscia,

da che non ho più voce,

chiamarti con il palpito del cuore?

Non senti il mio silenzio germogliare

com'acqua di fontana?

Tanto mi sei lontano?...

 

(da "Prose e versi", Pananti, Firenze 1985, p. 375)

 

 

 

 

È VIVO IL DIO DELL'ODIO

di Tommaso Landolfi (1908-1979)

 

È vivo il dio dell'odio,

Morto il dio dell'amore: questo tace

Quanto il primo schiamazza, urla e minaccia.

Oh insensibile gioia,

Oh protezione silenziosa offerta

Dal cuore amante a quello che neppure

Conosce amore, o spregia.

Quale dunque sarà la nostra sorte

Se dovremo pagare con amore

L'amore? Dio del cielo, se

L'amore non sarà premio dell'odio?

 

(da "Il tradimento", Adelphi, Milano 2014, p. 47)

 

 

 

 

DIO SIGNORE

di Bruno Nardini (1921-1990)

 

So d'un tempo che fummo insieme felici,

quando non c'erano altari

e ogni legge era colpa agli occhi di Dio.

 

Un'età prima del tempo;

e il Signore abitava con noi nelle case,

viveva la nostra vita, parlava le nostre

parole: per quella Presenza

era sacro ogni amore.

 

La udivi in te come le pause dei boschi,

ti cantava nel sangue come la schiuma

delle maree, ti correva incontro coi volti

della tua gente, era sapore nel pane

del tuo mezzogiorno.

 

Quel tempo prima dei giorni

infinito così, che pare un attimo, un punto.

 

Ora il tronco è spaccato nel mezzo,

il fiume divaricato lascia il suo letto,

nei solchi sta mùtilo il seme.

Signore, per quale peccato.

 

Per quale colpa, Signore,

uno potrebbe vivere e non vive;

l'uccello in gabbia, il ramo tagliato,

questo nostro sognare.

 

Tu che non puoi separare dall'aria gli uccelli,

dalla terra il seme, dall'amore l'amore.

Tu che ci hai creato, che hai testimoniato.

 

Dio Signore! In te si componga

ogni cerchio spezzato.

 

(da "Variazioni del sangue", Vallecchi, Firenze 1950, pp. 12-13)

 

 

 

 

SPERANZA

di Giorgio Umani (1892-1965)

 

Come impronta del pollice d'un Dio

questa mattina il Cielo,

da nubi tenuissime striato,

appariva allo sguardo.

 

In ginocchio ho pregato: Dove mena

questo duro cammino che ho prescelto?

 

Per la gola del monte ancora fosca

i rami spogli e roridi dei faggi,

agitati dal vento,

han sospirato dolcemente: Spera.

Ed il Sole nascendo

ha inondato di luce la promessa

che m'è sembrata suggellata, in Cielo,

con l'impronta del pollice d'un Dio.

 

(da "Parabole gnostiche", La Lucerna, Ancona 1925, p. 15)

 

 

 

 

FORSE...

di Nicola Vernieri (1893-1965)

 

Forse c'ignori, o Dio. Semini al vento

quest'anime, semenza d'ombra e luce,

e le abbandoni al dubbio e allo sgomento

che le incalzano; e ciò che in noi traluce

di te, del Cielo, questo pio barlume

fra il bene e il male, nelle assidue lotte,

si accende e spegne come il fioco lume

della lucciola errante nella notte.

 

Che cosa è l'uomo, o Dio, su questa terra,

in questo brulichio di fiori e vermi,

d'ali e di code, di cui porta i germi

nella sua carne inquieta? È la misura

d'ogni cosa, di Te, dell'universo,

o un granello di polvere disperso

nella rapina d'una forza oscura?

 

Ci vedi, o Dio, ci segui? In noi trasfuso

sei l'anima impigliata nel pensiero,

questo pianto di luce circonfuso,

questo palpito d'ala prigioniero;

o lontano, nel vuoto sterminato,

giochi coi mondi, e l'uomo più non vedi,

che impastato di terra e di peccato

come formica brancola ai tuoi piedi?

 

(da "Itinerario", Istituto Statale d'Arte, Urbino 1954, p. 5)

 

 

 

 

PUR NON ERANO I MONDI...

di Giuseppe Villaroel (1889-1965)

 

Pur non erano i mondi e Tu non eri

prima dell'uomo e di sua stirpe, o Dio.

Infinito di te stesso entro il finito

prendesti nome ed ebbe voce e senso,

rivelato nel verbo, il tuo prodigio.

Oltre il verbo ti annulli; anche se splende

negli spazi il respiro delle stelle.

Terrificante stato, onde, sospeso

fuori della materia, il tuo volere

resta inespresso e solamente nasce

dalla tua legge la materia e vige.

Struggente affanno del pensiero. Fòlgora

da vàcue vene e dal mortale corso

del sangue marcescibile e non pulsa

al di là della vita. O non sei, forse,

signore e schiavo di te stesso, o Dio,

universa coscienza, entro il groviglio

del filo che tu fili e tu dipani

creato e creatore unico giro?

 

(da "L'uomo e Dio", Maia, Siena 1951, p. 131)

 

 

 

 

I DESIDERI MANTERRANNO INCERTA

di Paolo Wenzel (pseud. di Pietro Spinucci, 1921 - ?)

 

I desideri manterranno incerta

la forma del mio Dio, come la luce

che rapida si muove da una cosa a l'altra

o l'altalena che tra sole e pioggia

sopra un culmine splendido ci issa

a filo delle pergole più alte,

poi rapida c'imbuca, e solo ha senso

quest'onda di sangue ripetuta;

non c'è scampo, mantenersi in alto

non dura, è un'altra morte

che misura il vuoto.

                            Così vidi

giostrare nel grecale, come fuoco

tra nube e nube, sofferente emblema

del mio spirito, il falco...

Oh poterlo legare al mio paletto

dove smania alla frusta del mai visto

il cuore: qualcosa d'imprendibile

che non s'avvera, una pena immortale

in un laccio straniero. Così chiesi

a Dio di sovrastarmi,

d'allevare incertezze, di spillare

la sua musica pazza sino in fondo.

 

(da "Antologia della poesia religiosa italiana contemporanea", Vallecchi, Firenze 1952, p. 494)

 


Michelangelo, "Creazione di Adamo" (dettaglio)
(da questa pagina web)


domenica 30 maggio 2021

La notte nella poesia italiana decadente e simbolista

 

La notte, nei versi di questi poeti, si riconduce a diverse simbologie e a svariate accezioni. Parlando di accezioni negative, viene spesso associata la buio più fitto e, di conseguenza, al mistero insondabile che in certi casi diventa terrificante. A volte i poeti ritornano bambini, e di fronte alla notte tenebrosa provano una paura enorme, invocando la presenza della madre: unica figura che può rassicurarli e proteggerli (ma in Notte di Amalia Guglielminetti, è il compagno che assume tale ruolo). Coloro che avvertono di più la disperazione esistenziale, approfittano delle ore notturne per pregare e, a volte, per supplicare un'entità ultraterrena affinché possa liberarli dal dolore provato. Ma la notte, da come viene descritta in alcuni versi, è anche il momento giusto per sfogare gli istinti più bestiali, che divengono - grazie al buio - incontrollabili ed estremamente violenti.

Passando ad un'accezione positiva, quando la notte è illuminata dalla luce lunare o, più semplicemente, da quella artificiale delle lampade - che spesso simboleggiano la fede - diventa preponderante la speranza (significativa in questo senso è la poesia di Adobati Il notturno degli infermi). Le notti estive o primaverili, ricche di luci e di profumi di vario genere, prendono la forma di un mondo trascendente, dove si svolgono riti d'altri tempi e dove sia le emozioni che i sensi umani raggiungono il loro apice. Ma la notte è anche il periodo del giorno dedicato al sonno; grazie ad esso nascono i sogni, e grazie a questi ultimi rivivono momenti quasi dimenticati e persone (ovvero fantasmi) legate ad un passato felice; malgrado ciò, c'è anche il rischio, sognando, di perdersi nelle tenebre notturne alla ricerca di qualcosa che non si vede (eloquente in tal senso è la poesia Nocturna di Giorgio Lais). Ma al poeta decadente possono bastare anche piccoli rumori non bene identificabili, il verso di un animale, un canto flebile oppure una musica suadente, per sviluppare una serie di fantasie sulle possibili e impossibili realtà notturne che, ancora una volta, si avvolgono di mistero.

 

 

 

Poesie sull'argomento

 

Mario Adobati: "Il notturno degli infermi" e "Il notturno delle sorelle" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).

Vittoria Aganoor: "Notturno" in "Leggenda eterna" (1900).

Diego Angeli: "Notturno" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).

Antonino Anile: "Notte" in "Poesie" (1921).

Sandro Baganzani: "Bufera" in "Senzanome" (1924).

Ugo Betti: "La notte" in "Il Re pensieroso" (1922).

Gustavo Botta: "Intermezzo lunare" in "Alcuni scritti" (1952).

Alfredo Catapano: "Notte" in "Interludio" (1905).

Enrico Cavacchioli: "Di notte" e "Festino ironico" in "Le ranocchie turchine" (1909).

Francesco Cazzamini Mussi: "Notturno" in "I Canti dell'adolescenza (1904-1907)" (1908).

Giovanni Alfredo Cesareo: "Musa noctis" in "Le consolatrici" (1905).

Giovanni Alfredo Cesareo: "Notte d'agosto" in "Poesie" (1912).

Guelfo Civinini: "Sonate au clair de lune" in "I sentieri e le nuvole" (1911).

Arturo Colautti: "Alla notte" in "Canti virili" (1896).

Raoul Dal Molin Ferenzona: "Notte a Bruges" in "A Ô B (Enchiridion notturno)" (1923).

Adolfo De Bosis: "I notturni" in "Amori ac Silentio e Le rime sparse" (1914).

Federico De Maria: "Sinfonia della notte" in "La Ritornata" (1932).

Luigi Donati. "Notte d'Aprile" in "Le Ballate d'Amore e di Dolore" (1897).

Luigi Donati. "Serenata" in "Poesia di passione" (1928).

Arturo Foà: "Notturno" e "Trasfigurazione della notte" in "Le vie dell'anima" (1912).

Francesco Gaeta: "Notturno del terzo mese" in "Sonetti voluttuosi e altre poesie" (1906).

Luisa Giaconi: "Dalla mia notte lontana" e "Alla notte" in "Tebaide" (1912).

Cosimo Giorgieri Contri: "Notte antica" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).

Alessandro Giribaldi: "Notturno disperato" in "Canti del prigioniero e altre liriche" (1940).

Corrado Govoni "La notte" in "Gli aborti" (1907).

Corrado Govoni: "Notte" in "Poesie elettriche" (1911).

Amalia Guglielminetti: "Notte" in "Le Seduzioni" (1909).

Giorgio Lais: "Nocturna" in "Gens Nova", XVIII, 1905.

Gian Pietro Lucini: "La notte" in "Il Libro delle Imagini terrene" (1898).

Gian Pietro Lucini: "Chorus Mysticus" in "La solita Canzone del Melibeo" (1910).

Remo Mannoni, "Notte sul Tevere" in "Rime dell'Urbe e del Suburbio" (1907).

Tito Marrone: "La notte d'inverno" in "Liriche" (1904).

Domenico Oliva: "Cara notte d'agosto, a te sospira" in "Poesie" (1889).

Arturo Onofri: "Notte di Venezia" in "Liriche" (1907).

Arturo Onofri: "Notturno" in "Canti delle oasi" (1909).

Giovanni Pascoli: "L'assiuolo" in "Myricae" (1900).

Giovanni Pascoli: "Il gelsomino notturno" in "Canti di Castelvecchio" (1903).

Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: "Notturno" in «Gazzetta del Popolo della Domenica», luglio 1891.

Antonio Rubino: "O notte" e "Delirio" in «Poesia», ottobre 1908.

Emanuele Sella: "L'allegoria della notte" in "Monteluce" (1909).

Agostino John Sinadinò: "Della Tempesta contro le vetrate..." in "La Festa" (1900).

Alberto Tarchiani: "Notturno" in "Piccolo libro inutile" (1906).

Giovanni Tecchio: "Notturno" in "Mysterium" (1894).

Aurelio Ugolini: "Notte pisana" in "Viburna" (1905).

Diego Valeri: "Notturnino" in "Umana" (1916).

Mario Venditti, "Il nottambulo deluso" in "Il cuore al trapezio" (1921).

Giuseppe Villaroel: "Elegia notturna" in "La tavolozza e l'oboe" (1918).

 

 

 

Testi

 

 

ALLA NOTTE

di Luisa Giaconi

 

Alfine, ombra infinita, i solitari

spazi tu inondi, e, tenuemente ancora,

su gli occhi che un arcano pianto irrora

posi del sonno i taciti velari.

 

Vita e luce non sono ora che morte

visioni, a cui tu versi un mistero

di silenzi, ed un'ombra alta al pensiero

stanco, quasi tu fossi ora la Morte.

 

Quali musiche lievi e sovraumane

pallidamente a me scendon fra i veli

del silenzio?... Da che mari o che cieli

emanate, o da che fonti lontane?...

 

Che strani fiori palpitano intorno

a me su steli che non hanno fine?

Quali albeggiano all'anima divine

antiveggenze di un ignoto giorno?

 

Vita e luce non sono ora che morte

visioni, a cui tu versi un mistero

di silenzi, ed un'ombra alta al pensiero

stanco, quasi tu fossi ora la Morte.

 

Ma divino nei tuoi baratri luce

(oh stella sovra cupi mari!) il mio

sogno d' amore, e a l'imminente oblio

versa un riso ineffabile di luce.

 

(da "Tebaide", Zanichelli, Bologna 1912, pp. 63-64)

 

 

 

 

NOCTURNA

di Giorgio Lais

 

Quando la notte scende, e nella stanza

sfumano ombre sottili e senza vita,

l'anima nella brevità infinita

ritorna d'una ignota lontananza.

 

Vaga tra i sogni, e tra memorie avanza,

ché una lieve dolcezza indefinita

l'avvince, la circonda e la fa ardita

a superare l'intima distanza.

 

E vaga, vaga... cerca nel passato

un lontano ricordo, che sia un fioco

barlume nell'errare affaticato.

 

Nella grandezza del mistero culla

l'illusioni, e allora a poco a poco

si perde nell'immensità del nulla.

 

(da «Gens Nova», n. XVIII, 1905)



William Degouve de Nuncques, Nocturn in the Parc Royal, Brussels

(da questa pagina web)