Scampoli di letteratura dell'Ottocento e del Novecento, poeti dimenticati, vecchie antologie e altro ancora.
lunedì 7 gennaio 2013
Antologie: Un secolo di poesia
I - GLI ULTIMI ROMANTICI
Aleardo Aleardi, Giovanni Prati, Giacomo Zanella, Antonio Fogazzaro, Arturo Graf, Pompeo Bettini.
II - LA SCAPIGLIATURA
Emilio Praga, Arrigo Boito, Giovanni Camerana, Iginio Ugo Tarchetti.
III - I TRE GRANDI: Carducci, Pascoli, D'Annunzio - Neoclassici, «pascoliani», decadenti
Giosuè Carducci, Domenico Gnoli, Enrico Panzacchi, Mario Rapisardi, Giuseppe Manni, Giovanni Marradi, Guido Mazzoni, Giovanni Alfredo Cesareo, Giovanni Bertacchi, Antonino Anile, Ada Negri, Francesco Pastonchi, Giovanni Pascoli, Severino Ferrari, Angiolo Silvio Novaro, Pietro Mastri, Diego Valeri, Giuseppe Villaroel, Renzo Pezzani, Gabriele D'Annunzio, Vittoria Aganoor Pompilj, Giulio Salvadori, Adolfo De Bosis, Giovanni Cena, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Sibilla Aleramo.
IV - I CREPUSCOLARI
Giulio Gianelli, Tito Marrone, Guido Gozzano, Corrado Govoni, Marino Moretti, Sergio Corazzini.
V - FUTURISTI E VOCIANI
Filippo Tommaso Marinetti, Giovanni Papini, Luciano Folgore, Pietro Jahier, Dino Campana, Arturo Onofri, Clemente Rebora, Aldo Palazzeschi, Camillo Sbarbaro, Lionello Fiumi.
VI - GLI ERMETICI
Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Sandro Penna, Leonardo Sinisgalli, Alfonso Gatto, Antonia Pozzi, Vittorio Sereni, Mario Luzi.
VII - I POETI DELLA TRADIZIONE
Umberto Saba, Garibaldo Alessandrini, Vincenzo Cardarelli, Vittorio Locchi, Giovanni Titta Rosa, Ugo Betti, Luigi Bartolini, Elpidio Jenco, Giuseppe Gerini, Filippo De Pisis, Adriano Grande, Carlo Betocchi, Cesare Pavese.
VIII - VOCI NUOVE - I POETI DELLA QUARTA GENERAZIONE - POESIA DIALETTALE
Raffaele Carrieri, Giuseppina Sperandeo Cosco, Nella Zoja, Attilio Bertolucci, Salvatore Comes, Giorgio Caproni, Alessandro Parronchi, Bortolo Pento, Giorgio Orelli, Sebastiano Satta, Cesare Pascarella, Salvatore Di Giacomo, Trilussa, Virgilio Giotti.
domenica 6 gennaio 2013
Il rimpianto del passato in dieci capolavori della poesia italiana
IL RIMPIANTO DEL PASSATO IN DIECI CAPOLAVORI DELLA POESIA ITALIANA
"Le ricordanze" di Giacomo Leopardi, in "Canti" (1831).
"Davanti San Guido" di Giosue Carducci, in "Rime nuove" (1887).
"Le ciaramelle" di Giovanni Pascoli, in "Canti di Castelvecchio" (1903).
"Poggiolini" di Marino Moretti in "Poesie scritte col lapis" (1910).
"L'amica di nonna Speranza" di Guido Gozzano in "I colloqui" (1911).
"Cocotte" di Guido Gozzano, da "I colloqui" (1911).
"Una romanza dimenticata" di Guelfo Civinini, in "I sentieri e le nuvole" (1911).
"Vento a Tindari" di Salvatore Quasimodo in "Acque e terre" (1930).
"La luce era gridata a perdifiato" di Leonardo Sinisgalli, in "Vidi le muse" (1943).
"Tutto ho perduto" di Giuseppe Ungaretti, in "Vita d'un uomo: Il Dolore" (1947).
venerdì 4 gennaio 2013
Poeti dimenticati: Riccardo Balsamo Crivelli
Opere poetiche
"Rime Satiresche e Burlesche", Tipografia del Rinascimento, Milano 1896.
"Boccaccino", Laterza, Bari 1920.
"Rossin di Maremma", Mondadori, Milano 1922.
"La Fiaba di Calugino", Laterza, Bari 1926.
"Il poema di Gesù", Ceschina, Milano 1928.
"Cammin lungo", Preda, Milano 1931.
Presenze in antologie
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. 1, pp. 36-42).
"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (p. 236).
Testi
NEL BOSCO
Fontanella che sgorghi di quel sasso
e sdruccioli giù giù per il dechino,
t'ho scoperta e ti seguo passo passo
e mi par tanto bello il tuo cammino.
Tu sai che mi dà noia il puzzo, il chiasso
della città, ogni fumo di camino,
e ch'Iddio prego e prego Satanasso
che la distrugga insino a un muro, insino!
Tu che sei così pura e così bella
e così stietta e vai tra l'erbe e i fiori,
sei 'l fatto mio, vezzosa fontanella.
Il mattin frange tutti i suoi colori
nell'acqua tua, mentre fugge e saltella:
tu vai col cielo e io co' miei dolori.
(Da "Il Rossin di Maremma")
giovedì 3 gennaio 2013
Gennaio in 10 poesie di 10 poeti italiani del '900
FLORA NIVALIS
di Arturo Graf (1848-1913)
Bianco di neve, lucido di gelo,
Grandeggia il bosco in cupo sonno immerso:
Scintillante di stelle, algido, terso,
Traspar fra i rami irrigiditi il cielo.
E la crescente luna di gennajo,
Che nel sommo del ciel splende falcata,
Sembra una squamma d’oro intarsïata
In uno specchio di brunito acciajo.
Trema per l’alta notte e pei divini
Soporati silenzii a quando a quando
Teneramente doloroso e blando
Un gorgheggio di flauti e di clarini.
Chi è costei che così sola e franca
Per la foresta, in mezzo all’ombre, incede,
E segna appena con lo scarso piede
In suo cammin la intatta neve e bianca?
Chi è costei che in verde gonna, cinta
L’aureo capo di sì pia corona,
Raggia da tutta la gentil persona
Il dolce lume onde l’aurora è tinta?
Di quanti fior la primavera i piani
Allieta e i clivi ed ogni erboso lembo,
Tu fiorite hai le trecce e pieno il grembo,
E piene, o cara, ambe le bianche mani.
O donzelletta, cui benigno elesse
A così nova meraviglia il cielo,
Stringe ogni gleba aspro e tenace il gelo:
Tu dov’hai colta sì gioconda messe?
O cara e pia! se amor non anche è morto,
Spargi lungo la via; spargi i tuoi fiori:
Troppo è la via selvaggia ed aspra, e i cuori
Vengon men per l’angoscia e lo sconforto.
(Da "Morgana", Treves, Milano 1901)
GENNAIO
di Camillo Sbarbaro (1888-1967)
Ormai passò la rosea cavalcata
dei giovinetti mesi ingannatori,
che vestita l'avean tutta di fiori
e di sole e d'azzurro incappucciata.
Or ripensa la grande traviata
d'Aprile i ricci e i facili rossori;
e derelitta guarda i suoi squallori
e fa l'ammenda delle sue peccata.
E viene per perdono a fra' Gennaio,
dicendo l'atto di contrizione,
e s'umilia e gli bacia il vecchio saio.
«Padre - gli dice - voglio farmi monaca.»
E quei sorride incredulo e le impone
di neve fugacissima una tonaca.
(Da "Resine", Caimo, Genova 1911)
14 GENNAIO
di Giovanni Papini (1881-1956)
C'è sulla terra, in mezzo a tanti scompigli, una gran pace anticipata. Par d'essere di già in primavera. Un sole chiaro e tepido di marzo si glorieggia sui ponti scoperti e sui marciapiedi sereni, sul capo dei ragazzi e sulle bucce dei mandarini. Rispondono, tra i fili fitti dell'erba bambina, le pupillone gialle delle prime margherite. Non c' è zoppo che non t'offra manne di violette dall'undici alle cinque; le mostre dei fiorai son paradisi di rose sotto vetro: rose rosse come gote di ballerine; rose di carnato insensibilmente giallo come la pelle diaccia delle creole. E da parecchie mattine c' è uno strazio di rami stroncati di mandorlo, infiocchettàti di bianchezze innaturali.
(Da "Giorni di festa", Libreria della Voce, Firenze 1919)
GENNAIO
di Alfredo Baccelli (1863-1955)
Pure notti dall'alito di gelo,
dal terso plenilunio d'alabastro,
quando, berillo o diamante ogni astro,
d'occulto incendio disfavilla il cielo.
Solo nel prato il pallido asfodelo:
canuto di pruine l'oleastro:
nel presepe il pastor col suo vincastro:
ischeletrito il pero e 'l grisomelo;
ma nelle membra insolito vigore,
chiara e serena luce entro il pensiero,
e nell'intimo cuor lieto calore,
ché il nuov'anno promette, ed è foriero
di Primavera Inverno, e presto il fiore
smalterà i verdi labbri del sentiero.
(Da "Poesie", Zanichelli, Bologna 1929)
23 GENNAIO: SOLE
di Carlo Betocchi (1899-1986)
Anzi, quando l'onda è azzurra
devi pensar - non è nulla;
un sole bianco sul campo
è il manzo che riposa stanco.
Gennaio dai mille aghi sciolti
nel bianco fiore sepolti,
manca la viola al prato,
adunque tepor dissennato.
Che fa! ma gorgoglia bianca
l'onda che la riva incanta,
il sole giunge, si sfalda,
brilla, tocca l'acqua, salta.
I candidi ponti, le case,
un fervido biondo invase,
e il mendico, in solare palma
si distende con fede calma.
Al declinare impallidito
ti vedo, giorno infinito;
va la solitaria luna,
terra, sassi, deserta schiuma.
(Da "Realtà vince il sogno", Il Frontespizio, Firenze 1932)
GEMME DI GENNAIO
di Angiolo Orvieto (1869-1967)
Verdi gemme, bocciolini
chi vi ha fatto saltar fuori?
Non è ancor tempo di fiori
sugli spini.
Pur vedervi di gennaio
spande in me nuova dolcezza
e m'infonde tenerezza
per rosaio.
Quasi che il mio cuore stesso,
del suo verno al limitare,
speri ancor gli sia concesso
di gemmare.
(Da "Il gonfalon selvaggio", Mondadori, Milano 1934)
TRAMONTO
di Antonia Pozzi (1912-1938)
Fili neri di pioppi –
fili neri di nubi
sul cielo rosso –
e questa prima erba
libera dalla neve
chiara
che fa pensare alla primavera
e guardare
se ad una svolta
nascano le primule –
Ma il ghiaccio inazzurra i sentieri –
la nebbia addormenta i fossati –
un lento pallore devasta
i colori del cielo –
Scende la notte –
nessun fiore è nato –
è inverno – anima –
è inverno.
S. Martino – Milano, 10 gennaio 1933
(Da "Parole", Mondadori, Milano 1939)
GENNAIO 1946
di Franco Fortini (1917-1994)
Milano, cieche viscere ti colano
per le vie, di macerie nere; i fumi
che dai camini volano
son torvi e verdi; la vita, acre e sciatta.
Ma di quassù visibili
sono, nell'aria netta, l'Alpi. Ecco
lontane, irraggiungibili,
bianche e celesti le grandi montagne.
1946
(Da "Poesia ed errore", Feltrinelli, Milano 1959)
DOVE I RAGAZZI AMMAZZANO IL GENNAIO
di Giorgio Orelli (1921)
Con un passo men cauto mi precedi,
taciturno compagno, sulla strada
gelata. Non è il fuoco delle case
che mi chiama e soverchia questa sera
nell'intatto paese, ma lo strepito
inatteso che sale
con i fiati infingardi dell'inverno
dalla riva remota, irraggiungibile,
dove i ragazzi ammazzano il gennaio.
(Da "L'ora del tempo", Mondadori, Milano 1962)
GENNAIO VENEZIANO
(dopo vent'anni)
di Alberto Mondadori (1914-1976)
Propaga angoli morti l'alba tra ciuffi d'erbe
e nulla si disperde sottacqua
nel crogiuolo dove tutto diventa vegetale.
E ogni cosa risale dal rigurgito al ritmico
colpo della pertica: la zavorra semimossa,
una tregua al riparo che non lenisce
l'ombra sepolta, la sarabanda dei silenzi
che si disperdono laggiù e qui si riaffacciano
in termini clementi, e l'iride annebbiata
per il livido tanfo che l'incrosta
è di sopravvissuti istinti. Di più, dall'arcobaleno
di nafta fuoriesce il vértice spezzato. Ogni ordine
di affetti è qui un ossuto patteggiamento
col domani nel suo vòlto marino e ha un suo arduo
peso, faticoso, spesso strozzato in una fuga ansante
da scordare al più ilare andare della gondola con te.
Non ti spaura, come me, l'enigma di brulicanti
estensioni che qui stringe col suo cappio
il primo chiaro del mattino: dopo lo scontro
delle correnti sulla pista notturna esso brusco
si scioglie e a noi appare come visto nei due specchi
del coiffeur o moltiplicato nei più che mille brani
ghiacciati dalla bora. Si fa diverso per ogni gamma
che sale il bel tempo freddo a oriente, via scivola
con il pezzo di legno attraverso la laguna sterminata
di cui spegne i segnali mentre un barbaglio accende
rosso sanguedibue sulla dogana: vince il tuo sapere
leggere nei segni. Lucente lo scroscio delle eliche
rompe il giro del cordame, si destano le cupole
semiconsunte al rimbombo improvviso del bronzo
e non ci sbugiarda, questo gennaio almeno!,
inattesa la sofisticata morgana di Venezia
che seccamente disegna la tua bilanciata verità.
1961
(Da "L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", Martello, Milano 1963)
FINIS
martedì 1 gennaio 2013
Una poesia di Eros Alesi
La poesia di cui vorrei analizzare il testo è senza titolo, comparve per la prima volta sull'Almanacco dello Specchio n. 3 del 1973; fu poi inserita in varie antologie, tra queste vorrei ricordare le seguenti: Il pubblico della poesia, a cura di A. Berardinelli e F. Cordelli, Lerici, 1975; Poesia degli anni settanta, a cura di A. Porta, Feltrinelli, 1979; Poesia e realtà 1945-2000, a cura di G. Majorino, Tropea, 2000; La poesia italiana oggi, a cura di G. Manacorda, Castelvecchi, 2004.
Straziante è già il secondo verso della lirica, in cui Alesi parla al padre avendo la sicurezza che sia da qualche parte ad ascoltarlo, forse in un mondo ultraterreno: «Tu che ora sei nei pascoli celesti, nei pascoli terreni, nei pascoli marini». Successivamente il poeta insiste sul concetto già espresso, rafforzandolo con dichiarazioni d'amore filiale che probabilmente non ebbe mai modo di fare direttamente al padre, quando era in vita. Sembra quasi che la morte di quest'ultimo non sia mai avvenuta: «Tu che ora sei chiamato morto, cenere, mondezza». Segue una parte in cui Alesi descrive il cambiamento del suo giudizio nei confronti del padre attraverso gli anni, da: «Bello - forte - orgoglioso - sicuro - spavaldo» a «violento, assente, cattivo», le parole del poeta ci mostrano una situazione famigliare particolarmente difficile, col padre che ha perso il controllo della situazione e, con l'uso della violenza, cerca disperatamente di raddrizzare un rapporto (sia col figlio che con la moglie) ormai definitivamente compromesso: «Che vedevo che tu vedevi mia madre allontanarsi. Che vedevo che tu vedevi l'inizio di un normale drammatico sfacelo». Di qui l'abuso di alcol da parte di un uomo che non trova altre alternative alla disperazione e all'allontanamento dei suoi famigliari, un padre orgoglioso, come lo aveva definito Alesi, che rimane solo con sè stesso. La conoscenza della tossicomania del figlio e dell'attesa di un bambino da parte della moglie, che nel frattempo aveva iniziato un rapporto con un altro uomo, non possono che peggiorare le cose, e ancor più le peggiorano il rifiuto totale del poeta alla possibilità di ogni tipo di pacificazione: «Che ho visto che tu hai visto la tua mano stesa in segno di pace, di armistizio. / Che ho visto che tu hai visto sulla tua mano uno sputo». E siamo giunti al momento in cui la composizione poetica raggiunge l'apice della drammaticità: «Che ho visto che hai visto 3 anni passare. Che ho visto che hai visto che il giorno 9-XII-69 non sei venuto a trovarmi al manicomio. Perchè eri morto». Queste parole sono veramente strazianti soprattutto se si pensa che tutto ciò è accaduto veramente; si resta affranti, senza voce. Ma la poesia di Alesi continua con un'altra dichiarazione d'amore illimitato nei confronti del padre, e unisce al suo anche quello di sua madre: «Che ora vedi che io vedo che mia madre rimpiange. ALESI FELICE PADRE DI ALESI EROS». Negli ultimi versi il poeta confessa la sua ennesima fuga verso la solitudine e il suo pessimismo, lo stesso pessimismo che era presente nel padre, dice Alesi: «Che tu vedi che io vedo solo grande grandissimo nero lo stesso nero che io vedevo che tu vedevi. / Che ora continuerai a vedere ciò che io vedo». L'ultimo verso evidenzia un'immedesimazione tra padre e figlio, il poeta pensa alla stessa stregua del padre e vede ciò che vedeva il padre, quasi che la mente e gli occhi non siano più i suoi ma quelli del genitore scomparso.
lunedì 31 dicembre 2012
Da "Il Piacere" di Gabriele D'Annunzio
L'anno moriva, assai dolcemente. Il sole di San Silvestro spandeva non so che tepor velato, mollissimo, aureo, quasi primaverile, nel ciel di Roma. Tutte le vie erano popolose come nelle domeniche di Maggio. Su la piazza Barberini, su la piazza di Spagna una moltitudine di vetture passava in corsa traversando; e dalle due piazze il romorio confuso e continuo, salendo alla Trinità de' Monti, alla via Sistina, giungeva fin nelle stanze del palazzo Zuccari, attenuato.
(Dal Libro I, cap. I di "Il Piacere" di Gabriele D'Annunzio)
Il Piacere è il titolo di un romanzo di Gabriele D’Annunzio, pubblicato per la prima volta nel 1889 dalla Treves di Milano. Il poeta abruzzese lo scrisse nella seconda metà dell’anno precedente all’uscita (1888); dal 1895, secondo la volontà dell’autore, entrò a far parte del ciclo narrativo I romanzi della Rosa, insieme a L’innocente (1892) e Il trionfo della morte (1894). Si tratta dell’opera in prosa più importante di D’Annunzio, che con Il Piacere risulta determinante nel nostro paese, per la diffusione di un gusto “decadente” fino a quel momento praticamente assente in Italia. Il protagonista del romanzo: Andrea Sperelli, è un uomo colto e particolarmente raffinato; di famiglia aristocratica, appassionato d’arte, considera il piacere quale principale scopo della sua vita; passa così da un amore all’altro, precipitando inesorabilmente in una dissolutezza assoluta, e rimane, alla fine, da solo.
Il frammento che ho trascritto altro non è che un impressione veloce, in cui viene descritta Roma in una bella giornata di fine d’anno; talmente bella che il poeta ha la netta impressione di un ritorno primaverile.
sabato 29 dicembre 2012
Previsioni
Il 2013 sarà un anno di crescita per le Borse
Il 2013 sarà l'anno europeo dei cittadini
Il 2013 sarà "l'anno delle comete"
Crisi: il 2013 sarà peggio del 2012
Consumi: il 2013 sarà un anno orribile
Cambiamento climatico: il 2013 sarà forse il più caldo degli ultimi 160 anni
Nel Web per il 2013 sarà lotta a 4: Apple, Amazon, Google e Facebook
Nel 2013 sarà Rai contro YouTube?
Monti: "Il 2013 sarà un anno in crescita"
Bersani: "Il 2013 sarà ancora un anno difficile"
Grillo: "Il 2013 è un anno che vale la pena di essere vissuto"
Rajoy: "Il 2013 sarà duro, ma non chiediamo aiuto a Bce"
Helle Thorning-Schmidt: "Il 2013 sarà l’anno delle riforme"
Federici: “Il 2013 sarà l'anno dei cantieri"
Zamparini: "Il 2013 sarà l'anno della rinascita del Palermo"
Il 2013 sarà l'anno delle azioni?
Il 2013 sarà l'anno dell'auto elettrica?
Il 2013 sarà un altro anno orribile per il lavoro?
Il 2013 sarà l'anno del nuovo stadio della Fiorentina a Novoli?
Nel 2013 nevicherà a Roma
Nel 2013 salirà la disoccupazione
Nel 2013 ci sarà il TFA
Nel 2013 solo bancomat
Nel 2013 facebook chiude
Nel 2013 si pagherà l'IMU
Nel 2013 uscirà la nuova Punto
Nel 2013 resusciterà l'Uomo Ragno
Nel 2013 ci saranno disordini e rivolte
Nel 2013 ci sarà la ripresa
Nel 2013 ci sarà l'election day
Nel 2013 ci sarà l'eruzione solare
Nel 2013 ci sarà un modo per vedere le Spice Girls di nuovo tutte insieme
Nel 2013 ci sarà il Gran Premio del New Jersey
Nel 2013 autostrade più care
Nel 2013 aumentano le pensioni minime
Nel 2013 crescerà l'economia tedesca...
...e si potrebbe continuare.