Il Frontespizio nacque come rassegna bibliografica della Libreria
Editrice Fiorentina nel 1929. Divenne rivista letteraria all’incirca un anno
dopo, dimostrando immediatamente una spiccata preferenza per gli scrittori di
orientamento cattolico. Alla direzione del Frontespizio
si alternarono Enrico Lucatello, Piero Bargellini e Barna Occhini fino al 1940:
anno in cui cessarono le pubblicazioni della rivista. Nelle pagine del Frontespizio, che acquisì un pubblico
sempre più vasto, attraverso gli anni, divenne storico il contrasto tra due
gruppi di intellettuali ben distinti: da una parte i “tradizionalisti”
rappresentati da Papini, Occhini e Bargellini; dall’altra gli “ermetici”
riuniti intorno all’eminente figura di Carlo Bo (Luzi, Parronchi, Macrì e
altri). Tale contrasto divenne sempre più accentuato, fino alla secessione di
Bo e sodali avvenuta nel 1938. Vi erano però anche altri scrittori, come Carlo
Betocchi e Nicola Lisi, i quali non parteciparono direttamente alle polemiche e
agli scontri verbali dei gruppi citati, preferendo una posizione neutrale e
pubblicando sia poesie che prose del tutto staccate dagli orientamenti che
erano più in voga durante quel preciso periodo storico. I testi che riporto a
conclusione di questo post, sono proprio di questi ultimi intellettuali.
CHI S'ALZA ALLA
FATICA
di Carlo Betocchi
(1899-1986)
Si coloravan le
nubi coi fuochi nascenti
quand'io nacqui
al giorno fuori della cupa notte,
teneri idilli
mescevano l'ombre coi venti
danzando sugli
orli delle invallate grotte.
Chi s'alza alla
fatica è timido, chiede al cielo
pane e perdono
per tutto quell'intero giorno.
i monti solenni
non osan togliere il velo
ai loro alberi
finché non sia ben certo il giorno.
Né ancor la casa,
di cuor piena, esclama: - Io a te, cielo! -
morta e profonda
stando sul tranquillo colle:
la solitudine
stende l'ali sull'intero
mondo, la terra
come lacrime tien le zolle,
ma io, sotto i
tuoi piangenti occhi, celeste alba,
perché sono
un'anima incedo gagliardamente,
tra le cose
tremanti, nella tua luce scialba,
col mio cuore
leggero, a una fatica innocente.
(da «Il
Frontespizio», gennaio 1933)
Da INCONTRI
DELL’ANIMA
di Nicola Lisi (1893-1975)
2.
Una mattina
insieme alla chiarezza del giorno vidi giungere una farfalla eccezionale
soprattutto per la sua grandezza in un prato con radi e vecchi castagni (un
breve ripiano sulle pendici della montagna) che attraversò col volar
punteggiato, scherzoso delle farfalle. Rimasi per un istante irresoluto se
correrle incontro ed abbatterla con un colpo della bacchetta che avevo in mano,
un colpo misurato in diritto sul corpo molle, in modo da poterla portare e
conservare in città con le sue grandi ali intatte, a meravigliare chi l'avesse
veduta; ma quel pensiero affondò, scomparve nella profonda quiete della mia
anima.
Ero seduto poco discosto dalla sua direzione
di volo ed intuivo che non mi avrebbe scansato; difatti mi passò d'accanto
quasi sfiorandomi per cui mi fu possibile posar lo sguardo sulle ali distese,
come sulle pagine aperte di un libro. Erano di color bianchissimo con una
piccola orlatura nera anche lungo il corpo di questo stesso colore.
La seguii attentamente lungo il suo andare
fino a un'altra muriccia, che mi nascondeva per tutta la sua lunghezza ogni
orizzonte terrestre. Dietro a quella scomparve. Ma nella stessa direzione da
cui era venuta sopraggiungeva un nuvolo e neanche poteva dirsi un nuvolo, bensì
propriamente una sfera formata da tante comuni farfalle, spaziate e circondate
dalla prima luce del sole. Esse passaron pure aldisopra della muriccia andando certo dov'ella era andata.
Nel pomeriggio ritornai nel prato. Avevo
l'assoluta convinzione di assistere al ritorno della grande farfalla, stimando
il suo viaggio legato con la fase di quello stesso giorno. Difatti quando il
cielo cominciò a scolorirsi di luce e a rifarsi di stelle sulla muriccia si
elevò la farfalla che io non posso fare a meno di chiamar regale.
Evidentemente rifaceva il tragitto della
mattina e poiché ero ritornato nello stesso posto mi sarebbe ripassata
d'accanto. Così fu. Ma era poi questa la stessa? Aveva le ali nere, bianco il
corpo e la orlatura delle ali.
Eppure, nonostante la inversione dei colori
non poteva essere un'altra. L'invariabilità della grandezza, nel volo, nella
direzione, la stessa regalità ne costituivan la prova. E a farmi sorridere poi
anche dello stesso dubbio venne la palla viva di ali appuntite a contatto con
il silenzioso volo delle tenebre come al mattino lo era stata con la prima
luce.
(da «Il
Frontespizio», ottobre 1933)
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