domenica 19 maggio 2024

Riviste: "Il Frontespizio"

 

Il Frontespizio nacque come rassegna bibliografica della Libreria Editrice Fiorentina nel 1929. Divenne rivista letteraria all’incirca un anno dopo, dimostrando immediatamente una spiccata preferenza per gli scrittori di orientamento cattolico. Alla direzione del Frontespizio si alternarono Enrico Lucatello, Piero Bargellini e Barna Occhini fino al 1940: anno in cui cessarono le pubblicazioni della rivista. Nelle pagine del Frontespizio, che acquisì un pubblico sempre più vasto, attraverso gli anni, divenne storico il contrasto tra due gruppi di intellettuali ben distinti: da una parte i “tradizionalisti” rappresentati da Papini, Occhini e Bargellini; dall’altra gli “ermetici” riuniti intorno all’eminente figura di Carlo Bo (Luzi, Parronchi, Macrì e altri). Tale contrasto divenne sempre più accentuato, fino alla secessione di Bo e sodali avvenuta nel 1938. Vi erano però anche altri scrittori, come Carlo Betocchi e Nicola Lisi, i quali non parteciparono direttamente alle polemiche e agli scontri verbali dei gruppi citati, preferendo una posizione neutrale e pubblicando sia poesie che prose del tutto staccate dagli orientamenti che erano più in voga durante quel preciso periodo storico. I testi che riporto a conclusione di questo post, sono proprio di questi ultimi intellettuali.

 

 


 

 

CHI S'ALZA ALLA FATICA

di Carlo Betocchi (1899-1986)

 

Si coloravan le nubi coi fuochi nascenti

quand'io nacqui al giorno fuori della cupa notte,

teneri idilli mescevano l'ombre coi venti

danzando sugli orli delle invallate grotte.

 

Chi s'alza alla fatica è timido, chiede al cielo

pane e perdono per tutto quell'intero giorno.

i monti solenni non osan togliere il velo

ai loro alberi finché non sia ben certo il giorno.

 

Né ancor la casa, di cuor piena, esclama: - Io a te, cielo! -

morta e profonda stando sul tranquillo colle:

la solitudine stende l'ali sull'intero

mondo, la terra come lacrime tien le zolle,

 

ma io, sotto i tuoi piangenti occhi, celeste alba,

perché sono un'anima incedo gagliardamente,

tra le cose tremanti, nella tua luce scialba,

col mio cuore leggero, a una fatica innocente.

 

(da «Il Frontespizio», gennaio 1933)

 

 

 

 

Da INCONTRI DELL’ANIMA

di Nicola Lisi (1893-1975)

 

2.

Una mattina insieme alla chiarezza del giorno vidi giungere una farfalla eccezionale soprattutto per la sua grandezza in un prato con radi e vecchi castagni (un breve ripiano sulle pendici della montagna) che attraversò col volar punteggiato, scherzoso delle farfalle. Rimasi per un istante irresoluto se correrle incontro ed abbatterla con un colpo della bacchetta che avevo in mano, un colpo misurato in diritto sul corpo molle, in modo da poterla portare e conservare in città con le sue grandi ali intatte, a meravigliare chi l'avesse veduta; ma quel pensiero affondò, scomparve nella profonda quiete della mia anima.

  Ero seduto poco discosto dalla sua direzione di volo ed intuivo che non mi avrebbe scansato; difatti mi passò d'accanto quasi sfiorandomi per cui mi fu possibile posar lo sguardo sulle ali distese, come sulle pagine aperte di un libro. Erano di color bianchissimo con una piccola orlatura nera anche lungo il corpo di questo stesso colore.

  La seguii attentamente lungo il suo andare fino a un'altra muriccia, che mi nascondeva per tutta la sua lunghezza ogni orizzonte terrestre. Dietro a quella scomparve. Ma nella stessa direzione da cui era venuta sopraggiungeva un nuvolo e neanche poteva dirsi un nuvolo, bensì propriamente una sfera formata da tante comuni farfalle, spaziate e circondate dalla prima luce del sole. Esse passaron pure aldisopra della muriccia andando certo dov'ella era andata.

  Nel pomeriggio ritornai nel prato. Avevo l'assoluta convinzione di assistere al ritorno della grande farfalla, stimando il suo viaggio legato con la fase di quello stesso giorno. Difatti quando il cielo cominciò a scolorirsi di luce e a rifarsi di stelle sulla muriccia si elevò la farfalla che io non posso fare a meno di chiamar regale.

  Evidentemente rifaceva il tragitto della mattina e poiché ero ritornato nello stesso posto mi sarebbe ripassata d'accanto. Così fu. Ma era poi questa la stessa? Aveva le ali nere, bianco il corpo e la orlatura delle ali.

  Eppure, nonostante la inversione dei colori non poteva essere un'altra. L'invariabilità della grandezza, nel volo, nella direzione, la stessa regalità ne costituivan la prova. E a farmi sorridere poi anche dello stesso dubbio venne la palla viva di ali appuntite a contatto con il silenzioso volo delle tenebre come al mattino lo era stata con la prima luce.

 

(da «Il Frontespizio», ottobre 1933)

 

 

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