Ti chiamo... ancora una volta ti chiamo con la solita speranza: che finalmente parliamo di cose importanti, di noi, di ciò che proviamo l’uno per l’altra. Ma la mia speranza svanisce di nuovo, dopo nemmeno un minuto che parliamo. Tu ricominci a proporre argomenti futili, che riguardano fatti poco interessanti per me. Sto comunque al gioco, e ti rispondo dimostrando attenzione e coinvolgimento. Poi, mi stanco, e continuo a dirti – mentre tu prosegui instancabile il tuo colloquio – un “sì”: un’approvazione che significa sfinimento. Quando hai esaurito ogni possibile dettaglio, e oramai anche tu ti dimostri stanca ed annoiata, mi dici che si è fatto tardi, che hai qualcosa di urgente da fare, e mi saluti velocemente prima di chiudere la comunicazione. Certamente ci risentiremo: sarai magari tu a chiamarmi la prossima volta, o forse sarò ancora io, e di nuovo nascerà in me la speranza che potremo dirci, finalmente, delle parole importanti. No, non posso abbandonare questa mia illusione, poiché mi occorre per continuare a vivere, perché voglio continuare a parlare con te, anche senza vederti mai.
di Giovanni Bertacchi (1869-1942)
Parla un uomo al telefono. Qualcuno
ch'io non odo né veggo a lui risponde:
prega un uomo all'altar: parla con Uno
che per me tace, che per me si asconde.
Deh, se basta a varcar tanta distanza
un tenue filo a chi pur resta immoto;
se il tenue filo d'una pia speranza
basta pei cuori a penetrar l'ignoto,
date a me pure il fil che si dilunga
oltre il giorno dell'uomo e la sua sede;
datemi il tenue tramite che giunga
al Lontano che parla e non si vede!
(Da "Alle sorgenti", Baldini & Castoldi, Milano 1906)
PER TELEFONO
di Alfonso Gatto (1909-1976)
Ascolto per telefono il fragore
di Roma liberata. «Vedi - insiste
l'amico nel chiamarmi - non li vedi,
sempre così, mostrati sulla terra.»
Incalza: «ma strafanno, l'aria è piena
di Roma, di campagne...». «Spegni», grido.
Resta il silenzio e non così divisi
dal filo che ci unisce, «Siamo stanchi»
dico nello scoprirmi amaro, vile
d'invidia «e questo caldo, questa smania
d'uscire... ma che fai, pronto, Giorgio...?»
(Da "La storia delle vittime", Mondadori, Milano 1966)
TELEFONATA NOTTURNA
di Margherita Guidacci (1921-1992)
La tua voce
intensa e quieta, che viene di tanto lontano,
come un raggio improvviso ha attraversato la notte,
inargentando foglie, facendo biancheggiare le spume
d'acque segrete, rivelando
nitido un altro lembo
di questo sempre nuovo paesaggio d'amore -
così vario
che mai finiamo di scoprirlo.
(Da "Inno alla gioia", Centro Internazionale del Libro, Firenze 1983)
Da "LE PETIT MONTAGNARD"
di Mario Luzi (1914-2005)
Lo squillo del telefono nella casa deserta
dà un brivido sottile, recide oscure speranze.
Non mi mossi, non scesi neppure fino all'orto.
Fui qui presente e assente in questa luce
da finestra a finestra della casa
ore e ore, lasciai venire e andare
pensieri eterni nella mente inerte.
Il giorno lungo e fradicio leva alti i suoi vessilli.
È tardi? il carpentiere sale sui castelli e i ponti.
Lo sai, mi tengo pronto al tuo richiamo,
veglio, attendo, fo sì che non risuoni
lo squillo del telefono nella casa deserta.
(Da "Dal fondo delle campagne", Einaudi, Torino 1965)
TELESELEZIONE
di Daria Menicanti (1914-1995)
Soprattutto mi piace col telefono
entrargli nella camera lontana
di là dal monte,
sentire il mio squillo
che si avventa nel buio. Poi la cara
voce fra tutte che risponde:
Sì-ì?
(Da "Canzoniere per Giulio", Manni, Lecce 2004)
TELEFONO
di Marino Moretti (1885-1979)
Sei tu! sei tu! sei tu! Mentre ti parlo,
mentre t'ascolto, immobile, mi pare
che la tua voce seguiti a vibrare
in questo orecchio mio per lacerarlo.
Sei tu! sei tu! La tua voce mi giunge
da una profondità d'anima oscura:
io ti rispondo, amica, ma ho paura,
che vicina mi sei tu che sei lunge.
Ho paura di te, di quest'ordigno
che al mio povero cuor che più non sogna
dona la voce tua, la tua menzogna
come per uno spirito maligno!
E mi par quasi che fra tanto fasto
d'illusioni solo quest'ordigno
fedele al muro, come un vecchio scrigno
pieno di voce tua, mi sia rimasto!
Tu parli e io vedo il tuo bianco profilo
un po' chinato sovra l'apparecchio
mentre raccogli nell'intento orecchio,
più che il mio dire incerto, il mio respiro;
tu parli e io non t'ascolto: non t'ascolto
perché ti vedo: vedo d'improvviso
una lieve penombra di sorriso
ch'erra nel volto tuo, chino e raccolto.
Ah, ridi ridi ridi tu che sei
bella e ami solo la tua gioventù.
Io? Ti rispondo, ma non sono più
che due numeri: 10-36...
(Da "Poesie 1905-1914", Treves, Milano 1919)
PAROLE CHE VENGONO DI LONTANO
di Nino Oxilia (1889-1917)
Dalla finestra aperta guardo i monti.
Qualche nuvola bassa
sui dentati orizzonti
vivida di bagliori
passa.
Ora curvi, ora dritti, i falciatori
taglian l'ultimo fieno
sotto il cielo sereno
con larghi gesti monotoni...
La mia stanza è un immoto
carcere d'ombra ove io sento
battere battere a vuoto
le pale del Tempo che in ozio consumo.
Il vento
anima l'infinito
silenzio di profumo.
Improvviso come un nitrito
nell’ombra squilla il telefono...
«Pronti! Pronti!» Lo specchio
a parete, murato nel tepore
delle stoffe, riflette l’apparecchio
nell’ombra paolotta.
L’apparecchio borbotta:
«Pronti pronti! O mio amore!»
«Pronti! Pronti! Amor mio,
sono giunta stamani.
Ora siamo lontani.
Sono triste» (un contatto) «amore mio!»
«Per quanto tempo! Mi angoscia...»
Ascolto. E l'occhio in giro percepisce
le cose che non guardo:
il gesto or lesto or tardo
dei falciatori e il fieno che si affloscia
sotto le falci lisce...
«Mi angoscia questa vita di bugìa
con l'uomo che non amo e non capisce;
cui fingo. Oh! come ti amo, anima mia!»
Penso la sua bocca leggiadra
nel cerchio nero del trasmettitore,
la sua bocca d'amore
ladra.
Penso il braccio rotondetto
sopra il tavolinetto;
dentro l'alcova il letto.
«Oh! fuggire da quella gabbia!
Correre nelle tue braccia!»
Quanto resta la traccia
di un nome sulla sabbia,
tanto nel cuore umano
le parole che vengono di lontano...
«Son triste. Quest'asilo
è da gufi - Tu sei lontano e poi...»
Gorgoglia l'apparecchio
schernevole all'orecchio;
ora parlo, ora ascolto...
Odo la voce ma non vedo il volto...
E il filo il filo il filo
infinito tra noi...
(Da "Gli orti", Alfieri & Lacroix, Milano 1918)
TI DICEVO AL TELEFONO
di Elio Pagliarani (1927-2012)
Ti dicevo al telefono (di cui
più mi prendono le pause, gl’imbarazzi
docili, e se ci udiamo respirare)
ti dicevo al telefono un amore
che urge, e perché.
(Da "Tutte le poesie: 1946-2005", Garzanti, Milano 2006)
ER TELEFONO
di Trilussa (Carlo Alberto Salustri, 1871-1950)
Co' quello antico? Vergine Maria!
Giravi per un'ora er girarello
e, se volevi un oste, sur più bello
te risponneva quarche farmacia.
Invece mó, coll'urtimo modello,
chiami cór deto, parli e tiri via,
che se tu vedi la signora mia
ce se diverte come un giocarello.
Jeri, presempio, appena s'è svejata
ha bevuto er caffè cór rosso d'ovo
eppoi s'è fatta la telefonata.
E manco ha preso in mano l'apparecchio
ch'ha liticato co' l'amante novo
e ha fatto pace co' l'amante vecchio.
(Da "Poesie scelte", Mondadori, Milano 1951)
TELEFONO PIÙ RADIO
di Cesare Vivaldi (1915-1999)
Dì che è tardi. Baciamoci
nel frettoloso telefono.
Disperdi pure il grigio
della tua voce,
non temere il silenzio.
Lieve continui ad abitarmi accanto,
respirando in un valzer
di cristallo, che in nitidi
tocchi s'estingue.
Serro il capo tra i gomiti. Un cavallo
bianco fende la nebbia,
opaco s'allontana,
si distingue dall'ombra
appena per un palpito lieve.
(Da "Poesie scelte: 1952-1992", Newton Compton, Roma 1993)
Sergei Vishinsky, "On the telephone" |
Trilussa resta un grande!
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