sabato 1 giugno 2013

Giugno in 10 poesie di dieci poeti italiani del XX secolo

Giugno: mese in cui ha inizio la calda estate. Quanti bei ricordi mi suscita questo piacevolissimo mese! Quasi tutti questi ricordi appartengono al periodo della meravigliosa infanzia, quando, verso la metà di giugno terminavano le scuole. Allora, per me era l’inizio del più sfrenato divertimento: tre mesi in cui potevo dedicarmi soltanto al gioco, trascorrendo intere lunghissime giornate all’aperto, da solo o magari con altri bambini. Mi alzavo presto, la mattina, ed i miei genitori, che dovevano recarsi sul posto di lavoro, mi portavano dai nonni, dove rimanevo fino a sera. Dopo una colazione veloce aprivo la porta e uscivo correndo nel cortile; da qui in avanti c’era solo e soltanto un puerile divertimento destinato a ripetersi per tutti i mesi estivi rimanenti. Ma giugno era certo il mese più bello, soprattutto dopo la graditissima notizia della promozione scolastica, che mi garantiva spensieratezza totale per l’intera estate.  




PAGINETTA D'ALBO

di Giuseppe Albini (1863-1933)

È l'aureo giugno, e ciascun giorno un'ora
Il ciel s'oscura e freme.
Vaste frusciando inchinano le spiche,
E punta da nemiche
Aure ogni frasca abbrividisce e freme.
Deh sia vana minaccia! Oggi matura
L'annua speme al lavoro:
Biondeggi in aria e per i campi l'oro,
E te baci la gioia, o fronte pura.

(Da "Poesie", Zanichelli, Bologna 1901)





FINE DI GIUGNO
di Francesco Chiesa (1871-1973)

Papaveri, ciani, nel grano ch'è già tutto d'oro!
color della fiamma che ondeggia, del cielo che sta.

E tu, oro immenso... Oro folto che i solchi e i sentieri
dissimuli: grande che arrivi ai pampini e agli olmi!

Agli olmi onde scroscia la tempesta dell'ebbre cicale...
E voi, miti azzurri dispersi nell'oro, acri fuochi.

Papaveri, avvii d'una porpora miracolosa
che tessono in qualche lor selva dorata le fate.

Papaveri sparsi, come macchie d'eroico sangue
nell'aurea leggenda dei popoli, nel carme dei vati!

Nel gran che si muove tutto biondo, e le spighe già fanno
un fremere d'elitre vive, un sibilo immenso;

nel mar che diventa più colore di sole ogni giorno,
o boccioli, screzi di cielo! famiglia di fiamme!

Miti occhi cerulei di bimbi, di vergini: o ciani!
Azzurri, che par la festiva tua veste, o Madonna.

(Da "Fuochi di primavera", Formiggini, Roma 1919)





GIUGNO
di Corrado Alvaro (1895-1956)

Canti e il tuo canto è grazioso
come il fiore che ha perso 
il ricordo dei campi e cresce gracile. 
Canti e batton le tue opre in cadenza. 
La tua voce è più intensa - 
Cicala che inasprisce il suo metro 
se il sole è più maestoso.
Aria senza riposo
corre l'estate della lunga veglia.
Con la chioma sconvolta
sembri discesa da un lungo percorso
attraverso l'inverno.

Ecco l'estate, il tuo antico regno
dove entrasti trionfante
sovra un carro adornato di ghirlande
di fiori artificiali.
Fanciulle nuove corrono con ali
spaventate e dipinte.
Mentre le stupefatte donne incinte
ammoniscono ad ogni angolo mute
come incantati segni zodiacali.

Ma tu, invece, risorta dall'inganno
procederai parata
di colori maestosi
compagna del generativo giugno.
Somigliano i tuoi anni a una pianura,
dove nell'aria muta si prolunga
il ricordo del verso
delle cicale, dopo che si è sperso
fuggendo l'ombra dell'ultima altura.

(Da "Almanacco letterario", Mondadori, Milano 1925)





GIUGNO
di Armando Perotti (1865-1924)

Re della gleba, re del Tavoliere,
iapigia prole, mietitor rubesto,
che i culmi arguti con il sacro gesto
stringi nel pugno quanto può tenere;

recidi a un palmo della terra, e questo
mannel d'ariste, fiore del podere,
offri adorando alle presenti e vere
divinità del tuo dominio agresto;

tu solo accogli senza meraviglia
la compiuta promessa, il premio atteso,
lo spirto vivo in realtà pagane:

nel solco che del sangue s'invermiglia,
che s'imbeve del pianto, ecco è disceso
il calore del sol che si fa pane.

(Da "Poesie", Laterza, Bari 1926).





MOTTETTO DI GIUGNO
di Elpidio Jenco (1893-1959)

L'ultimo raggio si scontra con l'ultimo trillo canoro,
e spolvera di lucciole i grigi maggesi l'està.
Un grillo infila a un raggio di luna il suo tremolo d'oro,
e a passi svelti la luna trascorre le nuvole già.

(Da "Essenze", Emiliano Degli Orfini, Genova 1933)





GIUGNO
di Attilio Bertolucci (1911-2000)

Stan le ciliege rosse tra le foglie
nella calma sera estiva
vedo il mio amore che le coglie
seria come una bambina, e così sola e schiva.

Non oso chiamarla, tanta grazia
è nella mano bruna che spicca...
Qualcuna ne mangia, ma come sazia,
movendo la capigliatura nera e ricca.

(Dalla rivista «Circoli», settembre-ottobre 1934)





LA MAGNOLIA DI GIUGNO
di Leonardo Sinisgalli (1908-1981)

Sono i giorni di un nuovo inferno
per me, la magnolia si spoglia
a un colpo basso di vento.
Ogni ramo cede una foglia
alle vampe di giugno.
Dietro le imposte son qui che abbocco
l'aria torbida di scirocco.

(Da "I Nuovi Campi Elisi", Mondadori, Milano 1947)





30 GIUGNO
di Maria Luisa Spaziani (1922)

Bruciano e si consumano le stelle,
regna la Grande Estate.
Passano dentro l'ombra dei balconi
figure esauste dagli occhi lucenti.
Grava sopra gli asfalti la polvere di Milano,
al chiosco dei giornali i fogli gialli
pendono come bandiere disertate.
Morder l'erba vorrei. Morire un poco
(con te, senza di te) contro la terra
che aspra inonda di profumo anche
la luna piena
                                       come quando (è certo)
lunghe notti di grilli inebriate
splenderanno di fuochi e di comete
sopra la cieca pietra che fu un giorno
Maria Luisa.

(Da "Le acque del sabato", Mondadori, Milano 1954)





NEL MESE DI GIUGNO
di Mario Luzi (1914-2005)

Nel mese di giugno 
la città quando sospesa 
e alta sopra il nostro sperdimento 
si desta alla frecciata delle luci

all'ora incerta tra vigilia e sonno 
che il corpo inciampa nel suo peso 
ma si rialza sulla sua fatica

nella pausa del tempo tra la rondine e l'assiolo 
tra la vita e la sua sopravvivenza,

Tu che spezzi la servitù e l'orgoglio 
- dicono - della sofferenza, vieni 
se già non sei dovunque 
in veste di randagio,

d'infermo, di bambino tribolato. 
Segui il timido, accosta il solitario, 
ripeti: la virtù quando non giunge 
fino all'amore è cosa vana.

È quell'ora della metà dell'anno 
che il senza tetto strascica i suoi cenci 
sull'erba pesticciata, cerca asilo, 
la lucciola lampeggia, il cane abbaia.

(Da "Onore del vero", Neri Pozza, Venezia 1957)





GIUGNO MIETUTO
di Edoardo Cacciatore (1912-1996)

Rondimi rèndimi uguale al tuo giugno
Immortalmente nella gola in cui mi uccidi
Saliva in cielo la corda stretta in pugno
Infuocata prima e intanto ghiaccio nei gridi
Svolgendosi avvinta a un anno ora è parete
Angoli e vincoli s'incurvano a collane
Abbraccio agli steli del pensiero che miete
La tua fretta nera ove la morte rimane
Un momento divisa da se stessa e incerta
Tra il precipizio allegro di cui sei la scorta
O l'infinita leggerezza rampa in erta
Luna a flagello e il silenzio solo sopporta
            Cielo lacero al tramonto irto di ali
            Senti il mio stelo e il giugno alfine sono eguali.

(Da "Il discorso a meraviglia", Einaudi, Torino 1996)

lunedì 27 maggio 2013

Poeti dimenticati: Angelo Toscano

Angelo Toscano nacque a Messina nel 1879 e ivi morì a causa del terremoto avvenuto nel 1908. Poeta che abbracciò fin dagli esordi il simbolismo, frequentò ambienti letterari siciliani che s'ispiravano ai più famosi lirici francesi del movimento simbolista e, inoltre, all'italo-egiziano Agostino John Sinadinò, dal quale trasse una sorta di sperimentalismo linguistico e un ermetismo che molto lo avvicinano alla poetica di Mallarmé. Tra le personalità che maggiormente lodarono i versi di Toscano c'è Gian Pietro Lucini, come si evince da questo brano tratto dai suoi "Scritti critici":

«Angelo Toscano non può essere che un giovane. Ha impeto ed entusiasmo, buona dicitura, guasta qualche volta dalla trasposizione verbale, eccesso di aggettivi; ma, in compenso, forma robusta, pensieri nobili, lucido colorito e ricco rinscintillío di frasi.
"Anemos" intitola le sue eufonie; si vale di preferenza del ritmo barbaro e carducciano, che meglio si confà colla plastica dura della sua poesia; non si perde in nebbie ed appunta l'idea viva e pulsante sulle strofe, farfalla preziosa e variopinta».



Opere poetiche

"Il Libro dei venti anni", Tip. Editrice G. Toscano, Messina 1900.
"Anemos: eufonie 1900-1901",  Tip. editrice dello Scienza e diletto, Cerignola 1903.




Presenze in antologie

"Il Verso Libero" di Gian Pietro Lucini, Edizioni di "Poesia", Milano 1908 (pp. 659-660).
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. 1, pp. 186-188; vol. 3, pp. 255-269).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (Tomo primo, pp. 149-153).



Testi

ÁNEMOS

Turbin che incesti il crasso oblio de' tumoli
- ululi di ombre in giro incito alternano -
su te lanciar contro li eterni Spiriti
contro un dio voglio l'Anima.

Turbin che svelli agili boschi a' culmini
- bramir di querci ove si abbican le aquile -
meco il rotar de' cosmi annulli un empito
di scisse stelle ignivome.

Turbin che bagni entro i pescosi baratri
- negra bestemmia in verde arca di naufraghi -
l'aspra ala, tutta sferza a' novi secoli
la Vita che ivi si agita.

Turbin, male sovrano... Tace l'Anima
convulsa nel rigor de le ansie torbide
e ascolta e ascolta, oltre un balzar di fulmini,
il mare i boschi i tumoli:

ecco, passa l'anonima la mistica
Rivelazione - occhi di sogno creduli
sbarran li umani - il ciel rantola - un incubo
che il Nulla in sé prenunzia...

(Da "Ánemos: eufonie. MCM-MCMI)


giovedì 23 maggio 2013

Da "Ricordi di un impiegato" di Federigo Tozzi



Per le vie, sono guardato da tutti. Le ragazze, che tornano a lavorare negli stabilimenti industriali, ridono di me. Qualcuna dice forte: 
«Com'è brutto! Pare un prete».
Io mi fermo e la guardo. Quella abbassa il capo con le compagne, e si sforza di non ridere. Ma dopo pochi passi, il vento mi butta il cappello sotto le ruote del tranvai elettrico, che giunge da Pisa con molto fracasso. Si è sporcato di fango, e la tesa recisa. Le ragazze, fermatesi tutte insieme, si torcono dal ridere. Certamente io devo imparare ad abituarmi a tutto; e devo mostrare di non prendermela. Ma come mi sento offeso!







Ricordi di un giovane impiegato è il titolo che Federigo Tozzi diede inizialmente ad una sorta di diario, scritto durante il 1908: anno in cui lo scrittore toscano lavorò, col ruolo d’impiegato,  nelle ferrovie di Pontedera e Firenze. Ma questo diario non fu mai pubblicato da Tozzi finché fu in vita; uscì postumo, nel 1927 presso la Mondadori di Milano, col titolo Ricordi di un impiegato.

Il frammento che ho tratto da una riedizione del volumetto (Edizioni Studi Tesi, Pordenone 1994), descrive un momento particolarmente imbarazzante, se non umiliante, che coinvolge direttamente il giovane impiegato. Alcune ragazze che passano lungo una via, lo incrociano e, guardandolo attentamente, non possono fare a meno di scoppiare a ridere, ritenendolo estremamente ridicolo sia fisicamente che per gli abiti da lui indossati; a peggiorare la situazione arriva una improvvisa ventata che fa volare il cappello dell’impiegato; quando quest’ultimo cade in terra, dove c’è fango, viene praticamente investito da un tram che sta passando proprio in quel punto. Le ragazze vanno in visibilio e si torcono dalle risate, mentre il povero impiegato recupera il suo cappello distrutto e se ne va. L’ultima riflessione di Tozzi, assai amara, è in sostanza una filosofia di vita, ovvero un modo come un altro per affrontare con coraggio determinate situazioni sgradevoli e impreviste.


domenica 19 maggio 2013

Il cuore nella poesia italiana decadente e simbolista


Il cuore, come si sa, è il muscolo fondamentale che permette di vivere a tutti gli esseri, siano umani o animali; in poesia è altrettanto fondamentale da sempre, e lo è anche in ambito simbolista e decadente, dove viene posto al centro dell'attenzione non di rado, ed è molto spesso collegato al sangue, ovvero il simbolo della vita; vita che, sempre parlando di poesia simbolista,  spesso viene a mancare per dissanguamento (a tal proposito si leggano le poesie sotto citate di Corazzini e di De Rubris). Qualche altro poeta (Cena) pone l'attenzione sul rumore che fa il cuore umano, paragonato al galoppo del cavallo e, più avanti, ad un altro galoppo simbolico: quello della morte che si avvicina (in riferimento a ciò si legga anche "Scalpitìo" di Giovanni Pascoli). C'è poi chi vede il cuore come una "vecchia pergamena" o un "nido che pia", chi spiega come nacque il cuore dell'intera umanità e chi lo vede ormai morto. C'è, infine, chi ne parla quale sinonimo di anima, ovvero la sede dei pensieri più profondi e intensi, delle passioni più forti e delle emozioni indimenticabili.



Poesie sull'argomento

Ugo Betti: "Il cuore sepolto" in "Il Re pensieroso" (1922).
Umberto Bottone: "Il mio cuore" in "Lumi d'argento" (1906).
Paolo Buzzi: "Al cuore" in "Aeroplani" (1909).
Luigi Capuana: "L'albergo del cuore" in "Semiritmi" (1888).
Giovanni Cena: "Il cuore" in "In umbra" (1899).
Sergio Corazzini: "Il mio cuore" in "Dolcezze" (1904).
Sergio Corazzini: "Rime del cuore morto" in "L'amaro calice" (1905).
Adolfo De Bosis: "Ho, dentro, un nido che pia?..." in "Amori ac silentio e Le rime sparse" (1914).
Federico De Maria: "Il primo cuore" in "La Ritornata" (1932).
Marcus De Rubris: "­Cuor che sanguina" in "La Veglia" (1910).
Luigi Donati: "Il Cuore Sincero" in "Le ballate d'amore e di dolore" (1897).
Alessandro Giribaldi: "Oh cuor mio fervido e puro!" in "Canti del prigioniero e altre liriche" (1940).
Remo Mannoni, "Cuore strano" in «Marforio», luglio 1903.
Enzo Marcellusi: "Il martirio" e "Crak sentimentale" in "I canti violetti" (1912).
Nicola Moscardelli: "Il funerale" in "La Veglia" (1913).
Nino Oxilia: "O mio cuore, o mio cuore..." in "Canti brevi" (1909).
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: "Ai cuori solitari" in "Sonetti e poemi" (1910).





Testi

IL CUORE
di Giovanni Cena

Or mentre a me ricama
l'arte o rattoppa
alcuna futile trama,
un cavallo remoto galoppa.

Piano, come di state
su paglia o loppa
nell'aie già trebbiate.
È il mio povero cuor che galoppa.

È il mio cuore. Il destino
gli siede in groppa.
Sento: lontano vicino
lo scalpito fitto galoppa.

Animal generoso
era, di troppa
foga: oggi implora il riposo
Oh galoppa, galoppa, galoppa!

Ma il mostro che l'infrena
stringe e s'aggroppa
qual serpe, nè gli dà lena.
Oh galoppa, galoppa, galoppa!

Giovine, e quasi d'occhi
cieco, s'intoppa
e piegan fiacchi i ginocchi
O mio cuore, galoppa, galoppa!

Ma la morte sorgiunge
che non è zoppa.
L'ascolti? Più non è lunge
Non è lunge. Pur ella galoppa.

(Da "In umbra")

mercoledì 15 maggio 2013

"Crisalide" di Diego Valeri




"Crisalide" è il titolo della quarta raccolta poetica dello scrittore e critico Diego Valeri (Piove di Sacco 1887 - Roma 1976). Il libro uscì la prima volta nel 1919, per l'editore Taddei in Ferrara; seguì nel 1921 una seconda edizione pressochè identica se si eccettua la sostituzione di una poesia con un'altra. L'edizione del '21 (vedi immagine sopra), di 172 pagine, è suddivisa nelle seguenti sezioni: SPECCHIO; PREGHIERE; PIANOFORTE; ...CETTE VIE DE FLEURS, DE FEMMES ET DE DOULEURS PAREE; STRADE; LUCI-OMBRE; IMPROVVISI; NUVOLADORO; VOCI DEL TRAMONTO; GRIDO. Queste sono precedute da una breve prosa che porta il titolo "a Ginetta Baldo" e sono seguite dalle note del poeta veneto.
Aprendo il libro, già nelle prime pagine s'incontrano liriche brevi ma molto belle come Nuvola, Alba e Rondini, quest'ultima fotografa in quattro soli versi le immagini di uno stato d'animo tramite la trasformazione delle rondini nel cielo in piccole croci nere: «Rondini allegre, rondini leggere, / in giro in giro, vorticosamente: / ma nello specchio del mio cuor dolente / tante piccole croci nere nere...». Proseguendo la lettura, a pagina 28 c'è una poesia che ricorda la guerra finita da poco, ma non si tratta di un inno vittorioso, non c'è nessun segno di gloria e di eroismo, bensì c'è la profonda e sentita pena per i tanti morti seppelliti sotto le Croci di legno: «siepi di croci a guardia d'una gente, / trincee di tombe a guardia d'un amore; / croci di legno confitte nel cuore / di tutta la straziata umanità...». Bellissima è tutta la sezione Pianoforte, dove il poeta trae l'ispirazione dei suoi versi da composizioni per piano di autori famosi quali Chopin e Debussy, particolarmente dolce e suadente risulta Serenata per la bambola soprattutto nei primi versi: «(Piano, chitarra, fa' piano! / Destarla vogliamo / pian piano, pian piano...) / / Oh, come soave posate, / regina di tutta dolcezza, / dentro la nuvola d'oro e di rosa / di vostra bellezza!». A pagina 63 c'è la poesia intitolata Maggio in cui Valeri in pochi versi descrive con aggettivi particolarmente "forti" il mese in cui la primavera si mostra in tutte le sue energie vitali: «Maggio, soave malattia del mondo! / Fiamma grande di rose pei giardini, / trionfi d'oro in cieli porporini, / febbre di dolci carni in freschi lini...». Sul lago (p. 72) è una lirica che nei primi versi racconta la rumorosità e la confusione cittadina: «Turbine verde; bianche apparizioni / di città, con le chiese e con le vie; / lunghe e fosche muraglie di vagoni; / fantasmi di stazioni; / urli e nero fragor di gallerie...»; poi il tono cambia: ormai è notte e il poeta si trova davanti ad un paesaggio lacustre che si contrappone a quello della città, poichè lo caratterizza il silenzio e un'atmosfera sognante: «Fruscii di seta; qualche tuffo raro... / Il silenzio mi scende in fondo al cuore, / come l'ebrietà d'un vino amaro...». A pagina 85 Valeri parla dei suoi Giorni sul mare pieni di colori: «Giorni di sole sul mare, / verdi e turchini, d'indaco e d'opale, / d'ametista e d'acciaio». Accanto al poeta c'è una presenza femminile "solare": «E, accanto a me, la grazia risplendente / della vostra biondezza, / e il riso cilestrino / dei vostri occhi colore del mattino...». Alla fine di questa vacanza balneare rimarranno ricordi indelebili e consolatori: «io porterò con me, / per le più buie e squallide giornate, / per le vie più deserte e sconsolate, / tanto tanto colore, e tanto cuore: / una infinita musica di luce, / un abbagliante magico tesoro / di favoloso re...». E alla donna cosa lascerà il poeta in ricordo di quei giorni? solo e soltanto parole: «Parole, ecco, egli dona; / ma son pallide e vane / come i fiori, i ricami e le collane /che il cupo mare della sera getta / alla spiaggia rosata...». In Finestra illuminata (p. 93), dopo aver descritto un paesaggio serale inospitale e tetro, il poeta si sofferma sull'unica nota lieta che si coglie in tanta desolazione: «E tu risplendi ed ardi come un cuore / - gioia o dolore -, / unico fiore della triste sera / disincantata, / finestra illuminata». La sezione Improvvisi ha come prima poesia I mattini d'allora che parla di tempi lontani e felici rimpianti fortemente da Valeri, probabilmente si tratta del periodo ingenuo, sincero e spensierato della prima gioventù: «I mattini d'allora!... Ci traevano incantati / a veder le robinie piegate dalla rugiada, / i giaggioli d'oro su le prode dei fossati, / le miglie meraviglie della strada. / / I mattini d'allora!... d'allora!... Il nostro cuore / era semplice e buono e senza ferita. / Un'amata ci dava tutto il suo amore: / la Vita». Alla fine della sezione poco fa citata ci sono due brevi poesie comprese sotto il titolo Autunnali, la seconda di esse possiede toni marcatamente crepuscolari: «È l'ora delle soavi disperazioni. / È l'ora delle profonde rassegnazioni. / È l'ora delle inattese consolazioni. / / L'ora del dolce morire, anima mia. / Così sia». Concludo la breve disamina della raccolta citando alcuni versi di una poesia presente nella sezione Voci del tramonto dove in ogni lirica è come se parlassero ed esprimessero i loro pensieri personaggi tra i più svariati (giovani, giovinette, contadini, prigionieri, soldati ecc.); in Bimbo è proprio un bambino a parlare ed a dichiarare che tutto il mondo è stato creato per la felicità unica, che si prova soltanto nell'età infantile: «Mondo, mondo d'oro, / io sono il tuo piccolo re. / Quanto è bello e buono, / tutto fu fatto per me. / [...] / Mondo, dolce mondo, / io sono il tuo piccolo re. / Giro giro tondo: / tutta la gioia è per me».

mercoledì 8 maggio 2013

Antologie:"Torino Art Nouveau e Crepuscolare"


"Torino Art Nouveau e Crepuscolare. Poeti e luoghi della poesia" è l'intero titolo di un'antologia poetica curata da Roberto Rossi Precerutti e pubblicata da Crocetti Editore in Milano nel 2006. È un libro, secondo me, molto interessante perché ripropone, nella parte antologica, i testi di alcuni poeti piemontesi oggi totalmente sconosciuti, che pure ebbero una certa fama all'inizio del XX secolo, per il semplice motivo che i loro versi possedevano un fascino non comune. Erano, quelli, poeti che spesso si rifacevano alle modalità liriche di alcuni movimenti fondamentali di fine Ottocento e d'inizio Novecento: simbolismo, decadentismo, crepuscolarismo; molti di loro subirono l'influenza di grandissimi scrittori del secondo Ottocento sia italiani (Giosue Carducci, Giovanni Pascoli e Gabriele D'Annunzio) sia stranieri (Charles Baudelaire, Paul Verlaine). Tutti vissero, per un certo periodo della loro esistenza, a Torino, e nel capoluogo piemontese si sviluppò il loro talento poetico, grazie all'incomparabile clima letterario che si poteva respirare, nei primissimi anni del XX secolo, in quella città. Alcuni di loro furono maestri stimati, molti altri allievi appassionati; alcuni si conobbero sui banchi dell'Università di Torino e lì strinsero amicizia. Si tratta, insomma, di una generazione di poeti che, pur nelle loro evidenti differenze, contribuirono con le loro opere scritte e pubblicate nell'arco di un trentennio, a creare quel clima un po' liberty e un po' crepuscolare, un po' simbolista e un po' decadente, che oggi appare incredibilmente unico e irripetibile. Dopo l'immagine della copertina anteriore del libro, chiude il post l'elenco dei poeti antologizzati.





Giovanni Camerana, Arturo Graf, Enrico Thovez, Ernesto Ragazzoni, Giovanni Cena, Cosimo Giorgieri Contri, Francesco Pastonchi, Massimo Bontempelli, Emanuele Sella, Giulio Gianelli, Antonio Rubino, Amalia Guglielminetti, Carlo Chiaves, Guido Gozzano, Carlo Vallini, Nino Oxilia, Giovanni Croce.   

domenica 5 maggio 2013

Poeti dimenticati: Silvio Catalano


Tommaso Silvio Catalano nacque a San Buono, in provincia di Chieti, nel 1890 e morì a Bologna nel 1966. Poeticamente esordì a venticinque anni con una raccolta che molto si accostava al frammentismo di voga nell'ambito di quegli scrittori che facevano riferimento alla rivista "La Voce". Allontanatosi da tale esperienza, rimase appartato dagli ambienti letterari più in vista, pur continuando a pubblicare poesie in libri che mostrano una tendenza all'ironia e alla fredda contemplazione degli eventi naturali.



Opere poetiche

"Cose", Libreria della Voce, Firenze 1915.
"Canzoni della discordia", Edizioni Lambda, Milano 1928.
"Sette sassi", Edizioni del Milione, Milano 1937.
"Il pescatore di lucciole", Edizioni del Taccuino, Milano 1950.
"Ruolo transitorio", Intelisano, Milano 1957.






Presenze in antologie

"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. 2, pp. 10-19).
"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 657-661).




Testi

RICHIAMO

Nel gran mare del Tempo, la campana
dei morti chiama i naufraghi alla riva,
con voce, al vento, ora grave e ora vana,
come di tomba che a un tratto riviva.

Altro non s'ode al soffio dell'inverno,
se non la voce alterna dell'Eterno,
sopra la gente che pare sotterra,
sotto un coverchio che il gelo rinserra.

Nel gran mare del Tempo, la campana
dei morti chiama i naufraghi alla riva,
con voce, al vento, ora grave e ora vana,
come di tomba che a un tratto riviva.

(Da "Canzoni della discordia")