domenica 19 ottobre 2025

La poesia di Nino Oxilia

 Angelo Oxilia (Nino era il suo nome d'arte) nacque a Torino nel 1889 e morì sul Monte Tomba, durante un cruento combattimento nel corso della Prima Guerra Mondiale, nel novembre del 1917. Il primo sanguinosissimo conflitto bellico che sconvolse l'Europa, portandosi via un numero altissimo di giovani uomini, pose fine a una vita artistica decisamente geniale e in fase evolutiva, quale era quella di Oxilia: un talento poetico, ma anche e soprattutto teatrale e cinematografico, visto che fu l'autore, insieme a Sandro Camasio (1886-1913), della celebre commedia Addio giovinezza!; significative anche le sue partecipazioni, da sceneggiatore, aiuto regista e regista, in diverse pellicole del secondo decennio del XX secolo. Oxilia, dopo aver pubblicato dei versi su qualche rivista piemontese, debuttò ufficialmente nel mondo della poesia italiana a venti anni, con una raccolta che mostra le sue vicinanze al crepuscolarismo, e in particolare a quell'ambiente torinese di giovani scrittori che frequentarono le lezioni di storia della letteratura, tenute in un'aula dell'Università di Torino da Arturo Graf nei primi anni del Novecento. Purtroppo, a causa della sua precoce dipartita, Oxilia non fece in tempo a pubblicare un secondo volume di versi, uscito postumo e incompleto un anno dopo la sua scomparsa. Qui, si nota un drastico cambiamento, sia dello stile che delle tematiche; pur rimanendo fedele agli stilemi crepuscolari, Oxilia inserisce spunti decisamente moderni, che lo avvicinano al Futurismo; inoltre si fa sempre più evidente una propensione all'ironia e allo sbeffeggiamento, che probabilmente derivano da illustri poeti più o meno coetanei come Gozzano e Palazzeschi. Quello che si può affermare con pressoché assoluta certezza, è che Oxilia, dotato di un talento artistico non indifferente, se non fosse caduto durante la guerra, avrebbe proseguito la sua carriera teatrale, cinematografica e poetica, elaborando e sviluppando ancor di più i suoi lavori in chiave modernistica. Ma il suo vigoroso ed entusiasta percorso - e ciò rammarica alquanto - fu interrotto da una stupida, inutile e quanto mai sanguinosa guerra, simile a tutte quelle che la precedettero e la seguirono, e che causarono solamente lutti su lutti. Chiudo riportando i titoli delle opere poetiche di Oxilia, seguiti da tre sue composizioni in versi.


Sandro Camasio e Nino Oxilia



Opere poetiche


"Canti brevi", Spezia, Torino 1909.

"Gli orti", Alfieri & Lacroix, Milano 1918.

"Poesie", Guida, Napoli 1973.



Testi


O MIO CUORE...


O mio cuore, o mio cuore dai fremiti selvaggi

che a la voragine guati 


e ridi e soffri e ghigni del vuoto ove cadrai

con tutti gli altri cuori,


povero vecchio cuore, il pianto che ti viene

è quello della vita.


Ascolta ancora e sempre. Pria di cader nel buio 

discernerai le voci.


Voci lunghe di pianto e ululati di vinti,

risa livide e bieche.


Il fischio dell'egoismo, il tremito dell'ira,

le melodie dell'odio.


Orgoglio e gelosia, invidia, accidia, insidia,

forte tra sé cozzanti.


Il banchetto di Satana sugli avanzi di Dio:

dopo il prete becchino.


O mio cuore saluta quella forza che rugge,

inchinati e saluta!


Tu non sei degno ancora della città sovrana,

attendi o cuore e impara.


(da "Poesie", Guida, Napoli 1973, p. 43)





IO PORTO IN ME UN'OASI DI LUCE


I

Noi andavamo. La notte in alto moriva, trafitta

da piccole stelle rare.

L’automobile chiusa parea scivolare

nella tenebra fitta.

Pareva scivolare come oasi di luce errabonda

e il riflesso svelava all’improvviso

un casolare, un viso,

apparsi, riassorbiti nella tenebra profonda.

Tu, rannicchiata tra i cuscini bianchi,

illimitavi nell’oasi di luce la testa bionda

e gli occhi stanchi.

Tuo marito nel frac

pareva più corpulento

e discorreva con viso contento

delle vergogne del Parlamento

e degli articoli di Rastignac.

Tu sorridevi... Fuori la notte senza vento.

Dentro la luce sui lisci legni e i velluti, tra

i cristalli e i cuscini: un’illusione palese

di immobile velocità...

Tu sorridevi... Il cane giapponese

ti mordeva la caviglia

sottile.

E tuo marito discorreva: «Oxilia,

creda. La folla è vile.

Occorre un gesto. Bisogna decidere.

Un gesto...».

                     Tu continuavi a sorridere.

E l’oasi di luce vagabonda

svelava all’improvviso alberi in fuga

nella tenebra profonda...

— «Sì, certo. Lottare, educare

le masse...». Una piccola ruga

sulla tua chiara fronte lineare

palpitò lieve

come va l’ombra d’un insetto alato

sulla neve...

— «È un dovere portarsi a deputato».

I piccoli denti del cane

strisciavano sulla seta lucida

della caviglia sottile.

L’oasi di luce rivelò lontane

chiome di pini, un arco, un campanile,

una casa sucida.

E cantammo le canzoni napoletane.



II

Come le suore in atto di preghiera 

premono tra palma e palma 

l'immagine della Vergine Maria, 

così porto nel mio cuore 

un'oasi di luce, un'armonia, 

di sorriso e di calma.

E più profonda è l'ombra, più riluce.

La porto nella pace e nella guerra,

tra gli esseri diversi, ove si vive

e si piange e si spera;

per le pianure della terra,

per i viottoli della chimera;

tra donne caste e femmine lascive;

tra le ortiche e tra i rosai;

ove il cuore s'infanga, ove s'inciela;

e l'oasi di luce mi rivela

cose che gli altri non han visto mai.

La porto nelle bolge 

dell'acciaio, tra i tentacoli

vibranti

della folla onesta o truce,

nell'impeto del tempo che travolge,

e più sono gli ostacoli

difficili a superarsi,

più godo a balzi ferini

divorare lo spazio,

perché sento illimitarsi

la serena oasi di luce

come un lago che sconfini

nel mio cuore di topazio.


(da "Poesie", Guida, Napoli 1973, pp. 113-115)





MA NON LE DISSI NULLA...


Le nubi erano chine

sugli alberi violetti come l'onda

delle sue ciglia sopra la profonda

orbita azzurra. - Delle sue divine

forme la grazia acerba

modellava la veste

del colore che ha il collo del pavone.

Come una ninfa agreste

Ella sedea sull'erba.

Era il mattino: il tempo delle buone

frutta e dei baci e dei madrigaletti.

Ella taceva e ai lenti gesti stanchi

suonavano i suoi venti braccialetti

sui polsi bianchi.


Il suo cache-nez sbattendo i lembi gialli

m'inebriava gli occhi.

Ella tenea le mani sui ginocchi

uniti e sulle mani il volto pallido. -

...Ma non le dissi nulla.


Si chiudeva sugli alberi più basso

il gioco delle nubi e sui sereni

occhi le ciglia molli. Sulle reni

si drizzò, si levò, Ella. Ed il passo


dei suoi piccoli piedi ridea sulla

verde pianura in atto

leggiadro. Il cuor mi si confuse, a un tratto.

Ma non le dissi nulla.


Poi della veste un lembo,

mi sfiorò lieve e ne tremai. Con molto

garbo appoggiata a un tronco di betulla,

Ella prese a cantare

acconciando sul grembo

i fiori che aveva raccolto:

io mi sentii mancare.

Ma non le dissi nulla.


Io non le dissi nulla e non mi mossi

perché un nuovo pensiero mi teneva.

Ella correva

sotto i penduli rami e tra le foglie,

dietro i cespugli rossi.

Ed io pensavo. Ella sarà mia moglie.


E pur oggi, al ricordo

di quel giorno di calma,

io non corro alla casa di sua madre,

ma battendo palma a palma

tento il ritmo di un accordo

con rime leggiadre,


perché nel nostro amore musicale

tutta la nostra vita è travolta

senza parole, come qualche volta

io travolgo il mio palpito mortale

in una lirica sciolta.


(da "Poesie", Guida, Napoli 1973, pp. 143-144)


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