Angelo Oxilia (Nino era il suo nome d'arte) nacque a Torino nel 1889 e morì sul Monte Tomba, durante un cruento combattimento nel corso della Prima Guerra Mondiale, nel novembre del 1917. Il primo sanguinosissimo conflitto bellico che sconvolse l'Europa, portandosi via un numero altissimo di giovani uomini, pose fine a una vita artistica decisamente geniale e in fase evolutiva, quale era quella di Oxilia: un talento poetico, ma anche e soprattutto teatrale e cinematografico, visto che fu l'autore, insieme a Sandro Camasio (1886-1913), della celebre commedia Addio giovinezza!; significative anche le sue partecipazioni, da sceneggiatore, aiuto regista e regista, in diverse pellicole del secondo decennio del XX secolo. Oxilia, dopo aver pubblicato dei versi su qualche rivista piemontese, debuttò ufficialmente nel mondo della poesia italiana a venti anni, con una raccolta che mostra le sue vicinanze al crepuscolarismo, e in particolare a quell'ambiente torinese di giovani scrittori che frequentarono le lezioni di storia della letteratura, tenute in un'aula dell'Università di Torino da Arturo Graf nei primi anni del Novecento. Purtroppo, a causa della sua precoce dipartita, Oxilia non fece in tempo a pubblicare un secondo volume di versi, uscito postumo e incompleto un anno dopo la sua scomparsa. Qui, si nota un drastico cambiamento, sia dello stile che delle tematiche; pur rimanendo fedele agli stilemi crepuscolari, Oxilia inserisce spunti decisamente moderni, che lo avvicinano al Futurismo; inoltre si fa sempre più evidente una propensione all'ironia e allo sbeffeggiamento, che probabilmente derivano da illustri poeti più o meno coetanei come Gozzano e Palazzeschi. Quello che si può affermare con pressoché assoluta certezza, è che Oxilia, dotato di un talento artistico non indifferente, se non fosse caduto durante la guerra, avrebbe proseguito la sua carriera teatrale, cinematografica e poetica, elaborando e sviluppando ancor di più i suoi lavori in chiave modernistica. Ma il suo vigoroso ed entusiasta percorso - e ciò rammarica alquanto - fu interrotto da una stupida, inutile e quanto mai sanguinosa guerra, simile a tutte quelle che la precedettero e la seguirono, e che causarono solamente lutti su lutti. Chiudo riportando i titoli delle opere poetiche di Oxilia, seguiti da tre sue composizioni in versi.
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Sandro Camasio e Nino Oxilia |
Opere poetiche
"Canti brevi", Spezia, Torino 1909.
"Gli orti", Alfieri & Lacroix, Milano 1918.
"Poesie", Guida, Napoli 1973.
Testi
O MIO CUORE...
O mio cuore, o mio cuore dai fremiti selvaggi
che a la voragine guati
e ridi e soffri e ghigni del vuoto ove cadrai
con tutti gli altri cuori,
povero vecchio cuore, il pianto che ti viene
è quello della vita.
Ascolta ancora e sempre. Pria di cader nel buio
discernerai le voci.
Voci lunghe di pianto e ululati di vinti,
risa livide e bieche.
Il fischio dell'egoismo, il tremito dell'ira,
le melodie dell'odio.
Orgoglio e gelosia, invidia, accidia, insidia,
forte tra sé cozzanti.
Il banchetto di Satana sugli avanzi di Dio:
dopo il prete becchino.
O mio cuore saluta quella forza che rugge,
inchinati e saluta!
Tu non sei degno ancora della città sovrana,
attendi o cuore e impara.
(da "Poesie", Guida, Napoli 1973, p. 43)
IO PORTO IN ME UN'OASI DI LUCE
I
Noi andavamo. La notte in alto moriva, trafitta
da piccole stelle rare.
L’automobile chiusa parea scivolare
nella tenebra fitta.
Pareva scivolare come oasi di luce errabonda
e il riflesso svelava all’improvviso
un casolare, un viso,
apparsi, riassorbiti nella tenebra profonda.
Tu, rannicchiata tra i cuscini bianchi,
illimitavi nell’oasi di luce la testa bionda
e gli occhi stanchi.
Tuo marito nel frac
pareva più corpulento
e discorreva con viso contento
delle vergogne del Parlamento
e degli articoli di Rastignac.
Tu sorridevi... Fuori la notte senza vento.
Dentro la luce sui lisci legni e i velluti, tra
i cristalli e i cuscini: un’illusione palese
di immobile velocità...
Tu sorridevi... Il cane giapponese
ti mordeva la caviglia
sottile.
E tuo marito discorreva: «Oxilia,
creda. La folla è vile.
Occorre un gesto. Bisogna decidere.
Un gesto...».
Tu continuavi a sorridere.
E l’oasi di luce vagabonda
svelava all’improvviso alberi in fuga
nella tenebra profonda...
— «Sì, certo. Lottare, educare
le masse...». Una piccola ruga
sulla tua chiara fronte lineare
palpitò lieve
come va l’ombra d’un insetto alato
sulla neve...
— «È un dovere portarsi a deputato».
I piccoli denti del cane
strisciavano sulla seta lucida
della caviglia sottile.
L’oasi di luce rivelò lontane
chiome di pini, un arco, un campanile,
una casa sucida.
E cantammo le canzoni napoletane.
II
Come le suore in atto di preghiera
premono tra palma e palma
l'immagine della Vergine Maria,
così porto nel mio cuore
un'oasi di luce, un'armonia,
di sorriso e di calma.
E più profonda è l'ombra, più riluce.
La porto nella pace e nella guerra,
tra gli esseri diversi, ove si vive
e si piange e si spera;
per le pianure della terra,
per i viottoli della chimera;
tra donne caste e femmine lascive;
tra le ortiche e tra i rosai;
ove il cuore s'infanga, ove s'inciela;
e l'oasi di luce mi rivela
cose che gli altri non han visto mai.
La porto nelle bolge
dell'acciaio, tra i tentacoli
vibranti
della folla onesta o truce,
nell'impeto del tempo che travolge,
e più sono gli ostacoli
difficili a superarsi,
più godo a balzi ferini
divorare lo spazio,
perché sento illimitarsi
la serena oasi di luce
come un lago che sconfini
nel mio cuore di topazio.
(da "Poesie", Guida, Napoli 1973, pp. 113-115)
MA NON LE DISSI NULLA...
Le nubi erano chine
sugli alberi violetti come l'onda
delle sue ciglia sopra la profonda
orbita azzurra. - Delle sue divine
forme la grazia acerba
modellava la veste
del colore che ha il collo del pavone.
Come una ninfa agreste
Ella sedea sull'erba.
Era il mattino: il tempo delle buone
frutta e dei baci e dei madrigaletti.
Ella taceva e ai lenti gesti stanchi
suonavano i suoi venti braccialetti
sui polsi bianchi.
Il suo cache-nez sbattendo i lembi gialli
m'inebriava gli occhi.
Ella tenea le mani sui ginocchi
uniti e sulle mani il volto pallido. -
...Ma non le dissi nulla.
Si chiudeva sugli alberi più basso
il gioco delle nubi e sui sereni
occhi le ciglia molli. Sulle reni
si drizzò, si levò, Ella. Ed il passo
dei suoi piccoli piedi ridea sulla
verde pianura in atto
leggiadro. Il cuor mi si confuse, a un tratto.
Ma non le dissi nulla.
Poi della veste un lembo,
mi sfiorò lieve e ne tremai. Con molto
garbo appoggiata a un tronco di betulla,
Ella prese a cantare
acconciando sul grembo
i fiori che aveva raccolto:
io mi sentii mancare.
Ma non le dissi nulla.
Io non le dissi nulla e non mi mossi
perché un nuovo pensiero mi teneva.
Ella correva
sotto i penduli rami e tra le foglie,
dietro i cespugli rossi.
Ed io pensavo. Ella sarà mia moglie.
E pur oggi, al ricordo
di quel giorno di calma,
io non corro alla casa di sua madre,
ma battendo palma a palma
tento il ritmo di un accordo
con rime leggiadre,
perché nel nostro amore musicale
tutta la nostra vita è travolta
senza parole, come qualche volta
io travolgo il mio palpito mortale
in una lirica sciolta.
(da "Poesie", Guida, Napoli 1973, pp. 143-144)
E' un poeta a me sconosciuto!
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