domenica 24 maggio 2015

Gli alberi in 10 poesie di 10 poeti italiani del XIX secolo

AD UN SALICE
di Giovanni Camerana (1845-1905)

Triste, languente,
Chino sul tuo torrente
Come bella sul petto all’amator,
Sempre tu piangi, o salice.

Riso beato
Sfolgora pel creato;
Letizia e pace spiran l’erbe e i fior;
Tu solo piangi, o salice.

E un dì quest’onda
Oserà, furibonda,
Strapparti al nido de’ tuoi mesti amor;
E tu morrai, bel salice.

Ier nell’avello
Fu posto un giovincello
Al dolor nato e ucciso dal dolor...
Così morrai, bel salice.

(Da "Poesie", Einaudi, Torino 1968)





AI LAURI
di Gabriele D'Annunzio (1863-1938)

Lauri, che ne la grande ombra severa
accoglieste il pensoso adolescente,
parlatemi di lui, la prima sera.

Parlatemi di lui benignamente
vecchi lauri, però ch'egli forse ode;
però ch'egli è lontano e pur presente.

Quanto v'amava il giovine custode!
E quante volte a la sua fronte amica
tendeste i rami in ascoltar la lode!

Egli leggea quel libro ove pudica
l'Anima geme, lacrima e desìa
chiusa nel velo d'una Grazia antica.

Lento d'intorno il bel giardin salìa
fiorendo, come un sogno dal cuor sale;
rigato da la pura melodìa,

in una luce insolita spirtale
che non era del cielo ma sul mondo
effusa da la pagina immortale.

O lauri, io son colui. Non più m'ascondo.
Io son colui che lesse il libro e vide
quella luce e gioì nel cor profondo.

Tutto è perduto? Il raggio ultimo irride
nel gran bacino l'acqua putre e scarsa;
il paone su l'alto muro stride;

tra la gramigna livida e riarsa
giacciono spenti i cari iddii del loco...
Ogni divinità dunque è scomparsa?

Sol giunge suono di campane fioco.
A qual dolore l'onda pia si frange!
L'ombra invade una casa a poco a poco,

la triste casa ove mia madre piange.

(Da "Poema paradisiaco", Treves, Milano 1893)





UN PINO
di Severino Ferrari (1856-1905)

Calan l'ombre estive e il gelo:
già la terra è tutta bruna;
ma sorride, ecco,  la luna
tra le nuvole del cielo;

e a quel pin dall'arduo stelo
di selvaggi augelli cuna
ch'ombre orrende al piano aduna,
scende bianca in bianco velo.

L'alto pin muove crucciosi
i suoi rami, come braccia
di giganti minacciosi.

Tu impauri; e al suol la faccia
chini e i grandi occhi amorosi...
Vedi, è un arbor che minaccia.

(Da "Sibi suis", Zanichelli, Modena 1876)





L'ARANCIO
di Cosimo Giorgieri Contri (1870-1943)

Non altiero, non snello; e pur tra cento
ti riconosco, o dolce arbor giulìo,
tu che doni al mio tosco aer natio
bei frutti d'oro e bei fiori d'argento:

tu che ombreggi i belli orti ove ancor sento
tacito indugiar l'animo mio:
e dove il dì ch'ella mi disse addio
colsi un tuo fiore che sperdeasi al vento.

Gracile fior, di vergini pensiero,
che cingere a la sua tenera chioma
ah! ne' dì che saranno io non dispero.

Onde tu serba, o dolce albero, il fiore
tuo più leggiadro e del più molle aroma,
e destinalo tu pel nostro amore...

(Da "Il convegno dei cipressi", Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1894)





TRA I CIPRESSI
di Domenico Gnoli (1838-1915)

Informe gruppo di cipressi neri
Che coronate la solinga vetta,
Rosi dagli anni, arsi da la saetta,
Come il mio capo da foschi pensieri;

Ch'or tra livide fonti, irti sentieri
E logge ove s'annida la civetta,
E un dì versaste l'ombra giovinetta
Sovr'amori di dame e cavalieri;

Qui, ne' silenzi lugubri, sospendo
Una piccola bara; il vento mesto
La culli a sera, tra i rami stridendo.

Non dite il nome e le vicende sue.
Su la coltre non ho scritto che questo:
- Anno mille ottocento ottantadue. -

(Da "Nuove odi tiberine", Loescher, Torino 1885)





VECCHI ONTANI
di Arturo Graf (1848-1913)

Ai vecchi ontani il vento,
Ghignando, urlando, narra
Non so che storia lugubre e bizzarra,
Non so che storia d’ira e di spavento.

Tremanti di paura,
Sotto il gel che li allaccia,
I vecchi ontani al cielo ergon le braccia
Gemendo a gara nella notte oscura.

(Da "Dopo il tramonto", Treves, Milano 1893)





SORRIDE L'ARGENTO DEI TIGLI
di Domenico Oliva (1860-1917)

Sorride l'argento dei tigli
All'ombre sorride tranquille
Un vago colore di gigli
Blandisce le umane pupille.

Il vento carezza ed olezza
Profuma soavi bisbigli,
Baciato da questa mitezza
Sorride l'argento dei tigli.

O sera, bellissima sera,
O luna, bellissima luna,
O musica errante e leggera
Per l'ombra fantastica e bruna,

Voi fate una grande armonia
E il core vi dice preghiera,
Il core blandizie t'invia,
O sera, bellissima sera.

(Da "Il ritorno", Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1896)





LA QUERCIA CADUTA
di Giovanni Pascoli (1855-1912)

Dov’era l’ombra, or sé la quercia spande
morta, né più coi turbini tenzona.
La gente dice: Or vedo: era pur grande!

Pendono qua e là dalla corona
i nidietti della primavera.
Dice la gente: Or vedo: era pur buona!

Ognuno loda, ognuno taglia. A sera
ognuno col suo grave fascio va.
Nell’aria, un pianto... d’una capinera

che cerca il nido che non troverà.

(Da "Poemetti", Sandron, Milano-Palermo 1900)





RIVEDENDO UN VECCHIO CASTAGNO
di Luigi Pinelli (1840-1913)

Tale è ancor l'aspro tronco, e una famiglia
Di gracili rampolli a la tua negra
Ombra crescenti, a te: - Padre, - bisbiglia,
- Lasciane l'aer che da 'l sol s'allegra.

Tu, come l'uom che avvalla a 'l suol le ciglia
Scorato, guardi e fremi dentro a l'egra
Anima antica che non più somiglia
A quella de' bei dì salda ed integra.

E par che pensi: questa che a me sale
È voce di minaccia o di preghiera?
È la vita o la morte che mi assale?

Saggio castagno, non cercar; l'austera
Testa concedi a 'l nembo trionfale,
A i folgori rubesti, a la bufera.

(Da "Dai nostri poeti viventi", Lumachi, Firenze 1903) 





ERO CILIEGIO...
di Giacomo Zanella (1820-1888)

Ero ciliegio: cento volte e cento
I miei rubini maturai: dal suolo
Dopo lunga tenzon sterpommi il vento,
Ed alle man passai dal legnaiuolo.

Fui segato, piallato, ebbi ornamento
Di vernici e di vetri. Ora uno stuolo
Di morti, che immortale hanno l'accento,
Alla polve e de' topi al dente involo.

Guardo Omero, Platone, Orazio e Dante.
Dell'onor che m'è fatto e del riposo
Invidia avranno piú superbe piante;

Io, se il destin mi ridonasse un'ora
Della mia gioventù, volenteroso
Andrei co' venti ad azzuffarmi ancora.

(Da "Opere", Neri Pozza, Vicenza 1988) 

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