Ecco venti
componimenti in versi che contraddistinsero gli anni della mia infanzia. Sto
parlando di oltre quaranta anni fa, quando, frequentando le scuole elementari e
medie, mi capitava di dover leggere e, in alcuni casi, imparare a memoria delle
poesie. Spesso, questa operazione forzata, non mi portava ad apprezzare
moltissimo quei versi: a volte ebbi anche dei brutti voti sul registro
scolastico perchè non seppi o non volli imparare perfettamente a memoria una
certa poesia. Ma, ritrovati quei vecchi libri scolastici e, riletti dopo tanti
anni quei versi, mi è sopravvenuta un'enorme nostalgia per un tempo perduto e
irripetibile; ed ora so apprezzare quelle poesie così come quei poeti che, coi
loro futili versi, riempivano le pagine delle antologie scolastiche di qualche
decennio fa.
Leggendole attentamente, si noterà che prevalgono alcuni autori famosi come Giovanni Pascoli o Gianni
Rodari, ma non mancano illustri sconosciuti che in vita, spesso e volentieri,
professarono l'insegnamento, e solo per passione scrissero dei versi in genere
destinati ai bambini. Gli argomenti dei testi qui presenti riguardano in molti
casi la natura, le stagioni dell'anno e gli eventi festivi: cose che col
passare degli anni erroneamente vengono marginalizzate a vantaggio di altre
assai meno importanti ed emozionanti; sono però presenti anche un paio di
componimenti prettamente patriottici che non potevano assolutamente mancare,
data la loro rilevanza e dato che rimangono particolarmente impressi nella memoria anche a distanza
di tanti anni. Quasi tutte le poesie sono state trascritte direttamente dai
testi scolastici e da altri indirizzati al pubblico infantile che ancora
posseggo; fa eccezione La notte santa
di Guido Gozzano, che non compare in alcuno dei libri da me consultati, ma che ben
ricordo di aver scritto sul mio quadernetto sotto dettatura della maestra.
X AGOSTO
di Giovanni Pascoli
(1855-1912)
San Lorenzo, io lo so
perché tanto
di stelle per l'aria
tranquilla
arde e cade, perché
sì gran pianto
nel concavo cielo
sfavilla.
Ritornava una rondine
al tetto:
l'uccisero: cadde tra
spini:
ella aveva nel becco
un insetto:
la cena de' suoi
rondinini.
Ora è là, come in
croce, che tende
quel verme a quel
cielo lontano;
e il suo nido è
nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più
piano.
Anche un uomo tornava
al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti
occhi un grido:
portava due bambole
in dono…
Ora là, nella casa
romita,
lo aspettano,
aspettano in vano:
egli immobile,
attonito, addita
le bambole al cielo
lontano.
E tu, Cielo,
dall'alto dei mondi
sereni, infinito,
immortale,
oh! d'un pianto di
stelle lo inondi
quest'atomo opaco del
Male!
(Da "Quante
strade, vol I", Loffredo, Napoli 1976)
A MIA MADRE
di Edmondo De Amicis
(1846-1908)
Non sempre il tempo
la beltà cancella
O la sfioran le
lacrime e gli affanni;
Mia madre ha
sessant’anni,
E più la guardo e più
mi sembra bella.
Non ha un detto, un
sorriso, un guardo, un atto
Che non mi tocchi
dolcemente il core;
Ah se fossi pittore
Farei tutta la vita
il suo ritratto.
Vorrei ritrarla
quando inchina il viso
Perch’io le baci la
sua treccia bianca,
O quando inferma e
stanca
Nasconde il suo dolor
sotto un sorriso.
Ma se fosse un mio
prego in cielo accolto
Non chiederei del
gran pittor d’Urbino
Il pennello divino
Per coronar di gloria
il suo bel volto;
Vorrei poter cangiar
vita con vita,
Darle tutto il vigor
degli anni miei,
Veder me vecchio, e
lei
Dal sacrifizio mio
ringiovanita.
(Da "Nuova guida
al comporre", Casa Editrice A. & C., Torino-Roma)
APRILE
di Graziella Ajmone
(1912-1993)
Aprile che ridi
con occhi turchini,
che il dono del sole
accogli con gridi
di bimbi e di
rondini;
Aprile che odori
di vento e di viole,
di prati e di fiori,
Aprile giocondo,
tu sei mio fratello:
un bimbo che vede
bellissimo il mondo.
(Da "Il fiore
d'oro 2. Letture del 1° ciclo", Editrice Noseda, Como 1970)
UN BAMBINO AL MARE
di Gianni Rodari
(1920-1980)
Conosco un bambino
così povero
che non ha mai veduto
il mare:
a Ferragosto lo vado
a prendere
in treno a Ostia lo
voglio portare.
- Ecco, guarda – gli
dirò -
questo è il mare,
pigliane un po’! -
Col suo secchiello,
fra tanta gente,
potrà rubarne poco o
niente:
ma con gli occhi che
sbarrerà
il mare intero si
prenderà.
(Da "I Quindici, I: Poesie e rime", Roma 1968)
I DODICI MESI
di Elda Bossi
(1901-1996)
Gennaio porta il
ceppo e la Befana,
Febbraio carnevale e
tramontana,
Marzo le pratoline e
le viole,
le rondinelle Aprile
e il dolce sole.
Salutan Maggio gli
uccellini in coro;
Giugno ha tra il
fieno lucciolette d’oro;
Luglio è biondo di
grano al sole;
Agosto porta frutta
dolci e buone;
Settembre ha l’uva
d’oro e di rubino,
Ottobre poi la pigia
dentro il tino;
Novembre porta i
fiori al Camposanto;
Dicembre culla i semi
sotto il manto.
(Da "Paese 3.
Letture del 2° ciclo", Editrice Le Stelle, Milano 1973)
FOGLIE GIALLE
di Trilussa (Carlo
Alberto Salustri, 1871-1950)
Ma dove ve ne andate,
povere foglie gialle
come farfalle
spensierate?
Venite da lontano o
da vicino,
da un bosco o da un
giardino?
E non sentite la
malinconia
del vento stesso che
vi porta via?
(Da "Paese 4.
Letture del 2° ciclo", Editrice Le Stelle, Milano 1973)
MEZZOGIORNO
di Aldo Palazzeschi (1885-1974)
Chiesoline di
campagna
lontane e vicine,
i vostri campanilini
fumano
come tanti comignoli
di cucine.
Mezzogiorno !
«Bambini si va a
mangiare».
(Da "I Quindici,
I: Poesie e rime", Roma 1968)
LA MIA STELLA
di Francesco
Pastonchi (1874-1953)
Gli altri bimbi solo
essi eran bimbi:
Io no. Io ero un
bimbo che guardava
vivere gli altri,
capitato a caso
tra gli altri sulla
terra: certo un bimbo
caduto da una stella,
ecco. E la notte
scivolavo dal letto
per cercarla
di là dai vetri, al
buio, la mia stella.
(Da "I Quindici,
I: Poesie e rime", Roma 1968)
MILITE IGNOTO
di Renzo Pezzani
(1898-1951)
Fratello senza nome e
senza volto,
da una verde trincea
t'han dissepolto.
Dormivi un sonno
quieto di bambino,
un colpo avea
distrutto il tuo piastrino.
Eri soltanto un fante
della guerra,
muto perché
t'imbavagliò la terra.
Ora dormi in un'urna
di granito,
sempre di lauro
fresco rinverdito.
E le madri che più
non han veduto
tornare il figlio,
come te, caduto,
né sanno dove
l'abbiano sepolto,
ti chiamano e
rimangono in ascolto,
se mai la voce ti
donasse Iddio
per dire: «O madre,
il figlio tuo son io».
(Da "Paese 4.
Letture del 2° ciclo", Editrice Le Stelle, Milano 1973)
NEL GIORNO DEI MORTI
di Maggiorina
Castoldi
Piove nebbia sulle
croci. Poche voci
van nell'aria,
pianamente;
cantilene
dolci e tristi,
bisbigliate,
fra le tombe
seminate.
Va la gente
lenta, assorta; altra
ne viene,
altra sosta al tuo
cancello
per segnarsi, o
campicello
benedetto.
Sulle braccia tese ha
un fiore
ogni croce, e più
d'un lume
fioco spande il suo
chiarore
nelle brume.
(Da "Paese 5.
Letture del 2° ciclo", Editrice Le Stelle, Milano 1972)
LA NOTTE SANTA
di Guido Gozzano
(1883-1916)
- Consolati, Maria,
del tuo pellegrinare!
Siam giunti. Ecco
Betlemme ornata di trofei.
Presso quell’osteria
potremo riposare,
ché troppo stanco
sono e troppo stanca sei.
Il campanile scocca
lentamente le sei.
- Avete un po’ di
posto, o voi del Caval Grigio?
Un po’ di posto per
me e per Giuseppe?
- Signori, ce ne
duole: è notte di prodigio;
son troppi i
forestieri; le stanze ho piene zeppe
Il campanile scocca
lentamente le sette.
- Oste del Moro,
avete un rifugio per noi?
Mia moglie più non
regge ed io son così rotto!
- Tutto l’albergo ho
pieno, soppalchi e ballatoi:
Tentate al Cervo
Bianco, quell’osteria più sotto.
Il campanile scocca
lentamente le otto.
- O voi del Cervo
Bianco, un sottoscala almeno
avete per dormire?
Non ci mandate altrove!
- S’attende la
cometa. Tutto l’albergo ho pieno
d’astronomi e di
dotti, qui giunti d’ogni dove.
Il campanile scocca
lentamente le nove.
- Ostessa dei Tre
Merli, pietà d’una sorella!
Pensate in quale
stato e quanta strada feci!
- Ma fin sui tetti ho
gente: attendono la stella.
Son negromanti, magi
persiani, egizi, greci...
Il campanile scocca
lentamente le dieci.
- Oste di Cesarea...
- Un vecchio falegname?
Albergarlo? Sua
moglie? Albergarli per niente?
L’albergo è tutto
pieno di cavalieri e dame
non amo la miscela
dell’alta e bassa gente.
Il campanile scocca
le undici lentamente.
La neve! - ecco una
stalla! - Avrà posto per due?
- Che freddo! - Siamo
a sosta - Ma quanta neve, quanta!
Un po’ ci scalderanno
quell’asino e quel bue...
Maria già trascolora,
divinamente affranta...
Il campanile scocca
La Mezzanotte Santa.
È nato!
Alleluja! Alleluja!
È nato il Sovrano
Bambino.
La notte, che già fu
sì buia,
risplende d’un astro
divino.
Orsù, cornamuse, più
gaje
suonate; squillate,
campane!
Venite, pastori e
massaie,
o genti vicine e
lontane!
Non sete, non molli
tappeti,
ma, come nei libri
hanno detto
da quattro mill’anni
i Profeti,
un poco di paglia ha
per letto.
Per quattro mill’anni
s’attese
quest’ora su tutte le
ore.
È nato! È nato il
Signore!
È nato nel nostro
paese!
Risplende d’un astro
divino
La notte che già fu
sì buia.
È nato il Sovrano
Bambino.
È nato!
Alleluja! Alleluja!
(Da "L'incanto
del Natale", Paoline Editoriale libri, Milano 1996)
I PASTORI
di Gabriele
D'Annunzio (1863-1938)
Settembre, andiamo. È
tempo di migrare.
Ora in terra
d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e
vanno verso il mare:
scendono
all’Adriatico selvaggio
che verde è come i
pascoli dei monti.
Han bevuto
profondamente ai fonti
alpestri, che sapor
d’acqua natía
rimanga ne’ cuori
esuli a conforto,
che lungo illuda la
lor sete in via.
Rinnovato hanno verga
d’avellano.
E vanno pel tratturo
antico al piano,
quasi per un erbal
fiume silente,
su le vestigia degli
antichi padri.
O voce di colui che
primamente
conosce il tremolar
della marina!
Ora lungh’esso il
litoral cammina
la greggia. Senza
mutamento è l’aria.
il sole imbionda sí
la viva lana
che quasi dalla
sabbia non divaria.
264
Isciacquío,
calpestío, dolci romori.
Ah perché non son io
co’ miei pastori?
(Da "Quante
strade, vol I", Loffredo, Napoli 1976)
QUANTI PESCI CI SONO
NEL MARE?
di Gianni Rodari
(1920-1980)
Tre pescatori di
Livorno
disputarono un anno e
un giorno
per stabilire e
sentenziare
quanti pesci ci sono
nel mare.
Disse il primo: «Ce
n’è più di sette,
senza contare le
acciughette».
Disse il secondo: «Ce
n’è più di mille,
senza contare scampi
ed anguille».
Il terzo disse: «Più
di un milione!»
E tutti e tre avevano
ragione.
(Da "I Quindici,
I: Poesie e rime", Roma 1968)
LA QUERCIA CADUTA
di Giovanni Pascoli
(1855-1912)
Dov’era l’ombra, or
sè la quercia spande
morta, nè più coi
turbini tenzona.
La gente dice: Or
vedo: era pur grande!
Pendono qua e là
dalla corona
i nidietti della
primavera.
Dice la gente: Or
vedo: era pur buona!
Ognuno loda, ognuno
taglia. A sera
ognuno col suo grave
fascio va.
Nell’aria, un pianto...
d’una capinera
che cerca il nido che
non troverà.
(Da "Paese 5.
Letture del 2° ciclo", Editrice Le Stelle, Milano 1972)
IL ROSPO E IL VILLANO
di Ferruccio Orsi
Stava nel mezzo a un
prato
un grosso rospo mezzo
addormentato.
Avvenne che di lì
passando a caso,
lo vide un certo
contadin, un certo Maso.
Tolse dal vicin campo
un grosso palo
per dare al rospo con
quel palo addosso.
«Fermati!» disse il
povero animale.
«O che t’ho fatto,
Maso mio, di male?
Io non ti rubo nulla,
anzi ti netto
i prati e i campi
d’ogni tristo insetto.
Sono brutto, lo so,
ma, caro mio,
e se son brutto, che
colpa ce n'ho io?».
Commosso e
vergognoso, quel villano,
tosto il palo gettò a
sé lontano
e disse: «Poveretto,
hai ben ragione!
io commettevo una
cattiva azione.
Ma di già rospo mio,
per dar molestia,
spesso l’uomo è più
bestia della bestia».
(Da "Nuova guida
al comporre", Casa Editrice A. & C., Torino-Roma)
SAN MARTINO
di Giosuè Carducci
(1835-1907)
La nebbia a gl'irti
colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il
mar;
ma per le vie del
borgo
dal ribollir de' tini
va l'aspro odor dei
vini
l'anime a rallegrar.
Gira su' ceppi accesi
lo spiedo
scoppiettando
sta il cacciator
fischiando
su l'uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli
neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.
(Da "Nuova guida
al comporre", Casa Editrice A. & C., Torino-Roma)
SCUOLA DI CAMPAGNA
di Renzo Pezzani
(1898-1951)
È fuori dal borgo due
passi
di là del più fresco
ruscello
recinta di muro e
cancello
la piccola scuola di
sassi.
Agnella staccata dal
branco
col suono che al
collo le han messo
richiama ogni bimbo
al suo banco
nell’aula che odora
di gesso.
C’è ancora la vecchia
lavagna
con su l’alfabeto mal
fatto:
lo scrisse un bambino
distratto
dal verde di quella
campagna.
E lei, che mi vide a
sei anni,
c’è ancora. La voce
un po’ fioca,
vestita d’identici
panni,
la vecchia signora
che gioca.
C’è ancora il vasetto
d’argilla
che m’ebbe suo buon
giardiniere;
è verde, fiorito di
lilla,
e un bimbo gli porta
da bere.
Il tempo passò senza
lima
su queste memorie.
Ritorno
lo stesso bambino
d’un giorno
sereno, nell’aula di
prima.
E in punta di piedi,
discreto,
nell’ultimo banco mi
metto
e canto, nel dolce
coretto
dei bimbi, l’antico
alfabeto.
(Da "Parliamo
la nostra lingua", De Agostini, Novara 1974)
LA SPIGOLATRICE DI
SAPRI
di Luigi Mercantini
(1821-1872)
Eran trecento, eran
giovani e forti, e sono morti!
Me ne andavo al
mattino a spigolare,
quando vidi una barca
in mezzo al mare:
era una barca che
andava a vapore;
e alzava una bandiera
tricolore;
all'isola di Ponza
s'è fermata,
è stata un poco e poi
è ritornata;
è ritornata ed è
venuta a terra;
sceser con l'armi, e
a noi non fecer guerra.
Sceser con l'armi, e
a noi non fecer guerra,
ma s'inchinaron per
baciar la terra,
ad uno ad uno li
guardai nel viso;
avean tutti una
lagrima e un sorriso.
Lì, li dissero: ladri
usciti dalle tane,
ma non portaron via
nemmeno un pane;
ma li sentii mandare
un solo grido:
«Siam venuti a morir
pel nostro lido».
Con gli occhi azzurri
e i capelli d'oro
un giovin camminava
innanzi a loro.
Mi feci ardita, e,
presol per mano,
gli chiesi: «Dove
vai, bel capitano?»
Guardandomi, rispose:
«Cara sorella...
vado a morir per la
mia patria bella».
Io mi sentii tremare
tutto il core,
che non potei dirgli:
«V'aiuti il Signore!»
Quel giorno
dimenticai di spigolare,
e dietro a loro
decisi d'andare.
Due volte si scontrar
con li gendarmi,
e l'una e l'altra li
spogliar dell'armi;
ma quando fur della
Certosa ai muri,
s'udirono suonar
trombe, gridi e tamburi;
e tra fumo, spari,
urla e scintille
piombaro loro addosso
più di mille.
Eran trecento, e non
vollero fuggire;
parean tremila e
vollero morire:
vollero morir col
ferro in mano,
e avanti a loro
correa di sangue il piano:
fin che pugnar vid'io
per lor pregai;
ma a un tratto venni
men, né più guardai;
io non vedeva più fra
mezzo a loro
quegli occhi azzurri
e quei capelli d'oro.
Eran trecento, eran
giovani e forti, e sono morti!
(Da "Tamburino
'65. Sussidiario 5°", Editrice Le Stelle, Milano 1974)
SPERANZA
di Milly Dandolo
(1895-1946)
C’è un grande albero
spoglio
in mezzo all’orto:
pare
che soffra e non si
possa
coprire e riscaldare.
Vola sui nudi rami
un passero sperduto,
e cinguetta più forte
in segno di saluto.
Geme l’albero: “Un
tempo
fui giovane e fui
bello:
candidi fiorellini
erano il mio
mantello.”
Il passero cinguetta:
“Oh vecchio albero,
spera!
Si scioglieran le
nevi:
verrà la
primavera."
(Da "Paese 4.
Letture del 2° ciclo", Editrice Le Stelle, Milano 1973)
L’ULTIMA ORA DI
VENEZIA
di Arnaldo Fusinato
(1817-1888)
È fosco l’aere,
È l’onda muta!...
Ed io sul tacito
Veron seduta,
In
solitaria
Malinconia,
Ti guardo, e lagrimo,
Venezia mia!
Sui rotti nugoli
Dell’Occidente
Il raggio perdesi
Del sol morente,
E mesto sibila,
Per l’aura bruna,
L’ultimo gemito
Della laguna.
Passa una gondola
Della città:
― Ehi! della gondola
Qual novità ?
― Il morbo infuria...
Il pan ci manca...
Sul ponte sventola
Bandiera bianca! ―
No, no, non splendere
Su tanti guai,
Sole d’Italia,
Non splender mai!
E sulla veneta
Spenta fortuna
Sia eterno il gemito
Della laguna!
Venezia, l’ultima
Ora è venuta;
Illustre martire,
Tu sei perduta;
Il morbo infuria,
Il pan ti manca,
Sul ponte sventola
Bandiera bianca!
Ma non le ignivome
Palle roventi,
Nè i mille fulmini,
Su te stridenti,
Troncan ai liberi
Tuoi dì lo stame:
Viva Venezia:
Muor della fame!
Sulle tue pagine
Scolpisci, o Storia,
Le altrui nequizie
E la tua gloria,
E grida ai posteri
Tre volte infame
Chi vuol Venezia
Morta di fame.
Viva Venezia!
Feroce, altiera,
Difese intrepida
La sua bandiera;
Ma il morbo infuria,
Il pan le manca;
Sul ponte sventola
Bandiera bianca!
Ed ora infrangasi
Qui sulla pietra,
Finch’è ancor libera,
Questa mia cetra.
A te, Venezia,
L’ultimo canto,
L’ultimo bacio,
L’ultimo pianto!
Ramingo ed esule
Sul suol straniero,
Vivrai, Venezia,
Nel mio pensiero;
Vivrai nel tempio
Qui del mio cuore,
Come l’imagine
Del primo amore.
Ma il vento sibila,
Ma l’onda è scura,
Ma tutta in gemito
È la natura:
Le corde stridono,
La voce manca,
Sul ponte sventola
Bandiera bianca!
(Da "Tamburino
'65. Sussidiario 5°", Editrice Le Stelle, Milano 1974)
Bravo Leonardo a ricordare e ricopiare queste belle poesie.Io sono più vecchia di te ed ogni tanto copio qualche poesia dai miei vecchi libri .Buona Pasquetta...
RispondiEliminaQueste poesie, al di là della loro bellezza, probabilmente rientrano nei ricordi scolastici di molte generazioni, fra cui anche la tua. Per decenni, sui banchi delle scuole italiane, gli studenti più piccoli hanno imparato a memoria o, comunque, letto e studiato alcune delle poesie sopra riportate; e chissà quanti ricordano oggi con piacere quel periodo ormai lontano. Buona Pasquetta.
EliminaMa se cercassi un libro degli anni 60 voi potreste aiutarmi?
RispondiEliminaChi lo sa? Se si tratta di un libro di versi di un autore italiano è possibile.
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