domenica 25 maggio 2014

Gli animali in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo (I)

Tra i moltissimi versi che i poeti italiani del Novecento hanno dedicato agli animali, sono andato a cercare quelli che, secondo i miei gusti, sono i migliori. Comincio perciò con queste dieci poesie e quindi, via via, ne aggiungerò delle altre. Come si noterà leggendole, la qualità è ottima e le categorie degli animali sono, più o meno, tutte rappresentate.


CHIOCCIOLA
di Bartolo Cattafi (1922-1979)

La chiocciola qui giunta
con millenaria lentezza
tutto mangia di colpo
il cespo delle idee
il groviglio dei segni
le radici di vita
e nel nulla disegna
nella piazza pulita
un arco di bava
schiuma spremuta da un guscio vuoto
parte di linea curva
d'ignote geometrie.

(Da "Segni", Scheiwiller, Milano 1986)





MISTERO
di Corrado Govoni (1884-1965)

O farfallina nata con l'aurora,
o destinata a sparire fra un'ora
come i fiori, che vivon così brevemente
che si può dire
si schiudono soltanto per morire;
grano di stella, palpito di luce,
ti crea l'uragano che travolge e romba,
o una goccia di pioggia ti produce?
Tu, forse, sai perché si nasce, si ama e muore,
tu che hai la culla, il letto e la tua tomba
nel profumato calice d'un fiore.

(Da "Il quaderno dei sogni e delle stelle", Mondadori, Milano 1924)





LA NOTTE DEI GATTINI
di Vivian Lamarque (1946)

La notte dei gattini
ti ho voluto del bene in più.
La notte dei gattini?
Sì, abbandonati come bambini.

(Da "Una quieta polvere", Mondadori, Milano 1996)





VARIAZIONE
di Giampiero Neri (Giampiero Pontiggia, 1927)

Si nasconde il gufo sul ramo
durante il giorno,
si adatta a una diversa parte
nel suo breve travestimento.
Ma col variare della luce
abbandona la sua muta inoffensiva,
nella sua forma e figura
si presenta al rituale appuntamento.

(Da "Teatro naturale", Mondadori, Milano 1998)





LE RANE
di Giovanni Pascoli (1855-1912)

Ho visto inondata di rosso 
la terra dal fior di trifoglio; 
ho visto nel soffice fosso 
le siepi di pruno in rigoglio; 
e i pioppi a mezz'aria man mano 
distendere un penero verde 
lunghesso la via che si perde 
lontano. 

Qual è questa via senza fine 
che all'alba è sì tremula d'ali? 
chi chiamano le canapine 
coi lunghi lor gemiti uguali? 
Tra i rami giallicci del moro 
chi squilla il suo tinnulo invito? 
chi svolge dal cielo i gomitoli 
d'oro? 

Io sento gracchiare le rane 
dai borri dell'acque piovane 
nell'umida serenità. 
E fanno nel lume sereno 
lo strepere nero d'un treno 
che va... 

Un sufolo suona, un gorgoglio 
soave, solingo, senz'eco. 
Tra campi di rosso trifoglio, 
tra campi di giallo fiengreco, 
mi trovo; mi trovo in un piano 
che albeggia, tra il verde, di chiese; 
mi trovo nel dolce paese 
lontano. 

Per l'aria, mi giungono voci 
con una sonorità stanca. 
Da siepi, lunghe ombre di croci 
si stendono su la via bianca. 
Notando nel cielo di rosa 
mi arriva un ronzìo di campane, 
che dice: Ritorna! Rimane! 
Riposa! 

E sento nel lume sereno 
lo strepere nero del treno 
che non s'allontana, e che va 
cercando, cercando mai sempre 
ciò che non è mai, ciò che sempre 
sarà... 

(Da "Canti di Castelvecchio", Zanichelli Bologna 1903)





AIRONE [5 (5.8.80)]
di Antonio Porta (1935-1989)

Airone, sono nati da te
(è una mia idea vera
e falsa nello stesso tempo,
fai conto che sia un gioco)
altri tipi di uccelli, no
non tutti, non esageriamo
ma è nato da te, io credo,
l'usignolo perché troppo diverso,
per riparare un errore della specie,
l'usignolo che fa tacere la notte
e dà struttura sonora alla notte, insieme
allaccia tutti i fili del silenzio lunare
ilare sorgente ultima di melodia
contro la sua assenza di voce, airone,
i tuoi striduli messaggi,
hai partorito l'invisibile usignolo.

(Da "Il giardiniere contro il becchino", Mondadori, Milano 1988)





IL VECCHIO UOMO E IL GIOVANE RAMARRO
di Gianni Rodari (1920-1980)

Storia di un vecchio uomo e di un giovane ramarro.
Il primo, considerando che il secondo sul muretto di tufo
muta la prima pelle colore del cuoio
per uscire verde nel sole una mattina d'estate,
si ricorda di quando a sua volta
lasciava le sue spoglie qua e là per la vita,
rinascendo scarno, gentile e impaziente,
senza dolore dalle vecchie ferite,
libero di sbagliare senza pentirsi,
di soffrire senza perdersi,
di perdersi senza paura,
ora che porta l'ultima pelle,
quella che lo attendeva sotto le altre
con rughe, macchie, cicatrici, tumori,
e molto è tentato di tenerla da conto,
ora che non ha più niente da regalare,
nemmeno la sua pelle che nessuno vorrebbe
perché la vecchiaia non è quotata in borsa,
prova nel petto una tristezza funesta
e afferra un sasso per schiacciare il piccolo mostro
più bello di lui, più bello di se stesso,
ma il ramarro guizza dimenticandolo immediatamente,
se ne va nella sua vita d'erba e di terra
dimenticando ogni ciottolo del tempo
e fuggendo dona un po' di vita anche al vecchio,
perché di tutto ciò che vive siamo vivi,
ma il vecchio non lo sa,
si ritira in fondo al petto con la sua tristezza,
se ne va con acrimonia agitando il bastone,
vattene, vecchio pazzo, 
la vita è una storia raccontata da un ramarro
sul vecchio muro di un cimitero.

(Da "Il cavallo saggio", Editori Riuniti, Roma 1990)





LA CAPRA
di Umberto Saba (1883-1957)

Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata
dalla pioggia, belava.

Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.

In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.

(Da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1988) 





L'UCCELLINO BIANCO
di Leonardo Sinisgalli (1908-1981)

Come una stella in pieno giorno
è tornato l'uccellino bianco,
l'uccellino dell'altr'anno.
Vuole la mia fortuna
o il mio danno?

(Da "Mosche in bottiglia", Mondadori, Milano 1975)





I LEONI
di Sergio Solmi (1899-1981)

Urlavano i leoni nella notte,
gonfiavano nel buio, dardeggiavano
l'ugola in fiamme al fanciullo atterrito.
Di sotto al vecchio armadio, d'improvviso
si stendeva la zampa imperiosa,
si stirava, graffiava l'impiantito.

Venne un giorno, scomparvero i leoni.
Non c'erano
alla stazione di Sovilla, sotto
le nuvole ronzanti, s'anche uscivano
dal gioco scomparendo
nel grano verde e i compagni, se presso
volavano i rametti al doppio colpo
lassù, dell'arboreo cecchino. 
                                        Non c'erano
più tardi,
nella città divampante, nei laghi
di fosforo, a filo
della pistola, nella gabbia cieca
del prigioniero.

                     Oggi che l'ombre
della sera s'infoltano, qualcosa
nel buio si rimuove, silenziosi
dall'infanzia ritornano i leoni?
Ah, ch'io più non ne tremi, ch'io con fermo
cuore m'avvii, ridiscenda
sulla soglia, a incontrarli.

(Da "Poesie complete", Adelphi, Milano 1974)

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