domenica 22 giugno 2025

L'assenza in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

 Si noterà, leggendo queste poesie incentrate sull'assenza, che nella maggior parte dei versi affiora una spiccata sofferenza, dovuta alla mancanza della persona amata; quest'ultima spesso è scomparsa per sempre, o è come se lo fosse. I poeti ricordano l'assente in modi diversi: chi descrive i consueti gesti, chi ha ancora nella mente determinate espressioni del viso, chi rammenta le risate, chi sogna ancora la persona amata, e giunge perfino ad odiarla per il semplice fatto che se n'è andata (ma, spiega, è solamente una maniera per attutire il dolore, fingendo che esista ancora). Tutti noi abbiamo qualcuno che ci manca, la cui assenza ci causa sofferenza, anche se non c'è più già da molti anni. E non è un discorso che vale solamente per chi è rimasto solo: si soffre per l'assenza di qualcuno anche se si è in compagnia, perché l'amore e l'affezione verso l'assente erano talmente intense da farsi sentire ugualmente, in ogni caso. Anch'io ho delle persone assenti che mi hanno amato moltissimo, e che amo ricordare; il loro ricordo a volte mi procura della sofferenza, perché sono conscio del fatto che non le rivedrò mai più, ma altre volte mi riconforta perché penso che, comunque, sono stato fortunato: durante la mia vita qualcuno mi ha voluto bene. 




LA CASA

di Leopoldo Baroni (1885-1963)


Intenta a que' tuoi lievi

prodigi d'ago, ore e ore

posavi entro l'odore

dell'orto. Allor facevi

raccolta pace. E spesso,

rientrando, così

io t'avvistavo; e, sì,

il tuo sguardo che adesso

altro non m'è che scarso

riverbero su spera

d'attonite acque, m'era

allor, nel segno apparso

d'un riso, e amore a questa

disamorata festa

dei giorni. Vuoto, immenso

vuoto la casa, te

lontana, ora. E sol bruno

tedio alleva. E nessuno

c'è che mi aspetta, ah me!


(da "Anch'io pruno", Nistri-Lischi, Pisa 1960, p. 64)




ASSENZA

di Piero Bigongiari (1914-1997)


Non ha il cielo un segreto che ti culmini,

le tue risa s’iridano al vetro

della sera dolcissima di fulmini.

Al cielo sale nel tuo gesto effimero

la riga d’un diamante, lo smeriglio

ricalcola all’assenza una giunchiglia

morta nel sonno e al tenero fermaglio

del tuo dolore che non si può chiudere

geleranno dagli astri luci blu,

luci sorte alla piega delle labbra

che rimormorano arse cielo al cielo.


Dove un rapido greto si distrugge,

dove odorano (al tuo braccio?) gaggie,

segreto faccio

mia la tua pena che non ti raggiunge.


(da "Stato di cose", Mondadori, Milano 1968, p. 36)





ORA TI PARLO, ASSENTE…

di Roberto Carifi


Ora ti parlo, assente, come se fossi qui

nella luce che bacia questo foglio,

angelo che non avevi un nome,

che forse indovinavo in certe primavere,

che già sentivo in fondo al cuore

quando Dio mi accarezzava nella notte,

tu che non conoscevo, di cui sapevo l’esistenza

da quella mano misteriosa

che mi mostrò la gioia più grande

custodita nel dolore,

tu che mi doni in un fragile sorriso

la vertigine

che solamente danno la bellezza e il bene

lascia che ti chiami amore

semplicemente, così, come colui che prega

chiama amore Dio

e lo ama di più perché assente.


(da "Amore d'autunno", Guanda, Parma 1998, p. 14)





DA TEMPO È L'ASSENZA DI TE

di Libero De Libero (1903-1981)


Da tempo è l’assenza di te

e tutto è da vendere ormai

che mi fa triste erede.

Non più benigno il sole

sulla porta fa nero

l’emblema dei nostri nomi.

Gioventù è una vecchia festa

celebrata da tante parole.


(da "Le poesie", Bulzoni, Roma 2011, p. 227)





LE TRINE BIANCHE

di Donata Doni (Santina Maccarrone, 1913-1972)


C'era la Mamma sulla poltrona

con l'uncinetto e le sue trine bianche.

Che potevi temere?

Quegli occhi sapevano il chiarore

della sua anima di bimba.

Allora la morte era lontana

come una stella assurda,

come un sogno dimenticato.

Fiorivano le trine bianche.

Battevi la porta. Lei t'accoglieva

sulla poltrona. Ora è vuota

e il velluto sbiadito.

Ma l'innocenza resta,

Mamma bambina.

E restano le trine bianche

che l'uncinetto rapido tracciava.


                             Roma 21 agosto 1965


(da "La carta dispari", Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1968, p. 49)





SCIVOLA SULLA TUA ASSENZA

di Margherita Guidacci (1921-1992)


Scivola sulla tua assenza

l'alba e una pietà grigia.

Stanotte in sogno ti odiavo. Anche quello

era un sentirti vivo.


(da "Le poesie", Le Lettere, Firenze 1999, p. 311)





L'ASSENZA

di Alessandro Parronchi (1914-2007)


Chiedevi se il bambino

t'avesse nella tua assenza cercata.

Ed ero lieto di dirti che il giorno

era volato via senza che un'ombra

lo turbasse, ma ambedue lieti in gara

fantasticando l'avevam trascorso

egli internato nei suoi giuochi, io libero

da ogni cruccio importuno all'erba nuova

affondando le mani

senza incontrarci il morso del ricordo.

Poi m'accorsi che tu avvertivi in quelle

parole crudeltà,

dispetto amaro di volerti assente

anche nel respiro di quelle ore.

Dunque così pensano le donne.

Ed era invece un timido

riconoscer mio figlio uguale a me

finché l'età puerile lo consenta:

ignaro dei rapporti che tra loro

legano gli uomini ma anche li dividono,

pago soltanto delle luminose

apparenze…


(da "Le poesie", volume I, Polistampa, Firenze 2000, p. 274)





LA NEVE DEGLI IPPOCASTANI...

di Lalla Romano (Graziella Romano, 1906-2001)


La neve degli ippocastani intride

la sabbia dei viali

odorano di miele i tigli

e tu non sei qui

né altrove

sei la nube laggiù

rossa di lampi


(da "Poesie", Einaudi, Torino 2001, p. 51)





L’ASSENZA NUTRE

di Francesco Tentori (1924-1995)


L’assenza nutre la memoria. Sboccia

da radici d’assenza la tua immagine, 

viva nell’aria che ti esclude, specchio

per lo sguardo del  cuore, e apparsa appena

già domina, è presenza che non tollera

altri pensieri. Chi tu sia e venuta

a che nella mia vita, mi chiedevo

ieri ancora; ora taccio, non distinguo

se do o ricevo, accolgo quanto giunge

sulle acque del vivere e contrasto

quel che posso al saccheggio delle onde.


(da "Nulla è reale", Vallecchi, Firenze 1964, p. 22)





L'ASSENZA

di Diego Valeri (1887-1976)


C'è, scavata nell'aria, la tua dolce

forma di donna; un vuoto

che palpita di te, come l’immoto

silenzio dopo una perduta voce.

quel che posso al saccheggio delle onde.


(da "Poesie", Mondadori, Milano 1962, p. 199)



William Merritt Chase, "Park Bench"
(da questa pagina web)


domenica 15 giugno 2025

Invocazione

 Invocazione è il titolo della prima poesia della raccolta Dialoghi d'Esteta, di Romolo Quaglino (Milano 1871 - ivi 1938). Occupa le pagine 3, 4 e 5 del volume che fu stampato dall'editore Treves di Milano 1899. Tale libro rappresenta, secondo l'opinione di vari critici, una delle opere poetiche più importanti del simbolismo italiano. Questa poesia è, sostanzialmente, un inno dedicato all'Opera, ovvero alla creazione poetica. Già dalle prime battute, l'Opera viene paragonata ad una serie di concetti alti, che comprendono l'estasi sensoriale a tutto tondo; nello stesso tempo essa viene associata a qualcosa di immateriale, di rarefatto e di misterioso. Nella seconda parte della poesia, Quaglino precisa maggiormente la sua concezione di “Opera”, mettendo in risalto anche lati che potrebbero essere definiti "negativi", ma che comunque contribuiscono ad elevarla, a renderla perfetta; qui entra in gioco anche la natura, che è parte stessa dell'Opera e che è determinante in tutte le sue forme esistenti, in tutti i suoi sterminati luoghi e le sue infinite manifestazioni. La terza parte è parzialmente simile alla seconda, ma il poeta qui cerca di mettere in maggior risalto i concetti legati al dolore, alla sofferenza e perfino alla crudeltà: tutti elementi a volte necessari, a volte vitali per la nascita di un'Opera poetica che possa divenire eterna per la bellezza che racchiude; accanto a questi concetti decisamente negativi, figurano anche, in contrapposizione, quelli di passione carnale ed elevazione spirituale, in cui si intuisce (anche perché c'è una citazione in tal senso) quanto sia determinante la presenza femminile, che in molte opere poetiche diviene protagonista assoluta. Nell'ultima parte della lirica, Quaglino propende per la parte più spirituale dell'Opera, definendola come qualcosa che rispecchia e rivela le anime fragili; infine la definisce miracolo a la fede, a l'arte, a l'amore: una creazione umana e nello stesso tempo divina, che aiuta e sospinge gli uomini che la amano, ed è anche "fulcro", ovvero un sostegno di massima importanza, un caposaldo della mente umana.

 

 


 

Opera! solennità di parola:

   il profumo e l'armonia,

   la bellezza e la bontà,

   la parvenza del sogno lontana,

   la bolla sospirosa,

   che ascende, su dal mistero,

   dal mar de l'idee.

 

Opera! tragica forma:

   tanto d'amore, che la illumini,

   tanto di rinuncia, che l'affini;

   equità sempre, ragion di vita,

   se terrena ruggisca,

   come un alato trasvoli,

   o indugi nel grembo a li oceani;

   se porga ai solchi il corrotto,

   come una viola,

   verzichi tra chiare acque,

   pallida ninfea,

   o a l'etere, spirital cibo,

   come il fiore de l'aria,

   protenda le sobrie radici.

 

Opera: sfinge suprema,

   bacio di vane labbra e carnali,

   copula mal secura

   d'amor voluto e inconscio,

   alba gaudiosa del cuore,

   miraggio breve de l'ingegno,

   passione e martirio del braccio, -

   creatura strana,

   creatura maledetta e adorata,

   come una femminile unità,

   che riaccenda, improvvisa

   al tepor de le nuove fiamme,

   la sanguinosa angoscia

   de le antiche piaghe.

 

Opera! specchio e rivelazione

   de le fragili anime,

   de le grevi sustanze;

   miracolo a la fede, a l'arte, a l'amore;

   opera, sferza e fulcro.

 

domenica 8 giugno 2025

Riviste: "Hermes"

 Hermes è il titolo di una rivista d’arte e letteratura pubblicata a Firenze tra il 1904 ed il 1906; nella veste di direttori si alternarono Giuseppe Antonio Borgese ed Enrico Corradini. La periodicità di Hermes non fu sempre regolare; in totale ne uscirono dodici fascicoli. Tra i collaboratori di questa rivista fiorentina, vi furono Domenico Giuliotti, Giovanni Papini, Marcello Taddei ed Emilio Cecchi. Politicamente e ideologicamente Hermes fu molto vicina ad altre prestigiose riviste di quel preciso periodo storico, come Leonardo e Il Regno; letterariamente parlando, coloro che vi pubblicarono prose e versi, mostrarono una spiccata affinità con la scrittura di Gabriele D’Annunzio, specialmente per quel che concerne il formalismo estetico. Chiudo riportando tre poesie tratte dalle pagine di questa rivista del primissimo Novecento.

 

 


 

 

L'OSPITE

di Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952)

 

No, no, non aprire. Se picchiano tu non aprire;

se battono tutta la notte, e tu non udire.

All' alba egli si stancherà.

 

Sta fermo, egli udrà; non respirare, rannicchiati

nell' ombra. Se ode i tuoi passi, egli picchia

più forte. È la pioggia che colma la gora e trabocca

o ancora le ferree sue nocche?

 

Chiudi gli occhi, non ascoltare. Perché

     tremi? Hai l’ arma tua presso di te?

Dormi, egli forse non torna.

 

Crederà che tu dorma. Non aprire: vorresti vederlo

          col volto nascosto nel lungo mantello

          grondante di pioggia? Sentir le pupille ferine

          traverso le palpebre chine?

 

Ahimè! quel suo piccolo rosso fanale,

     giallo rossastro come occhi di micidiale!

     Chi, rincasando tardivo, ne vide il lucor per le scale,

     tremò d’un tremore mortale.

 

Accendi il tuo lume. Lampeggia. Nell’oscurità

          tremi. Senti? non picchia. Ora se ne va.

Hai messo alla porta il paletto e la stanga?

Non credere ch’egli rimanga,

non credere ch'egli ti aspetti.

                          Perché non accendi?

Perché con terrore le braccia protendi?

Ah! la tua lampada è là.

La lampada rossa nell’oscurità!

 

(da "Hermes", novembre 1904)

 

 

 

 

PICCOLA CASA DI MORTI

di Riccardo Forster (1869-1938)

 

Qui noi salimmo uniti per la rampa

ad un asil di genti primitive.

Sul poggio splende il sole come lampa,

cinta da mille lampade votive.

 

Qui l'uomo contro l'uomo non s'accampa.

Non beve la sua bocca alle sorgive

fonti più r aure : in petto non gli avvampa

follia di sogni, di divine rive.

 

Salimmo con la Gioja tutta in fiore!

Ora sembra che giungano nell' orto,

crocisegnato l' ombre, e che ogni morto

 

della mia stirpe chieda al nostro amore,

nell'alta solitudine romita,

per la sua tomba un brivido di vita.

 

(da "Hermes", maggio-giugno 1904)

 

 

 

 

IL RAGNO

di Federico Valerio Ratti (1877-1944)

 

Poi che la ultima nota

via dileguò ne la sera

verso una speranza ignota,

tornò eguale la tastiera.

 

Prima sciacquavano l’onde

contro una scala di marmi

politi, fiorian le sponde

di rose e l'aria di carmi;

 

prima era tutto un immenso

domo d’oro splendente,

dove fra nubi d’incenso

si officiava al Sol nascente:

 

or, poi che l’ ultimo lagno

vanì del cembalo bello,

tutto disparve, e un ragno

solo abita il mio cervello.

 

(da «Hermes», luglio 1906)

 

martedì 3 giugno 2025

I ritratti nella poesia italiana decadente e simbolista

 L'importanza dei ritratti nella poesia e nella prosa dei simbolisti è senz'altro indiscutibile, basti pensare al romanzo famosissimo di Oscar Wilde: Il ritratto di Dorian Gray. Da quest'ultimo si può intuire il motivo dominante che determina la simbologia dei ritratti ovvero il carattere e la psiche degli esseri umani; esplicativo a tal proposito è il titolo ed il contenuto di una poesia di Corrado Govoni: La psicologia dei ritratti, che è una delle poesie riportate alla fine di questo post.

 

 

Poesie sull’argomento

 

Gustavo Brigante-Colonna: "Nella cornice impero" in "Gli ulivi e le ginestre" (1912).

Luigi Capuana: "Ritratto fotografico" in "Semiritmi" (1888).

Cosimo Giorgieri Contri: "Dietro un ritratto" in "Il convegno dei cipressi" (1894).

Cosimo Giorgieri Contri: "Vecchi album" in «Nuova Antologia», aprile 1907.

Corrado Govoni: "Davanti ad un ritratto" in "Le Fiale" (1903).

Corrado Govoni: "La psicologia dei ritratti" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).

Guido Gozzano: "L'Antenata" in "Il Piemonte", settembre 1904.

Luigi Gualdo: "Ritratto" (3 poesie) in "Le Nostalgie" (1883).

Giuseppe Lipparini: "Ginevra" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).

Remo Mannoni: "X" in «Rivista d'Amore», luglio 1903.

Enzo Marcellusi: "Il ritratto" in "I canti violetti" (1912).

Federigo Tozzi: "Ritratto medioevale" in "La zampogna verde" (1911).

 

 

 

Testi

 

 

DIETRO UN RITRATTO

di Cosimo Giorgieri Contri (1870-1943)

 

Occhi limpidi e tristi, occhi adorati,

dolce bocca per me senza parole

fronte sottil, forse ad un sogno aperta,

 

io vi riveggo e la tristezza incerta,

come un profumo di fior morti al sole,

si risolleva da' bei dì passati.

 

Non sorrider di me, pia creatura:

amo amarti così: ti sento lunge,

tutta l'anima mia verso te migra.

 

Questa triste di tedio anima pigra,

pigra così che non desìo la punge

di saper se tu sei qual ti figura.

 

Tanto, a che vale? D'ogni folle amore

ch'io nutrii per tanti anni, oh non è questo

il più folle, o mia dolce, è questo il saggio.

 

Io che lo so non fermo il mio viaggio:

ti saluto passando e al cenno mesto

tutti i fior dell'oblio m'empiono il cuore.

 

1891.

 

(da "Il convegno dei cipressi", Galli di Chiesa e Guindani, Milano 1894, p. 77)

 

 

 

 

LA PSICOLOGIA DEI RITRATTI

di Corrado Govoni (1884-1965)

 

Ne le cornici d'ebano, i ritratti

quante storie secrete si raccontano

piano, tra loro, quanti mesti fatti

i cui ricordi friabili già smontano!

 

In un quadro le dagherrotipie

ritraggon tutte de le vecchie dame,

de le dame da le fisionomie

vizze e da le gonnelle col fiorame:

 

de le duchesse con il guardinfante

e i larghi sboffi, e la scriminatura,

qualche riproduzione d'un Infante

biondetto da la torva guardatura.

 

In un altro de le fotografie

moderne mostrano dei neonati

e de le placide fisionomie

d'avole e di defunti dissanguati:

 

una vecchietta porta una sottana

fuori di moda, una pettinatura

di foggia ingenua, un'altra una collana

di coralli di nobile natura;

 

un bel giovine (che sia morto etico?)

perpetua la tristezza del suo sguardo,

una sposa in un suo dito ermetico

tiene un anello d'argento, testardo

 

testimone d'una felicità

seppellita da chissà mai quanto!

(quel corpo fatto per la voluttà

ora è cenere dentro un camposanto...)

 

Pupille ancora vive, labri

come sfogliati, rughe approfondite,

e pomelli digiuni di cinabri,

chiome svanite, mani rattrappite.

 

Un bambolino, morto, sul suo letto,

pallido, sotto il vetro à il suo mannello

di capelli e sul bianco lenzuoletto

contro il cuore il giocattolo novello.

 

Qualche educanda d'un conservatorio

regge in mano con edificazione

un parrocchiano lucido d'avorio

o il bouquet de la prima comunione.

 

(da "Armonia in grigio et in silenzio" di Corrado Govoni, Lumachi, Firenze 1903, pp. 40-42)

 

 

 

 

X

di Remo Mannoni (1883-1966)

 

Un ritratto sbiadito

m'è venuto tra mano;

pallido volto umano

d'un essere sfinito,

 

semispento, colpito

da un morbo disumano;

pure ha un fascino strano

come un fiore avvizzito.

 

Un pallido sorriso

di Sfinge urge le buone

sembianze di fanciulla,

 

- Chi scolorì quel viso?

quale ardente passione

la diede in braccio al Nulla?

 

(da «Rivista d'Amore», luglio 1903)


Bessie MacNicol, "Self-portrait"
(da questa pagina web)