lunedì 23 ottobre 2017

I fiori autunnali in 10 poesie di 10 poeti italiani

Difficile o per lo meno non facilissimo è stato per me trovare dieci fiori che sbocciassero nella stagione autunnale, visto che il massimo della fioritura, ovviamente, si ha all'inizio della primavera; l'autunno, al contrario, vede un generale appassimento dei fiori delle piante, e la caduta sempre più fitta delle foglie secche dagli alberi. Non essendo un esperto di giardinaggio, ho attinto qualche informazione al riguardo dalla rete, scoprendo che, seppure non siano in numero elevato, esistono dei fiori che è facile osservare anche in autunno, e alcuni di questi sono anche molto belli. Qualche pianta, nei versi sottostanti, si nasconde dietro nomi prettamente scientifici; è il caso della Hydrangea, meglio conosciuta come "ortensia". Non poteva mancare, rappresentato da una prosa poetica di Arturo Onofri, il crisantemo: fiore autunnale per eccellenza, che abbonda nei camposanti da secoli e secoli, soprattutto  tra la fine di ottobre e la prima metà di novembre.



COLCHICUM AUTUNNALE
di Giuseppe Cerrina (1882-1959)

Povero fior solitario
che vedi l'erbe d'intorno
e della vita, nel giorno
svolgersi il dolce velario,

ricomparire al mattino
quello che l'ombra sognò,
e su nel cielo il cammino
largo di nube che andò

pei larghi campi, per valli
d'una infinita tristezza,
dolce d'autunno carezza
pei larghi campi, per valli,

eccoti chino alla terra,
ché l'ora passa per te
e la pia madre ti serra
nel grave seno con sé.

Vedesti gli ultimi insetti
pur dondolarsi sui fili
de l'erbe, e i taciti asili
cercar tra i muschi diletti,

come l'uom che il passato
piangeva per la città,
ed or ritrova nel prato
tutta la felicità.

Vita nell'opere nuove,
come pensieri devoti
sentisti, palpiti ignoti
sorgere in cellule nuove.

Poscia le nozze compiute
aperti i tepali su,
le speranze conosciute
non ritrovasti mai più.

Ed or la morte discese
come un sereno avvenire,
al bulbo, che per fiorire
il mite Autunno attese,

e già dalla primavera
le verdi foglie gittò
per foschi prati, e la sera
i fior lontani sognò.

(da "I gigli sono fioriti", Lobetti-Bodoni, Saluzzo 1909)




IL RONDÒ DEI NARCISI
di Lucio D'Ambra (1880-1939)

Io vi rivedo ancòra
sepolta fra i narcisi,
o strana mia signora,
avara di solrisi,

Il ricordo mi sfiora
l'anima; ed improvvisi
si risvegliano ancòra
i falli che commisi

per l'amore d'un'ora
che voi, senza sorrisi
mi deste. Un dì vi misi
(ricordo) fra i narcisi
novi, ne l'ultima ora.

(da "Le sottili pene", Tip. De Andreis, Alatri 1896)




ROSA IN AUTUNNO
di Olinto Dini (1873-1951)

Levo lo sguardo da caduta foglia,
e lo rivolgo a intempestiva rosa,
che a soavi pensieri il cuor m'invoglia.

Sembra ridoni alla selva che muore
quel fiore un senso di rinato aprile;
sì che l'autunno mi sorride in cuore
come serenità primaverile.
Forse così una donna gentile
rifiorirebbe di gioia amorosa
la tarda vita che mi si dispoglia.

(da "Ombre e fulgori", L'Eroica, Milano 1929)




GLI ASTER
di Corrado Govoni (1884-1965)

Dei febbricolosi aster sbiancati
dentro l'acqua colore di tisana
hanno l'aria di pallidi malati
afflitti d'una malattia strana:

strana e vaga malattia
simile ad una domenica calma
ombrata di malinconia
- festa di nozze con piccola salma. -

(da "Gli aborti", Taddei, Ferrara 1907)




HYDRANGEA
di Margherita Guidacci (1921-1992)

I fiori che hai disposto nel vaso greco
(ultimi del giardino) avevano all'inizio
un tenue color malva e un delicato rosa
dell'autunno. Hanno assunto adesso il pallido
oro che indugia in cielo dopo il tramonto,
e in esso preme un ricordo di verde,
quasi il ritorno a un'infanzia di foglie,
completando l'arcobaleno agonico
prima che logora e terrea si sgretoli
la dolce forma del fiore.

                          Li osserviamo
ed intanto qualcuno osserva noi,
come noi siamo sentiti dai fiori;
e forse nota come stia per chiudersi
il cerchio della nostra iridescenza,
l'impalpabile bolla più cangiante
e splendente sul punto di dissolversi...

Ma non siamo turbati. Siamo quieti
come i fiori nel vaso greco: paghi
essi dei loro giorni e noi dei brevi anni,
e sicuri che nulla andrà perduto.

Noi siamo tutti (uomini e fiori) effimeri.
Ma il nostro vivere ed amare
fu non effimera bellezza.

(da "Le poesie", Le Lettere, Firenze 1999)




VIOLA DEL PENSIERO
di Pietro Mastri (1868-1932)

Tu che simuli quasi una grottesca
effigie umana, smorfia di dolore
e di riso convulso, e che da fresca
hai troppe tinte e non hai punto odore;

sai tu dirmi com'è che ti s'accresca
tanta soavità, quando, nel cuore
d'un libro chiusa, al par d'una giottesca
figura t'ombri di sottil giallore?...

L'apro, quel libro: dov'io so, ti trovo...
Mi guardi... Io solo intendo il tuo linguaggio,
che non oblia ciò che sta in te sepolto.

D'onde ti venne questo odor tuo nuovo,
fievole come un fievole messaggio
d'oltretomba?... E tu parlami: t'ascolto.

(da "Lo specchio e la falce", Treves, Milano 1907)




CRISANTEMI
di Arturo Onofri (1885-1928)

   Un bambino vestito di rosso tocca timidamente il ganascino paffuto d'un fiore sull'aiuola; e i crisantemi bianchi, inzuppati di celestino, s'imbevono della sorsata ultima del giorno che già socchiude il suo occhio dorato.
   Un fumo violetto s'è messo a dormire fra gli alberi sul piccolo lago, dove nel taglio freddo dei riflessi l'acciaio tremola un lamellìo finofino fra i tronchi nerastri e brulli.
   E prima di sparire, il giorno depone lontano un tòcco di gioielli sul davanzale riverniciato d'un chiosco.

(da "Orchestrine", Libreria della Diana, Napoli 1917)




PERVINCA
di Giovanni Pascoli (1855-1912)

So perché sempre ad un pensier di cielo
misterïoso il tuo pensier s’avvinca,
sì come stelo tu confondi a stelo,
               vinca pervinca;

io ti coglieva sotto i vecchi tronchi
nella foresta d’un convento oscura,
o presso l’arche, tra vilucchi e bronchi,
               lungo la mura.

Solo tra l’arche errava un cappuccino;
pareva spettro da quell’arche uscito,
bianco la barba e gli occhi d’un turchino
               vuoto, infinito;

come il tuo fiore: e io credea vedere
occhi di cielo, dallo sguardo fiso,
più d’anacoreti, allo svoltar, tra nere
               ombre, improvviso;

e il bosco alzava, al palpito del vento,
una confusa e morta salmodia,
mentre squillava, grave, dal convento
               l’avemaria.

(da "Myricae", Giusti, Livorno 1903)




L'ERICA
di Antonia Pozzi (1912-1938)

Nel prato troppo verde
si dibatte
la nostra inanità convulsa
e si affanna in diastole e sistole di spasimo
incrociando
stormi di monachelle bianche e nere.

Nel bosco
alla mia animalesca irrequietudine
che mordicchia nocciole
tu offri l'erica livida dei morti
e il mio offuscato amore
lustra
lavato d'acido pianto.

(da "Parole", Garzanti, Milano 1998)




PRIMI CICLAMI
di Alice Schanzer (1873-1936)

Che mi narrate, ciclami pallidi;
che ricordate, corolle rosee?
qual fervido sogno d'autunno
rievocate, là di Spoleto?

Dolce un colore tingea la macchia
ne' chiari vespri, ne l'albe candide;
e tremulo il vostro sorriso
attendevami a pie' degli abeti.

Per l'umil folto vagavo tacita
di giovinetti carri e di frassini:
la mente perduta ne' sogni
e le labbra anelanti alla strofe.

Niun suono intorno. Lente nell'anima
salìen melodi, salien fantasimi;
ed ecco le piante regali
ebbi innanzi, dall'agile tronco.

Al primo sole s'ergeano vergini
per l'ardue cime, di tersa roride
rugiada; e nell'ombra, soave,
mi chiamava la vostra bellezza.


(da "Motivi e canti", Zanichelli, Bologna 1901)



Emil Nolde, "Yellow and Violet Zinnias"

sabato 14 ottobre 2017

La nudità femminile in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

Come è noto, il "nudo" è un genere artistico assai diffuso, che ha avuto le migliori espressioni, per ovvi motivi, nella scultura e nella pittura. Anche la poesia italiana ha, non di rado, posto l'attenzione alla bellezza del corpo umano. In questi versi, i cui autori sono poeti italiani del Novecento, si parla esclusivamente di nudi femminili. Protagoniste sono modelle, spogliarelliste, amanti, giovinette e figure non ben identificabili che, per come vengono descritte, molto somigliano a vere e proprie divinità. In due componimenti sono le stesse poetesse a parlare con fierezza della propria nudità. Non sono assenti tracce di erotismo; nessun riferimento, invece, alla volgarità, poiché la nudità è trattata come qualcosa di totalmente naturale, rientrante nella libertà di agire e di mostrarsi che appartiene a qualsiasi essere umano adulto e consapevole.




NUDA NEL SOLE
di Sibilla Aleramo (1876-1960)

Nuda nel sole per te che dipingi sto immobile,
il seno soltanto ritmando
la vita gagliarda del cuore.
Come un cielo soave d'aurora
è per te questa mia forma lucente,
un prato un'acqua una solitaria fiorita di petali,
tralci di vigna in festività.
E adori, e fervente le dolci dita
su la tela conduci.
Nuda nel sole ed immobile,
frammento di natura,
ti miro orante ed oprante.
Da te invasa da te riassorbita,
sei tu che mi divinizzi
o la mia divinità è che ti crea,
artista, arte, spirito ?
Tacitamente il seno respira.

(da "Momenti", Bemporad, Firenze 1921)




BAGNO DI SARA
di Raffaele Carrieri (1905-1984)

Quanti sguardi alle balaustre
e trapani nell'aria:
più nuda non potevi essere.
Da siepi e feritoie
spiavano i caprai,
ti tagliavano con gli occhi.
Più nuda non potevi essere
del pesce spada controvento.

(da "Canzoniere amoroso", Mondadori, Milano 1958)




TUTTA NUDA
di Luciano Folgore (1888-1966)

Te, nuda dinanzi la lampada rosa,
e gli avori, gli argenti, le madreperle,
pieni di riflessi
della tua carne dolcemente luminosa.

Un brivido nello spogliatoio di seta,
un mormorio sulla finestra socchiusa,
un filo d'odore, venuto
dalla notte delle acacie aperte,
e una grande farfalla che ignora
che intorno a te
non si bruciano le ali,
ma l'anima.

(da "Città veloce", Edizioni Futuriste di Poesia, Milano 1919)




SOGNO D'ESTATE
di Alfonso Gatto (1909-1976)

Trapeli un po' di verde
il limone, il sifone,
il piccolo portone
della pensione,
trapeli il blu,
anche tu
vestita col tuo nudo rosa,
ogni cosa amorosa.
L'amore è amore
liscio alla sua foce.
Un'alpe zuccherina,

l'amore è brina.
Che sogno averti vicina
notturna, fresca, sottovoce.

(da "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 2005)




DONNA INCONTRO AL MARE
di Curzio Malaparte (1898-1957)

Nel paesaggio scarno ove la selva
d'asfodeli accoglie il cielo notturno
tu cammini verso estremi orizzonti
il tuo passo solleva
nubi gonfie d'erba e di foglie
tutto quel che ho sofferto in te si posa
amore speranza paura
non temer ch'io mi penta dei miei sacri errori
senza prigione senza ferite senza crudeli inganni
non ha mistero la vita, né misura.
L'ombra dei carrubi dalle foglie lucenti
stormisce intorno, densa di cupa luce,
come coltelli tintinnano le nere bacche
e il grido di gabbiani apre segrete
vie nel rosso tramonto. La turchina
notte fra poco
scenderà lieve sulla triste riva.
Sotto i pallidi astri bruceranno
i tuoi occhi dolci.
Nessuno ti vedrà
scendere nuda nel purpureo sonno.

(dalla rivista «Prospettive», luglio 1941)




CANTO DELLA MIA NUDITÀ
di Antonia Pozzi (1912-1938)

Guardami: sono nuda. Dall'inquieto
languore della mia capigliatura
alla tensione snella del mio piede,
io sono tutta una magrezza acerba
inguainata in un color d'avorio.
Guarda: pallida è la carne mia.
Si direbbe che il sangue non vi scorra.
Rosso non ne traspare. Solo un languido
palpito azzurro sfuma in mezzo al petto.
Vedi come incavato ho il ventre.
Incerta è la curva dei fianchi, ma i ginocchi
e le caviglie e tutte le giunture,
ho scarne e salde come un puro sangue.
Oggi, m'inarco nuda, nel nitore
del bagno bianco e m'inarcherò nuda
domani sopra un letto, se qualcuno
mi prenderà. E un giorno nuda, sola,
stesa supina sotto troppa terra,
starò, quando la morte avrà chiamato.

(da "Parole", Garzanti, Milano 1998)




IGNUDA
di Umberto Saba (1883-1957)

Ignuda come un ruscelletto e bocca
a bocca, ogni tuo brivido addolciva
quel bacio che mi torna oggi al pensiero.

M'era in sogno, ma forse ero nel vero,
che in te parlasse, fatto carne, un angelo.
Un angelo del bene anche acquiesce
per bontà, per eccesso in lui d'amore.

(da "Mediterranee", Mondadori, Milano 1946)




NUDA CHE SCENDE LE SCALE
di Toti Scialoja (1914-1998)

Si schiude l'uscio vetrato dove il giallo su tutto abbaglia
proveniva dalla scala il ticchettìo secco dei tacchi
risuonava il ticchettìo dei tacchi sempre più deciso
discendeva da quella scala rapida per apparire
nella sala dove apparve dove regnava il batticuore
la nuda dai tacchi rossi il pelo del pube giallastro.

(da "Poesie 1961-1998", Garzanti, Milano 2002)




A UNA DONNA NUDA
di Federigo Tozzi (1883-1920)

L'anima è come una corona d'oro,
la quale tu mi porti di lontano;
io l'ho veduta dentro la tua mano.
L'anima è come una corona d'oro.

(da "La zampogna verde", Puccini, Ancona 1911)




DANIELLE
di Diego Valeri (1887-1976)

La giovinetta che, davanti al mare,
splende, incantando il mare,
ha negli sguardi, nei gesti qualcosa
di esitante: è felice e dubitosa.
Bellezza, di che temi?
Forse non d'altro che dell'esser bella,
di portar nella carne gloriosa
un così gran mistero,
di sentire che dentro il pugno breve
chiudi più di una sorte:
il piacere, l'amore, e la vita e la morte.
Forse soltanto di vederti nuda,
come un tenero fiore.


(da "Poesie", Mondadori, Milano 1962)



Lovis Corinth, "Female Nude Defending Herself (Weiblicher Akt in Abwehr)"
(da questa pagina web)


domenica 8 ottobre 2017

Le lacrime nella poesia italiana decadente e simbolista

In molti versi le lacrime assumono una forma consolatoria e, almeno in parte, piacevole, come si evince dagli aggettivi con cui sono descritte: dolci e schiette (Graf); rugiada che l'anima consoli (Giaconi); dolce ristoro ai cuori mesti e affranti (Ruberti) ecc. Qualche volta vengono invocate (Govoni) oppure diventano qualcosa di estremamente prezioso (Palazzeschi). Più raramente, come nel caso della poesia di Ada Negri, vengono definite usando aggettivi decisamente negativi; in questi casi le lacrime vanno associate al dolore morale e possono anche collegarsi alla descrizione di paesaggi funerei o tristissimi, in cui esse, cadendo in gran quantità dal cielo, assumono la forma di pioggia deprimente.




Poesie sull'argomento

Diego Angeli: "Le lacrime" e "L'Addolorata" in "La città di Vita" (1896).
Ugo Betti: "Congedo" in "Il Re pensieroso" (1922).
Enrico Cardile: "Ne l'aria mesta ripioveano stille..." in "Le Apocalissi" (1904).
Giovanni Chiggiato: "Quel giorno, quando vidi per le gote" in "La dolce stagione" (1901).
Sergio Corazzini: "Elegia (frammento)" in "Elegia" (1906).
Guglielmo Felice Damiani: "Incontro di viandanti" in "Lira spezzata" (1912).
Giuseppe Deabate: "Lacrime" in "Il canzoniere del villaggio" (1897).
Luisa Giaconi: "Le buone lacrime" in "Tebaide" (1912).
Giulio Gianelli: "La stilla" in "Tutte le poesie" (1973).
Corrado Govoni: "Le lagrime" in "Fuochi d'artifizio", 1905).
Corrado Govoni: "La porta delle lacrime" in "Gli aborti" (1907).
Arturo Graf: "Lagrime" in "Le Rime della Selva" (1906).
Gian Pietro Lucini: "I proci e le lagrime" in "Le Antitesi e le Perversità" (1970).
Nicola Marchese: "Lacrymae rerum" in "Le Liriche" (1911).
Ada Negri: "Lacrime silenziose" in "Maternità" (1904).
Aldo Palazzeschi: "La lacrima" in "I cavalli bianchi" (1905).
Giovanni Pascoli: "Diario autunnale, I" in "Canti di Castelvecchio" (1910).
Guido Ruberti: "Lagrime" in "Le fiaccole" (1905).
Domenico Tumiati: "La stilla" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Mario Venditti: "La meta fuggente" in "Il cuore al trapezio" (1921).




Testi

LA LACRIMA
di Aldo Palazzeschi

Su la vetta del monte
ne l'ombra dei cipressi alti
è il Santuario.
Sette cipressi alti
una cappella piccola ed un lume.
N'à la chiave la cieca:
ella mena la gente.
Va la gente al Santuario
su la vetta del monte,
sale l'erta la gente,
la cieca ne insegna il cammino,
e parla:
"Ne l'ombra dei cipressi apparve"
"Sostò ne l'ombra e pianse"
Su la vetta del monte
ne l'ombra dei cipressi alti
è il Santuario.
Sette cipressi alti
una cappella piccola ed un lume.
"Sostò ne l'ombra e pianse"
"Qui la Lacrima cadde"

(da "I cavalli bianchi")




LAGRIME
di Arturo Graf

Sì, veramente, dansi
Di strani casi al mondo:
Questa mattina in fondo
A un valloncello io piansi.

Ah, fu proprio uno schianto!
Piansi come un bambino!
Eran degli anni, opino,
Che non avevo pianto.

Piansi. Perché? Davvero
Nol saprei dir. Qualcosa
M’affogava. Che cosa?
Nol saprei dir: mistero!

Piansi proprio con gusto,
E senz’essere alticcio.
Credete per capriccio?
Io per capriccio? Giusto!

Piansi naturalmente,
Guardando il bosco e il monte;
Piansi, come una fonte
Versa l’acqua lucente.

Non era doglia acerba;
Non cruccio alfin disciolto:
Piovevan dal mio volto
Le lagrime sull’erba.

Sull’erba molle e rada,
Che tremava alla brezza;
Sull’erba non avvezza
A sì fatta rugiada.

Piansi forse due ore,
In silenzio, soletto:
Dolcemente nel petto
Mi si struggeva il core.

E dal cor che per vana
Speme s’accese e amò,
Fiorivami non so
Che musica lontana;

Come un puro e solenne
Canto d’angioli santi
Che per cieli raggianti
Battessero le penne.

Lagrime senza inganno,
Lagrime oneste e care,
Son molti che le rare
Vostre virtù non sanno.

Voi, mentre discendete
Silenzïose e lente,
Ogni cruccio rodente
Dall’anima stergete,

Ed ogni voglia impura,
Ed ogni reo pensiero,
Onde s’offusca il vero
E il cor si disnatura.

Lagrime dolci e schiette,
Che dall’imo sgorgate,
Lagrime consolate,
Lagrime benedette;

Come per mite piova
L’illanguidita pianta,
Così per voi l’affranta
Anima si rinnova.


(da "Le rime della selva")


Pietro Antonio Rotari, "Giovane piangente"