lunedì 1 luglio 2013

Luglio in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

AFA DI LUGLIO. IL CANTO CHE NON VARIA
di Camillo Sbarbaro (1888-1967)

Afa di luglio. Il canto che non varia 
delle cicale; il ciel tutto turchino; 
intorno a me, nel gran prato supino, 
due fili d'erba immobili nell'aria. 

Un sopor dolce, una straordinaria 
calma m'allenta i muscoli. Persino 
dimentico di vivere. Mi chino 
coi labbri ad una bocca immaginaria...

E sento come divenute enormi
le membra. Nel torpore che lo lega,
mi pare che il mio corpo si trasformi.

Forse in macigno. Rido. Poi mi butto
bocconi. Nell'immensa afa s'annega
con me la mia miseria, il mondo, tutto.

(Da "Resine", Caimo, Genova 1911)





O LUGLIO, TU SEI COME UN GIOVINETTO
di Federigo Tozzi (1883-1920)

O luglio, tu sei come un giovinetto 
ch'abbia le chiome molli e succolente 
come frutta mature; e per diletto 
tu porti ai contadini le semente. 

Onde le floride aie sono il letto 
dove pieghi i ginocchi sorridente 
e stanco. Ma il tuo biancheggiante petto 
pieno è di sole come sangue ardente.

E pare che la luna sia più gonfia
nel cielo, dove perde tutto il latte;
e gli alberi si toccano le foglie.

Ma, la mattina, il gallo canta e tronfia
se le galline gli si metton chiatte,
per soddisfare tutte le sue voglie.

(Da "La zampogna verde", Puccini, Ancona 1911)





DI LUGLIO
di Giuseppe Ungaretti (1888-1970)

Quando su ci si butta lei,
Si fa d'un triste colore di rosa
Il bel fogliame.

Strugge forre, beve fiumi, 
Macina scogli, splende,
È furia che s'ostina, è l'implacabile,
Sparge spazio, acceca mete,
È l'estate e nei secoli
Con i suoi occhi calcinanti
Va della terra spogliando lo scheletro.

(Da "Sentimento del Tempo", Vallecchi, Firenze 1933)





UN GIORNO DI LUGLIO
di Adolfo Jenni (1911-1997)

Parla alto l'uomo, strepita il gallo,
ogni fiore è bandiera.
La donna ch'è sola si dispera,
azzurre le notti se il giorno ora è giallo.

Lungo i torrenti che l'afa dispoglia
canta, folletto, lo spirito;
così divaga la vipera,
tòrnea così al pioppo la foglia.

Questo è il soverchio giorno che il santo
pensa, invidiando, l'angelo:
di morte strana languido,
s'aprono i suoi gesti ad acanto.

Succo di pesca è la saliva,
profumo di accalmati orienti;
rilucono i denti
in giovinezza fuggitiva.

(Da "Le bandiere di carta", Collana di Lugano, Lugano 1943)





ORA CHE DOMINA LUGLIO
di Rocco Scotellaro (1923-1953)

Ancora non mi palpita una fede: 
per questo mi viene la luce 
e non me la sento il mattino 
e so il mio giorno rapito
in un vortice inane.
Se fossi zolla!
M’avrebbe rimossa la vanga, 
darei erbe e frutti
a questa stagiona che sorvola.
E sono sorgente seccata 
che mi scansano le greggi 
ora che domina luglio.

(Da "È fatto giorno", Mondadori, Milano 1954)





14 LUGLIO
di Cesare Vivaldi (1925-1999)

Questo mese è una data nella storia
dell'Italia: quattordici di luglio
del millenovecentoquarantotto.

Un'immagine sola alla memoria
ritorna: il Policlinico, nel mùglio
del popolo crescente, ininterrotto.

(Da "Il cuore di una volta", Sciascia, Caltanissetta 1956)





MATTINA DI LUGLIO
di Franco Fortini (1917-1994)

Nulla flette al largo la riga vergine
della mattina e nulla nell'aria trema
se non fili o la timida vertigine

delle fogliuzze dei salici. Chi rema
va in un medio placido sulla voragine.
I primi gridi si isolano.

Noi ci siamo venduti alla paura,
a vizi inavvertiti, alla speranza,
alla pietà.

(Da "Una volta per sempre", Mondadori, Milano 1963)





I PRIMI DI LUGLIO
di Eugenio Montale (1896-1980)

Siamo ai primi di luglio e già il pensiero
è entrato in moratoria.
Drammi non se ne vedono,
se mai disfunzioni.
Che il ritmo della mente si dislenti,
questo inspiegabilmente crea serie preoccupazioni.
Meglio si affronta il tempo quando è folto,
mezza giornata basta a sbaraccarlo.
Ma ora ai primi di luglio ogni secondo sgoccia
e l’idraulico è in ferie.

(Da "Diario del '71 e del '72", Mondadori, Milano 1972)





SERA DI LUGLIO IN GIARDINO
di Agostino Richelmy (1900-1991)

Si rompe il cielo al rozzo 
e remoto frastuono dei decrepiti 
motori e degli aerei supersonici. 
Timida olezza l’aria 
e nella grigia luce 
vedo gl’immacolati gelsomini. 
Pie corolle nel chiostro 
dei loro steli attorcigliati stretti 
al graticcio murale 
sono sorprese or ora 
dal taciturno arrivo 
dei volatili insetti. 
Imenotteri bruni 
testé nati dalla marcida palude 
sembrano modellini 
di novelli elicotteri. 
Sotto la luna tronca e semispenta 
nel nuvolone rotto 
me li figuro, mostri 
pelosi che natura 
mutua d’esca e diletico 
pone, ganzi o lenoni, 
sulle corolle intemerate 
degli efebici gelsomini.

(Da "La lettrice di Isasca", Garzanti, Milano 1986)





25 LUGLIO '67
di Ferruccio Benzoni (1949-1997)

Stentorea
in un visibilio di luce
che pare scolpita
la voce, 
il lembo di un prendisole...
È quanto di lei rimane
tra il paesaggio marino e me
immobili nel ricordo.
(Si sollevasse una brezza
un alito
e un poco di verde tremasse
cautamente
dalla cima delle piante alla punta
delle mie dita)

(Da "Fedi nuziali", Scheiwiller, Milano 1995)

sabato 29 giugno 2013

"Murmuri ed echi" di Mario Novaro

Vi fu un sito in ma' mai lontan lontano
dove fioriva
nel giardin della nonna
il melograno.

(Da "Murmuri ed echi" di Mario Novaro)






La recente ristampa del libro Murmuri ed echi di Mario Novaro (San Marco dei Giustiniani, Genova 2011), mi dà l'occasione per parlare di questa opera in versi del poeta-filosofo di Diano Marina, che per molti anni diresse la famosa rivista letteraria Riviera Ligure, dove pubblicarono cose importanti scrittori che di lì a breve avrebbero conquistato fama meritata come Luigi Pirandello, Guido Gozzano e Giuseppe Ungaretti. Murmuri ed echi è l'unico volume di poesie di Novaro, la cui prima edizione risale al 1912; ma è anche un libro che, durante gli anni, subì molte modifiche ed aggiunte, infatti l'autore, dopo la prima uscita di cui ho detto, ne fece stampare altre quattro¹, mentre la definitiva², curata da Giuseppe Cassinelli, è del 1975. I versi di Novaro, molto vicini alla filosofia, si contraddistinguono per una tensione vitalistica e una individuazione dei profondi misteri della vita che il poeta (e fors'anche il filosofo) va a cercare negli elementi più semplici e attraenti della natura. Queste peculiarità a mio avviso molto lo avvicinano agli scrittori della Voce (alcuni dei quali sono presenti coi loro scritti nella Riviera Ligure), questo è confermato dall'uso da parte di Novaro, sia della prosa poetica (si legga Sui monti e una parte di Vita nostra), sia del frammento (come si nota nella poesia che dà il titolo al libro, ma anche in Fioretti e in Nuovi fioretti). Per il resto non si può negare che Novaro subì, come molti altri scrittori della sua epoca, l'influenza delle "tre corone": Carducci, Pascoli e D'Annunzio; è da ricordare poi il suo inserimento, da parte di alcuni critici, nella cosiddetta Linea ligure che va da Ceccardo Roccatagliata Ceccardi a Eugenio Montale e che si palesa in una particolare attenzione al paesaggio ligure e (utilizzando un famoso verso di Montale) nell'uso di un linguaggio "scabro ed essenziale". Concludo raccomandando, a chi non lo avesse ancora fatto, la lettura di questo volume così originale e prezioso, oggi disponibile in una nuova, elegante edizione.


NOTE
1) Le cinque edizioni di Murmuri ed echi così si succedettero: Ricciardi, Napoli 1912; ivi, 1914; Vallecchi, Firenze 1919; Ricciardi, Napoli 1938; ivi, 1941. 
2) L'edizione definitiva uscì per la Scheiwiller di Milano nel 1975, una seconda edizione (vedi immagine in alto) fu pubblicata nel 1994.





mercoledì 26 giugno 2013

Poeti dimenticati: Luigi Pirandello

Luigi Pirandello nacque ad Agrigento nel 1867 e morì a Roma nel 1936. Sarebbe qui inutile parlare del Pirandello grandissimo drammaturgo e ottimo prosatore; meno conosciuta è certamente la sua poesia, che pure riveste un ruolo tutt'altro che marginale nell'arte dello scrittore siciliano. Pirandello infatti si dedicò alla stesura di versi fin dai suoi esordi letterari, pubblicando varie raccolte che, inizialmente mostrano un adeguamento alla lirica tradizionale, mentre, nelle opere più mature (leggi Fuori di chiave), emergono elementi che preannunciano i migliori esiti della sua attività teatrale.




Opere poetiche

"Mal Giocondo", Clausen, Palermo 1889.
"Pasqua di Gea", Galli, Milano 1891.
"Elegie renane", Tip. Unione Cooperativa, Roma 1895.
"Zampogna", Dante Alighieri, Roma 1901.
"Fuori di chiave", Formiggini, Genova 1912.
"Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1982.







Presenze in antologie

"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 334-336).
"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (p. 435).
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. 6, pp. 140-155).
"Antologia della lirica contemporanea dal Carducci al 1940", a cura di Enrico M. Fusco, SEI, Torino 1947 (pp. 127-129).
"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (pp. 209-210).
"La lirica moderna", a cura di Francesco Pedrina, Trevisini, Milano 1951 (pp. 447-451).
"L'altro Novecento, Volume V", a cura di Vittoriano Esposito, Bastogi, Foggia 1999 (pp. 55-58).
"Sicilia, poesia dei mille anni", a cura di Aldo Gerbino, Sciascia, Caltanissetta-Roma 2001 (354-357).




Testi

ATTESA

Io sono come l’albero che aspetta
la sua stagione e morto intanto pare.
Vien qualche vispa cincia a dimandare:
«Albero, ancora? Bada, è tempo: getta!»
Ma alle cince non dà l’albero retta:
muto ed assorto, rimane a sognare.

Sogna i freschi rampolli, e che tra i rami
verrà per grazia a raccogliere il volo,
ospite prezioso, un rosignuolo.
Piú d’altri uccelli non s’udran richiami.
In ciel, la luna; e magici ricami
d’ombra le frondi stamperan sul suolo.

Sogna e sogna... Ma già forse è passata
la sua stagione, e ad aspettarla sta
l’albero, invano, o forse non verrà
per lui giammai... Se questa, albero, è stata
l’ultima nostra gelida vernata,
che bei sogni la scure abbatterà!

(Da "Zampogna")

domenica 23 giugno 2013

I desideri nella poesia italiana decadente e simbolista

Spesso i desideri nelle poesie dei simbolisti sono riconducibili all'ambito sessuale, più raramente invece s'indirizzano verso situazioni impossibili, come nella poesia di Carlo Chiaves, il quale desidera da morto di poter ascoltare i cinici e spietati commenti delle persone a lui care davanti al suo fresco cadavere; in altri casi il desiderio è rivolto verso qualcosa di nuovo, che possa rappresentare una svolta decisiva nella vita (si legga la poesia "Il nuovo" di Federico De Maria); altre volte ancora i poeti vanno alla ricerca di una solitudine (simboleggiata da luoghi esclusivi ed isolati) che rappresenta un non celato fastidio provato nei confronti della folla. Ma in molte poesie è anche presente un'aspirazione alla morte, vista come traguardo unico e risolutore.



Poesie sull'argomento

Diego Angeli: "Sopra una Gavotta antica" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).
Sandro Baganzani: "Attimo" in "Senzanome" (1924).
Bino Binazzi: "Il grido umano" in "Turbini primaverili" (1910).
Giovanni Camerana: "Quies" in "Poesie" (1968).
Enrico Cavacchioli: "La fame" in "L'Incubo Velato" (1906).
Giovanni Cena: "Desideri torbidi" in "In umbra" (1899).
Carlo Chiaves: "Pessimismo" in "Sogno e ironia" (1910).
Guelfo Civinini: "Canzonetta del desiderio onesto" in "I sentieri e le nuvole" (1911).
Sergio Corazzini: "Scena comica finale" in "Libro per la sera della domenica" (1906).
Edmondo Corradi: "L'invito" in «Domenica Letteraria», luglio 1897.
Italo Dalmatico: "Eutanasia" in "Juvenilia" (1903).
Gabriele D'Annunzio: "Suspiria de profundis" in "Poema paradisiaco" (1893).
Guido Da Verona: "È strano" in "Il libro del mio sogno errante" (1919).
Adolfo De Bosis: "Inconsueta ospite la gioja..." in "Amori ac Silentio e Le rime sparse" (1914).
Federico De Maria: "Le Pampas" in "Le Canzoni Rosse" (1904).
Federico De Maria: "Il nuovo" in «Poesia», novembre 1908.
Diego Garoglio: "La fine" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Luisa Giaconi: "Il Desiderio" in «Pro Guardia Medica» (1897).
Cosimo Giorgieri Contri: "Primavera del desiderio" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).
Domenico Gnoli: "Il bersaglio" in "Poesie edite e inedite" (1907).
Corrado Govoni "Voglia di piangere" e "Al sole" in "Gli aborti" (1907).
Arturo Graf: "Anelito" in "Le Rime della Selva" (1906).
Amalia Guglielminetti: "Cose maliose" in "Le Seduzioni" (1909).
Gian Pietro Lucini: "I miei Desiri, cupidi sparvieri", "Tenea sotto un broccato a padiglione" e "Coi lucidi guinzagli il buon Valletto" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).
Gian Pietro Lucini: "Di «Un altro Pomo»" in "Le antitesi e le perversità" (1971).
Remo Mannoni, "Il canto dei vent'anni" in «L'Amore Illustrato», febbraio 1905.
Enzo Marcellusi: "Desiderio tropicale" in "I canti violetti" (1912).
Tito Marrone: "Cenerentola" in «La Vita Letteraria», gennaio 1907.
Arturo Onofri: "Vorrei per me una casetta bianca..." in "Canti delle osai" (1909).
Nino Oxilia: "Piccole cose che m'avete dato" e "Io la seguivo nella notte..." in "Canti brevi" (1909).
Giovanni Pascoli: "La grande aspirazione" in "Primi poemetti" (1904).
Guido Ruberti: "Desideri" in "Le fiaccole" (1905).
Umberto Saffiotti: "L'attesa" in "Le Fontane" (1902).
Emanuele Sella: "Fuor della storia" in "Monteluce" (1909).
Carlo Vallini: "O settembre, nel bel parco silente" in "La rinunzia" (1907).
Carlo Vallini: "Alcuni desideri" in "Un giorno" (1907).
Remigio Zena: "Venite all'ombra delle ciglia d'oro" in "Le Pellegrine" (1894).
Giuseppe Zucca: "Le terrazze alte" in "Io" (1921).



Testi

IL GRIDO UMANO
di Bino Binazzi

Rigidi pioppi da le foglie d'oro
eretti intorno al ciel, profondo, azzurro;
nell'aria non un vol, non un sussurro,
sol d'una fonte il mite e lungo ploro.
Lontano i monti persi nell'azzurro.

È il giorno in cui lo spirito, diffuso,
vive nell'aria e con tutte le cose.
Furono, o gramo corpo le affannose
doglie? Col tempo ogni ricordo è chiuso;
grava l'Eternità sopra le cose

e tutto è santo! Oh torniamo alla vita
intera, pur se falli, e poi si penta,
e rida, e pianga; pur se acuto senta
lo strazio d'insanabile ferita,
e vegga fuggir l'attimo sgomenta.

Oh torniamo alla vita austera e folle
che soffre e impreca, che s'inebria e spera!
Che sia fatica, verità, chimera
sappia, e di sangue imporpori le zolle,
e clami luce entro sua notte fiera.

E torni il pianto, dolce e pio lavacro,
torni la nube e solvasi in tempesta,
ma non risplenda invano alla mia testa
il sole, come a bianco simulacro
che freddo nacque e inanimato resta.

E tu che chiami da un'ignota landa
ignota figlia d'Eva, il tuo sorriso
rivela, e questo freddo paradiso,
e questi gigli che ne fan ghirlanda
dileguino all'umano tuo sorriso.

(Da "Turbini primaverili")

giovedì 20 giugno 2013

L'estate in dieci poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

Ascoltando una vecchia canzone mi sono tornati in mente i giorni meravigliosi di una mitica estate: i giochi con gli amici dell'infanzia; le passeggiate in bicicletta per le strade di Ostia Antica o in campagna; il cortile della casa dei miei nonni; i pranzi divorati in fretta per tornare il più presto possibile a giocare; i frutti appena maturati e colti sugli alberi dell'orto, che mio nonno mi consegnava, alla sera, affinché li portassi a casa; le sere a guardare la televisione pensando al giorno stupendo che mi attendeva all'indomani; i momenti prima di addormentarmi, quando pensavo ad un sonno veloce, dopo il quale, al primo mattino, avrei ritrovato il mio incomparabile mondo; il breve viaggio, in compagnia di mio padre, verso Senigallia; i primi temporali d'agosto che mi spinsero verso una fine dell'estate più fresca e più entusiasmante; i primi giorni di settembre, con una vaga malinconia dovuta all'imminente ritorno sui banchi di scuola, ma, pure, con gli ultimi sprazzi di autentica felicità, mai, fino ad allora, percepita in modo così netto. E perfino mi sembrano lieti, oggi, eventi che non lo furono, come le visite sporadiche a mia nonna in ospedale, che sarebbe stata operata proprio in quell'estate, superando la malattia dopo una lunga e tribolata convalescenza; o la morte, improvvisa, del papa, avvenuta nei primi giorni del mese di agosto. 



MEZZA ESTATE

di Diego Angeli (1869-1937)

Riposo delle umide valli
solcate di fiumi lucenti!
A lunghi intervalli passavano i venti
sui boschi più lievi di un lieve sospir!

Anemoni bianchi ed azzurri
stellavan le rive dei fossi,
oscuri sussurri scorrevan sui bossi...
oh dolce nell'ombra soave dormir!

Chi dunque nei mesi vicini
d'Autunno vedrà queste cose?
Chi dentro i giardini remoti, le rose
già tutte appassite per noi coglierà?

Chi mai sveglierà la silente
dimora? Quali occhi vedranno
nel bosco frondente la morte dell'anno?
Tu no! Questo è un sogno lontano di già!

(Da "L'Oratorio D'Amore. 1893-1903", Alighieri, Roma-Milano 1904)





COMPOSIZIONE
di Giovanni Titta Rosa (1891-1972)

Non erano feste le mie estati lontane.
Corpo di fanciullo
stretto nel dovere senza colore.
Solo i meriggi m'erano frangiati abbandoni freschi sotto gli alberi
ma chiamava il bollore schiumoso della terra.
Sulle toppe roventi
s'attaccavano le mie mani sterpose,
mani che non ebbero carezze di mamma.
Oh il salso del mio sudore
scolarmi sui labbri come una passione soffocata -
povero piccolo rassegnato senza sorriso.
La sera
un volo sperduto mi ricordava il mio esilio.
Camminato avrei verso il tramonto
come l'assetato pellegrino dei racconti:
ma erano lagrime piene sulla gola -
(dolore che non sapeva le sue parole).

Ora vivo nel ricordo di quella mia faccia
estatica nel tremor dell'aria.

(Da "Plaustro istoriato", Zanichelli, Bologna 1919)





ESTIVA
di Vincenzo Cardarelli (1887-1959)

Distesa estate,
stagione dei densi climi
dei grandi mattini
dell’albe senza rumore -
ci si risveglia come in un acquario -
dei giorni identici, astrali,
stagione la meno dolente
d’oscuramenti e di crisi,
felicità degli spazi,
nessuna promessa terrena
può dare pace al mio cuore
quanto la certezza di sole
che dal tuo cielo trabocca,
stagione estrema, che cadi
prostrata in riposi enormi,
dai oro ai più vasti sogni,
stagione che porti la luce
a distendere il tempo
di là dai confini del giorno,
e sembri mettere a volte
nell’ordine che procede
qualche cadenza dell’indugio eterno.

(Da "Giorni in piena", Quaderni di Novissima, Roma 1934) 





CORO D'ESTATE
di Scipione (Gino Bonichi, 1904-1933)

Io sono la voce dell'albero che cade, 
la mia corteccia sarà accarezzata 
quando si vedrà che dentro sono bianco. 
Le mie radici sono d'avorio e sono 
nascoste - la terra fine le ricopre.
Il mio corpo è rotondo,
l'aria sola mi toccava.
Gli uccelli hanno nidificato nei miei rami,
i loro occhi vedevano tutte le mie braccia,
le foglie li nascondevano.
Sotto di me l'uomo si è riposato.
Io sono la voce del fanciullo, 
le mie osse sono tenere e possono cadere 
e non si romperanno. 
Le mie gambe corrono, i miei piedi 
non lasciano impronta.
Il timbro della mia voce somiglia
alla campana del mattino,
al bronzo leggero.

(Da "Le civette gridano", Scheiwiller, Milano 1938)





ESTATE
di Cesare Pavese (1908-1950)

C'è un giardino chiaro, fra mura basse,
di erba secca e di luce, che cuoce adagio
la sua terra. È una luce che sa di mare.
Tu respiri quell'erba. Tocchi i capelli
e ne scuoti il ricordo.
                               Ho veduto cadere
molti frutti, dolci, su un'erba che so,
con un tonfo. Cosí trasalisci tu pure
al sussulto del sangue. Tu muovi il capo
come intorno accadesse un prodigio d'aria
e il prodigio sei tu. C'è un sapore uguale
nei tuoi occhi e nel caldo ricordo.
                                                 Ascolti.
La parole che ascolti ti toccano appena.
Hai nel viso calmo un pensiero chiaro
che ti finge alle spalle la luce del mare.
Hai nel viso un silenzio che preme il cuore
con un tonfo, e ne stilla una pena antica
come il succo dei frutti caduti allora.

(Da "Lavorare stanca", Einaudi, Torino 1943)





PRINCIPIO D'ESTATE
di Umberto Saba (1883-1957)

Dolore, dove sei? Qui non ti vedo; 
ogni apparenza t'è contraria. Il sole 
indora la città, brilla nel mare. 
D'ogni sorta veicoli alla riva 
portano in giro qualcosa o qualcuno. 
Tutto si muove lietamente, come 
tutto fosse di esistere felice.

(Da "Ultime cose", Quaderni di Lugano, Lugano 1944)





ENTRO LA DENSA LENTE DELL'ESTATE
di Sergio Solmi (1899-1981)

Entro la densa lente dell’estate, 
nel mattino disteso che già squarciano 
lunghi, assonnati e sviscerati i gridi 
degli ambulanti, - oh, i bei colori! Giallo 
di peperoni, oscure melanzane, 
insalate svarianti dal più tenero 
verde all’azzurro, rosee carote, 
e vesti accese delle donne, e muri 
scabri e preziosi, gonfi ippocastani, 
acque d’argento e di mercurio, e in alto 
il cielo caldo e puro e torreggiante 
di tondi cirri, o bel compatto mondo. 
Lieto ne testimonia, sul pianeta 
Terra, nella città Milano, mentre 
vaga, di sé dimentico e di tutto, 
lungo le calme vie che si ridestano, 
- oggi, addì ventisette Luglio mille 
novecento cinquanta - un milanese. 

(Da "Levania e altre poesie", Mantovani, Milano 1956)





ESTIVA
di Angelo Barile (1888-1967)

In quest'ora di nude
forme, di lingue di fiamma, noi siamo
le tristi salme che bruciano in riva
a un mare fermo come una palude.
Dal nostro rogo
guardiamo a te ventilata fanciulla!

Nel mezzogiorno vitreo di luglio
sulla spiaggia che brulica t'apparti
innamorata.
Ti stendi nella vampa
come nel letto giovanile, ancora
fresco di sogni;
e il capo che hai liberato, la guancia
che sa di mare,
posi nel taglio d'ombra d'una chiglia.

Sui margini di fuoco
ad ora ad ora
chiudi improvviso
apri netto il respiro delle ciglia.
Ed ogni volta, a quel battito senti
un àsolo che viene
da refrigeri d'anima, ti tocca
in viso
la brezza intermittente dei pensieri
che ti stormiscon nei verdi recinti:

giuocano all'angolo della tua bocca.

(Da "Quasi sereno", Neri Pozza, Venezia 1957)





IL PRIMO GIORNO D'ESTATE
di Antonio Barolini (1910-1971)

Il camioncino dei gelati
(la campanella allegra)
passa tra gli alberati
viali residenziali.

I bambini,
che giocano nel prato a perdifiato,
smettono e gli vanno incontro:
i nichelini in mano.

I cani, risvegliati,
abbaiano per chiasso
e gli uccelli cinguettano tra i rami.
Si dondolano, frullano
in alto e in basso.

Una cicala urla
nell'ora meridiana:
è la prima di un'estate
di tenere piogge,
che pareva una burla.

È scoppiata e si sente 
l'avvenuto momento 
da come il cielo vibra 
sull'erba radente. 
Ogni cosa, nella luce, 
ha la trasparenza dell'aria. 
C'è un paese al mondo, 
dove non sia questa festa?.

(Da "Elegie di Croton", Feltrinelli, Milano 1959)





ERA ESTATE DI FARFALLE
di Nico Orengo (1944-2009)

Era estate di farfalle
perché troppi fiori
erano rimasti da
una primavera tarda.
La nube di farfalle
aveva confuso
l'immobilità delle tortore
che avevano abbandonato
i lunghi fili dell'Enel
per rifugiarsi alle case
dei cacciatori, spente
nei rovi di polverose
more, eco di sparo.

(Da "Cartoline di mare vecchie e nuove", Einaudi, Torino 1999)

sabato 15 giugno 2013

"Ali in cielo" di Francesco Biondolillo

"Ali in cielo" è il titolo della seconda opera poetica di Francesco Biondolillo (Montemaggiore Belsito 1887 - Roma 1974), uscì nel 1907 per le edizioni della "Vita Letteraria" in Roma e in parte si colloca nell'area crepuscolare e simbolista che caratterizzava in quel particolare periodo molta poesia nostrana. Biondolillo aveva esordito come poeta con la raccolta Aneliti nel 1905 e dopo il libro del 1907 non uscirono più suoi libri di poesia; continuò comunque ad interessarsi assiduamente di letteratura affermandosi come critico letterario. Ali in cielo è un libro di 64 pagine, le 19 poesie che lo compongono sono divise nelle seguenti sezioni: I. Primi poemi sinfonici; II. Intermezzo di Rime; III. Secondi poemi sinfonici. A sua volta la sezione II, Intermezzo di Rime, è suddivisa in tre sottosezioni: I. Visioni eroiche; II. Canti del silenzio; III. da «Pantheon». Leggendo le poesie del volume si nota la presenza di versi liberi, cosa molto rara nell'anno in cui uscì la raccolta, e fortemente innovativa se si pensa che tra i precursori di questo nuovo tipo di versificazione ci sono Gian Pietro Lucini, Corrado Govoni, Federico De Maria, Aldo Palazzeschi e Sergio Corazzini; tutti questi illustri poeti iniziarono a praticare il verso libero nei primissimi anni del Novecento e quindi in uno spazio di tempo non lontano dall'opera di Biondolillo; non sono assenti comunque, in Ali in cielo, versi tradizionali che dimostrano un saldo legame, da parte del poeta e critico siciliano, con i classici. Volendo riassumere il meglio di quest'opera poetica di Biondolillo, sono tre le poesie che a mio parere si elevano rispetto alle altre, sia per una semplicità schietta, sia perchè bene rappresentano quel clima vagamente crepuscolare di cui ho parlato poco fa, queste sono: La partenza (p. 16), Agonie (p. 18) e In silenzio... (p. 33); quest'ultima è stata inserita nel terzo volume dell'antologia Poeti simbolisti e liberty in Italia a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, del 1972. La partenza è un componimento in versi liberi che argomenta un desiderio del poeta, quello, appunto, di partire verso mète lontane e indefinite; già all'inizio della poesia si nota quel fare poetico tipico dei decadenti e dei crepuscolari, pieno di accenti malinconici e di atmosfere autunnali: «Partire solo solo nell'ora del tramonto, / in un tramonto tepido e calmo d'autunno, / mentre s'allarga la luce morente per l'azzurro diffuso del Cielo / e si piegano come ali stanche, / tristemente, le vele delle barche sul Mare, / e lenta lenta mi giunge la voce / d'una campana / lontana / lontana». In tutta la poesia c'è una celebrazione della solitudine e della fuga, dell'allontanamento dalle persone amate e dalla propria dimora; negli ultimi versi ritorna il famoso tema corazziniano del "povero fanciullo abbandonato": « [...] solo, gravato dal pondo del silenzio notturno, / mi curverò in un cantuccio, / mi raggomitolerò in me stesso, / interrogherò l'anima mia, / singhiozzerò di paura come un fanciullo».
Predomina il tema della malattia nel componimento intitolato Agonie che è diviso in tre sezioni di cui la prima è una esortazione fatta dal malato morente affinchè il maggior numero di persone possibile si avvicini a lui e lo vegli nel momento della morte; in questi versi pare evidente una sorta di masochismo o esibizionismo della sofferenza e della propria morte: «Venite, venite, sorelle; / scaldate col fiato il mio volto, / toccate l'esangue mia mano, / baciate la bocca già smorta / e gli occhi velati di morte!». Nella seconda parte il malato si rivolge alla madre con parole disperate e rassegnate al peggio: «Or la vita mi fugge: / io la vedo fuggire, / io mi sento sfinire, / o madre mia lontana, / io mi sento morire...». L'ultima sezione si apre con la descrizione dei ceri che contornano il letto del moribondo e che costui guarda infastidito, per questo chiede che vengano aperte le imposte della finestra affinchè possa veder le stelle e sentire il suono delle ultime campane: «Aprite la sola finestra; / ch'io veda le stelle brillare / nel cielo, stavolta soltanto! / Ch'io senta sonar le campane / vicine, stavolta soltanto!». Sembra evidente in questi ultimi versi il riferimento al mondo ultraterreno verso cui l'agonizzante, in sentore di morte, si sente fortemente attratto.
Un clima decisamente triste e malinconico ancora una volta la fa da padrone nelle terzine di In silenzio..., poesia che attinge largamente dal repertorio dei decadenti e dei simbolisti: « [...] è l'urna del pianto segreta, / aerea, invisibile, l'ombra, / che accoglie la voce inquieta / / de l'anima nostra già stanca; / la voce dei gigli sfioriti, / che muore, che piegasi e sbianca...» Concludendo mi sembra giusto affermare che, insieme ai poeti più conosciuti e meritevoli che all'inizio del XX secolo apportarono radicali rinnovamenti nella poesia italiana, Francesco Biondolillo operò e contribuì nel suo piccolo a tale rinnovamento.




giovedì 13 giugno 2013

Antologie: "La nuova poesia religiosa italiana"

"La nuova poesia religiosa italiana" è un libro realizzato da Gino Novelli e pubblicato dalla Società Editrice "La Tradizione" di Palermo nel 1931. Trattasi di un'opera interessante, se ci si concentra nel ristretto ambito delle antologie settoriali, di argomento religioso, riguardanti la poesia italiana novecentesca (anche se ha il limite di attraversare il solo primo trentennio). Il curatore, inserendo nel titolo il termine "nuova" voleva certo sottolineare che la selezione effettuata era ben delineata all'interno di un circolo di poeti che avevano apportato novità sostanziali nel modo di comporre versi del primo trentennio del XX secolo: fondamentale è quello di non distinguere più i versi dalla prosa (qui sono infatti presenti molti brani di prosa), cosa già vista nell'antologia più famosa: "Poeti d'oggi" di Papini e Pancrazi, uscita undici anni prima di questa. Si resta comunque perplessi per via di alcune esclusioni direi immotivate, vista la rilevanza dei personaggi assenti: a cominciare da Sergio Corazzini e Clemente Rebora, per poi proseguire con Arturo Onofri, Girolamo Comi e Salvatore Quasimodo; poeti insomma che rappresentano i massimi livelli della poesia italiana novecentesca, i cui versi posseggono molti elementi riconducibili alla religiosità cristiana e che, nel periodo preso in considerazione da Novelli, già avevano pubblicato opere importanti. Vi compaiono altresì poeti e scrittori di dubbio valore che, soprattutto nel decennio compreso tra il 1920 ed il 1930, furono da molti sopravvalutati; è presente, con alcune poesie, anche il curatore dell'antologia. Molto interessante risulta, nella parte finale del volume, il saggio di Pietro Mignosi (altro poeta cattolico presente nella selezione) intitolato "Rassegna bibliografica", riguardante le antologie e le riviste di poesia pubblicate tra il 1920 e la data di uscita dell'antologia di Novelli; Mignosi effettua, tra gli autori di prose e versi che, secondo la sua opinione, non hanno avuto degna considerazione, anche una piccola selezione che si aggiunge quindi a quella di Novelli. Ecco infine i nomi antologizzati in "La nuova poesia religiosa italiana".





LA NUOVA POESIA RELIGIOSA ITALIANA

Cesare Angelini, Antonino Anile, Paolo Arcari, Piero Bargellini, Giovanni Bertacchi, Ugo Betti, Calogero Bonavia, Giuseppe Antonio Borgese, Tito Casini, Erminio Cavallero, Giovanni Alfredo Cesareo, Francesco Chiesa, Auro D'Alba, Silvio D'Amico, Federico De Maria, Giovan Battista De' Seta, Vincenzo De Simone, Francesco Di Chiara, Luigi Fallacara, Giuseppe Fedele, Lionello Fiumi, Augusto Garsia, Igino Giordani, Domenico Giuliotti, Corrado Govoni, Augusto Hermet, Angelina Lanza, Geraldo Lentini, Nicola Lisi, Guglielmo Lo Curzio, Giuseppe Longo, Giuseppe Maggiore, Guido Manacorda, Marino Marin, Pietro Mastri, Ofelia Mazzoni, Pietro Mignosi, Nicola Moscardelli, A. M. Nasalli Rocca, Ada Negri, Luciano Nicastro, Angiolo Silvio Novaro, Gino Novelli, Giovanni Papini, Carlo Pastorino, Enrico Pea, Renzo Pezzani, Luca Pignato, Mario Puccini, Giuseppe Ravegnani, Nino Salvaneschi, Gino Saviotti, Emanuele Sella, Silvio Tissi, Luigi Tonelli, Giorgio Umani, Giuseppe Urbani, Nicola Valenza, Caterina Vanni, Diego Valeri, Pietro Zanfrognini.



APPENDICE BIBLIOGRAFICA

Lucy Pignato Griffo, Giuseppe Messana, Vittorio G. Gualtieri, Maria Pia Borgese, Aristide Puglia, Andrea Agueci, Ottavio Profeta.