sabato 23 giugno 2018

Introduzione ad un blog che non è mai nato


Ho deciso di pubblicare due post: questo ed un altro (il prossimo), che avrebbero dovuto comparire su un nuovo blog da me curato, che, ahimé, non vedrà mai la luce. Li pubblico perché, comunque, sono frutto di uno studio e di un progetto importante per me, e, soprattutto per quanto contiene il secondo, potrebbero essere utili a qualcuno che sta studiando o approfondendo gli argomenti qui trattati.


Il mio interesse nei confronti della poesia si può dire che sia nato nel 1992. Avevo ventisei anni, ero ormai un disoccupato cronico che, dopo essersi diplomato, aveva smesso di studiare e faticava enormemente perfino a cercare un lavoro (situazione che, probabilmente, si riscontra anche in molti giovani di oggi). Inoltre i due anni precedenti erano stati tremendi: entrambi i miei genitori si erano seriamente ammalati a breve distanza l'uno dall'altro, e ancora non era certa la loro guarigione. Questi fatti avevano contribuito ad una mia ulteriore introversione: una chiusura totale verso la vita, l'umanità, il mondo intero. Trascorrevo quasi tutte le mie giornate in casa; a volte guardavo la TV, altre ascoltavo della musica. Più raramente uscivo per fare qualche breve passeggiata o per veloci commissioni. Fu in un noioso pomeriggio invernale che, quasi per caso, andai a sfogliare dei vecchi libri di scuola, i quali, chissà come, ancora si trovavano in soffitta. Uno di questi volumi, intitolato Antologia della letteratura italiana e curato da Mario Pazzaglia, era stato di mia madre. In tale volume mi piacque ricercare alcuni noti poeti che, già ai tempi del liceo, mi avevano particolarmente attratto: Giacomo Leopardi e Giovanni Pascoli. Qualche pagina dopo il poeta romagnolo, mi imbattei in un capitolo dedicato ai poeti crepuscolari. Mi accorsi di non conoscerli affatto (a parte Guido Gozzano) e, già nelle pagine di presentazione, mi accorsi anche di apprezzarli alquanto per gli argomenti e i sentimenti che i loro versi trattavano. Non fu Gozzano a stupirmi, ma Sergio Corazzini: poeta romano vissuto appena ventuno anni (morì di tisi), autore di poche poesie che mostrano un'anima nobile e sofferente, capace, in giovanissima età, di scrivere versi magnifici. Il libro riportava soltanto due poesie del Corazzini: Desolazione del povero poeta sentimentale e Per organo di Barberia. Fu la prima a lasciarmi stupefatto per la bellezza, la sincerità e l'intensità che possiede. Ne rimasi immediatamente ammirato e cercai subito altre notizie ed altre poesie su di lui e sugli altri poeti crepuscolari (Marino Moretti, Fausto Maria Martini, Carlo Chiaves) che, sempre nel libro citato, erano appena ricordati. In qualche altro libro scolastico trovai anche una poesia di Moretti, ma per il resto nulla. Fu da allora che iniziai a comperare dei libri di poesia, a cominciare da quello che raccoglieva l'intera opera in versi di Corazzini. A mano a mano che aggiungevo volumi alla mia collezione, mi accorgevo che i miei interessi non si limitavano alla lirica dei crepuscolari; mi appassionava anche gran parte della poesia italiana del Novecento espressa in modo grandioso da scrittori come Umberto Saba, Corrado Govoni, Aldo Palazzeschi, Vincenzo Cardarelli, Diego Valeri, Giuseppe Ungaretti, Giorgio Vigolo, Salvatore Quasimodo, Leonardo Sinisgalli, Attilio Bertolucci, Mario Luzi e tanti altri. Anche altre scuole mi coinvolgevano, come quella decadente e quella simbolista; in questo settore, però, mi fu chiaro che le migliori espressioni poetiche appartenevano ad artisti francesi e belgi come Paul Verlaine, Jules Laforgue, Maurice Maeterlinck e Georges Rodenbach (anche di costoro comperai dei volumi tradotti in italiano). Quindi il mio interesse si spostò verso il secondo Ottocento, ovvero il cinquantennio che ispirò in modo netto la poetica crepuscolare. Tra i poeti che mi piacquero di più, appartenenti a questo preciso periodo, ci sono Domenico Gnoli, Olindo Guerrini, Arturo Graf, Adolfo De Bosis e Gabriele D'Annunzio (specialmente quello del "Poema paradisiaco"). Facendo delle approfondite ricerche, fui ulteriormente intrigato da alcuni poeti che, seppure citati in molti saggi letterari, non trovavano spazio in nessuna antologia disponibile allora nelle librerie più rifornite. Per esempio, uno di questi è Cosimo Giorgieri Contri: poeta che fu il vero anticipatore del crepuscolarismo, a partire dalla raccolta "Il convegno dei cipressi". Altri nomi sono quelli di Pietro Mastri, Marino Marin, Gustavo Botta, Guelfo Civinini, Diego Angeli, Domenico Tumiati e altri ancora.  Costoro li ritrovai tutti in una antologia che per caso vidi sullo scaffale di una grande libreria romana. Si intitola "Dal simbolismo al déco". Fu grazie ai due volumi di questa preziosissima opera che conobbi ulteriori poeti a me, fino ad allora, totalmente sconosciuti. Da allora in poi non mi limitai ad acquistare libri nuovi, ma cominciai a frequentare anche le librerie antiquarie, dove ebbi modo di reperire alcune raccolte ormai  introvabili, anche a prezzi molto bassi. Ogni volta che riuscivo a trovare un libro di questi poeti era per me una gioia incredibile: l'interesse verso la poesia e verso i vecchi volumi aveva fatto sì che trovassi ancora entusiasmi. Grazie a ciò (e grazie al fatto che i miei genitori superarono quel momento difficile) la mia esistenza è stata meno triste e più divertente. Ancora oggi, nella mia vita la poesia occupa il primo posto.


Parlando di poesia (che sarà l'argomento "unico" di questo blog), penso che nella storia di questa forma d'arte, nel nostro paese e nella nostra lingua, esista un cinquantennio eccezionale, irripetibile, per numero di talenti, per correnti poetiche di grandissimo valore e per altri cento motivi. Questo periodo, che ho voluto, un po' a forza, costringere in mezzo secolo, va dal 1880 al 1930. Gli anni limite, a mio avviso, non sono affatto causali: il primo vide l'uscita del libro più importante di Arturo Graf: Medusa, che poi, nei successivi anni, fu riedito con molte aggiunte; il Graf, poeta che oggi è stato quasi totalmente dimenticato, rappresenta uno dei migliori talenti (se non il migliore) del XIX secolo. Come è noto, le sue lezioni universitarie, influenzarono in modo netto il fare poetico di molti crepuscolari (Gozzano, Chiaves, Vallini, Gianelli ecc.). I suoi versi, di rara bellezza e di altrettanto rara coerenza, non furono mai abbastanza valorizzati, sì da relegarlo addirittura tra i "minori". Insieme al Graf, metterei anche Giovanni Camerana: poeta troppo facilmente definito scapigliato, che invece ebbe il merito di innovare la poesia italiana, percependo e mettendo in pratica la poesia simbolista, in special modo quella vicina a Paul Verlaine. Anche per lui vale il discorso fatto per il Graf, poiché gli anni in cui cominciò a comporre versi geniali e bellissimi, sono quelli intorno al 1880 (da come si evince dalle date che il poeta piemontese usava porre in calce ai suoi componimenti). E poi, sempre il 1880, è l'anno in cui vedono la luce altri libri di versi che possono considerarsi come fondamento della poesia crepuscolare. Infatti escono in quel preciso anno: Poesie di Enrico Nencioni; Poesie di Edmondo De Amicis; Nuovi versi di Vittorio Betteloni ecc. Non posso però negare che già precedentemente a questo anno, fossero apparsi versi di autori come Emilio Praga, Igino Ugo Tarchetti, Arrigo Boito, Alfredo Oriani e lo stesso Giovanni Camerana (in pratica degli scapigliati) in cui si potevano individuare alcuni elementi innovativi importanti. Basti pensare, a proposito del Tarchetti, alle prose poetiche sperimentali intitolate Canti del cuore. Sarà dunque probabile che ogni tanto , quando opportuno e necessario, il primo confine sarà ignorato e verranno presi in considerazione poeti che, magari, in quel preciso anno erano già defunti. Parlando invece dell'altro anno limite, ovvero il 1930, si può ben dire che rappresenti l'inizio di un'altra corrente poetica basilare: l'ermetismo. In quell'anno, infatti, uscì la prima raccolta di Salvatore Quasimodo: Acque e terre, seguita, nei successivi anni, da una serie di libriccini firmati dai maggiori rappresentanti dell'ermetismo: Alfonso Gatto, Libero De Libero, Mario Luzi, Leonardo Sinisgalli ecc. Ebbene a me pare (e parlo da assiduo lettore di poesia italiana) che, se non proprio in quell'anno, in quel periodo la nostra lirica prenda una strada diversa e decisamente "nuova", che, in vero, in parte era stata già tracciata da Giuseppe Ungaretti e da Eugenio Montale, con opere che risalgono ad alcuni anni prima. Seppure verrà esclusa la poesia degli ermetici, il confine del 1930 sarà, come già detto riguardo al 1880, ma per diverse ragioni, a volte superato; il semplice motivo è che alcuni poeti di generazioni "vecchie" pubblicarono delle opere interessanti (ma un po' fuori dal contesto storico), anche nel quarto decennio del XX secolo. Stabilito che questo blog si occuperà della poesia italiana nata in questo circostanziato lasso di tempo, c'è da aggiungere che alcuni dei poeti attivi tra il 1880 ed il 1930, al di là del loro valore, verranno da me marginalizzati. Alcuni di questi, come, per esempio, Giosuè Carducci ed i carducciani, non ne vollero mai sapere di adeguarsi a certa poesia europea (e soprattutto francese), rimanendo ancorati a modi prettamente ottocenteschi. Lo stesso discorso potrebbe verificarsi per i preraffaelliti, i parnassiani e taluni classicisti. Sul versante novecentesco, verranno parzialmente trascurati anche i vociani, ovvero i fautori del frammentismo e della prosa poetica; questi (e mi riferisco soprattutto a Papini, Rebora, Soffici e Boine), pur avendo pregi non indifferenti, composero versi che non posseggono slanci e abbandoni: troppo cerebrali, insomma. Lo stesso discorso vale per moltissimi poeti che si preoccuparono principalmente del sociale (dalla prima Ada Negri a Piero Jahier): anch'essi nobilissimi e di valore, ma, a mio modesto parere, fuori contesto (almeno per quanto vuole rappresentare il mio blog). Infine, anche gran parte dei futuristi rimarranno qui esclusi: più di tutti Filippo Tommaso Marinetti e i suoi seguaci più affezionati. Il futurismo, poeticamente parlando, non è da buttare, ma certamente in questa forma d'arte non ha espresso il meglio di sé. Volendo invece parlare di correnti, scuole, movimenti e scrittori più isolati che saranno al centro dell'attenzione nei post che pubblicherò prossimamente, di certo saranno celebrati i crepuscolari. Questi poeti sono i migliori in assoluto della storia poetica italiana (e non parlo soltanto di Gozzano e di Corazzini) ed hanno emozionato, influenzato e coinvolto generazioni su generazioni, per decenni. Non possono considerarsi soltanto crepuscolari Govoni e Palazzeschi: due poeti di eccezionale talento, che ebbero, tra l'altro, il merito di sperimentare il verso libero quando ben pochi osavano farlo. Certamente, oltre al già citato Graf, saranno spesso protagonisti dei miei post sia il Pascoli che il D'Annunzio: due mostri sacri della poesia italiana a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. Verranno molto approfonditi i versi di quei poeti che, quasi clandestinamente, seguirono, in modo più o meno evidente, la corrente poetica francese più rivoluzionaria dell'Ottocento: il simbolismo; mi riferisco a Lucini, Quaglino, Botta, Tecchio, Tumiati, Donati, Dalmatico, Giribaldi, Varaldo, Roccatagliata Ceccardi, Sinadinò, Cardile, Toscano, Scaglione e tanti altri sconosciuti. Molto spazio avranno altri poeti che, involontariamente, anticiparono il crepuscolarismo: Giorgieri Contri, Civinini, Bettini, Angeli, Cena, Marin, Ricci Signorini... Allo stesso modo si terrà conto di un gruppo di lirici che, seppur quasi ignorato dai migliori critici letterari, proseguì la linea crepuscolare inaugurata da Corazzini e soci: Valeri, Cazzamini Mussi, Valsecchi, Mazzola, Villaroel, Moscardelli, Viviani, Adobati, Donati Petténi, Garsia ecc.  Non saranno dimenticati, come già accennato, alcuni poeti futuristi che ebbero il merito di non lasciarsi troppo trascinare dagli impeti distruttori di Marinetti; mi riferisco a Buzzi, Folgore, Cavacchioli, D'Alba e agli stessi Govoni e Palazzeschi: due geniacci che attraversarono i movimenti del loro tempo senza mai farsi troppo coinvolgere. Alla stessa maniera verrà valorizzato un poeta come Onofri, la cui poesia ha subito, nel tempo, drastiche e interessanti trasformazioni. Anche la poesia religiosa o mistica (che dir si voglia) verrà presa in considerazione, espressa da scrittori come A. S. Novaro, Sella, Giuliotti, Tozzi, lo stesso Onofri, Comi ecc. E non saranno trascurati coloro che, con versi di rara bellezza, parteciparono al clima decadente che caratterizzò questo determinato periodo temporale della nostra letteratura; in questo caso si possono raggruppare nomi di poeti ottocenteschi e novecenteschi, senza quasi notarne alcuna differenza: Gnoli, Panzacchi, Gualdo, Marradi, Marchese, De Bosis, Mastri, La Scola, Giaconi, Chiesa, Pastonchi, Lipparini, Gaeta, Catapano, Da Verona, Siciliani...
Ho già parlato del cinquantennio che principalmente prenderò in considerazione; ora, se volessi dividere quest'ultimo in decenni, certamente quello più importante sarebbe il primo del XX secolo. I motivi risiedono nel fatto che in questi dieci anni si sviluppa la corrente crepuscolare (che però proseguirà anche per la prima parte del decennio successivo); nel fatto che alcuni mostri sacri della poesia italiana del secondo Ottocento (Gnoli, Graf, Pascoli, D'Annunzio) dànno alle stampe opere di grandissimo valore che, in quasi tutti i casi, sono anche le ultime e, nello stesso tempo, le migliori; nel fatto che in questo preciso periodo i poeti italiani cominciano a prendere confidenza col verso libero; nel fatto che anche la prosa poetica, fino ad allora comparsa quasi clandestinamente, trova molto spazio sia in riviste letterarie che in opere poetiche vere e proprie (per quanto riguarda quest'ultime, si potrebbero citare, ad esempio, La prima ora della Academia di Gian Pietro Lucini, De profundis clamavi ad te di Giuseppe Vannicola, I Salmi e le Glorie di Rosario Altomonte e I Canti di Faunus di Antonio Beltramelli); nel fatto che si affermano in pieno e nascono riviste come Il Marzocco, Riviera Ligure e Poesia, dove si accolgono i versi di poeti nuovi; e infine nel fatto che il simbolismo poetico trova un maggior numero di seguaci rispetto agli anni precedenti ed anche rispetto a quelli successivi. Insomma, tra il 1900 ed il 1909 nascono un numero non indifferente di versi, siano essi pubblicati in volumi o in riviste, che possono definirsi qualitativamente alti, molto innovativi e ricchi di elementi originali, i quali caratterizzeranno anche quelli dei decenni futuri.
Tra il 1880 ed il 1889 sono pochi coloro che vollero dire qualcosa di nuovo; tra questi, come già accennato, vanno ricordati i nomi di Arturo Graf (che pubblicò, nel 1880, un'opera fondamentale intitolata Medusa), di Giovanni Camerana, di Luigi Gualdo, di Enrico Panzacchi, di Remigio Zena, di Pompeo Bettini, di Giacinto Ricci Signorini (purtroppo considerato, a torto, un carducciano) e, ovviamente, di Gabriele D'Annunzio. Volendo, a questi si potrebbero aggiungere altri nomi, seppure discontinui nello sperimentare nuove strade poetiche: Enrico Nencioni, Luigi Capuana (i suoi Semiritmi possono considerarsi la prima opera poetica italiana in versi liberi), Vittorio Betteloni, Olindo Guerrini, Edmondo De Amicis, Antonio Fogazzaro, Corrado Corradino, Giovanni Marradi, E. Augusto Berta e Domenico Oliva. Per il resto, la poesia italiana rimane ancorata ai vecchi schemi e ai soliti temi, con Giosuè Carducci ed i carducciani a farla da padroni.
Il 1891 è un anno basilare, perché vede l'uscita della prima edizione di Myricae: opera d'esordio di Giovanni Pascoli d'importanza massima. Allo stesso livello va posto il libro di Gabriele D'Annunzio che uscì due anni dopo: Poema paradisiaco (fonte principale d'ispirazione, insieme a Myricae, per i crepuscolari). Poi, tra il 1894 ed il 1896, nascono le prime raccolte poetiche del simbolismo italiano; gli autori sono Gian Pietro Lucini, Giovanni Tecchio, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Cosimo Giorgieri Contri, Romolo Quaglino e Diego Angeli. Del 1897 è Il 1° Libro dei Trittici: un'opera altamente sperimentale e decisamente simbolista scritta a tre mani da Alessandro Giribaldi, Alessandro Varaldo e Mario Malfettani. Sempre in questi anni si assiste all'uscita di ulteriori raccolte interessanti di Domenico Tumiati, Pier Ludovico Occhini, Ricciotto Canudo e Agostino John Sinadinò: vere scommesse per il tipo di poesia praticato e, comunque, sempre riconducibili all'ambito simbolista-decadente (i loro punti di riferimento sono, per lo più, scrittori franco-belgi come Verlaine, Rimbaud, Mallarmé, Lafourge, Rochenbach, Maeterlinck...).
Passando al decennio compreso tra il 1910 ed il 1919, ho già detto di come risulti denso di opere poetiche ottime; in particolare sono i primi anni ad offrire il meglio: Poesie scritte col lapis (1910) e Poesie di tutti i giorni (1911) vedono la completa affermazione di Marino Moretti che, anche grazie al famoso articolo di Giuseppe Antonio Borgese, fu catalogato come poeta crepuscolare insieme a Carlo Chiaves ed a Fausto Maria Martini: anche loro ben presenti nella scena poetica italiana, rispettivamente con le raccolte Sogno e ironia (1910) e Poesie provinciali (1910). Guido Gozzano pubblica, nel 1911, la raccolta I colloqui, in cui raggiunge l'apice della sua scrittura in versi; la sua scomparsa prematura avverrà nel 1916. Nel 1912 esce la prima edizione di Murmuri ed echi: opera poetica di Mario Novaro che molto si rifà alla filosofia; e, a proposito di filosofia, nello stesso anno vengono pubblicati postumi alcuni mirabili versi di Carlo Michelstaedter: filosofo italiano morto suicida a soli ventitre anni. Sempre del '12 è l'edizione definitiva dell'opera poetica di Luisa Giaconi (morta quattro anni addietro) intitolata Tebaide. Proseguendo, sono da ricordare le raccolte Pianissimo (1914) di Camillo Sbarbaro, poeta che erroneamente fu incluso tra i "vociani" e che invece possiede peculiarità simili a quelle dei crepuscolari e dei decadenti; ancora del '14 è Canti orfici di Dino Campana: definito da alcuni il Rimbaud italiano; infine, tra il 1916 ed il 1919, vengono pubblicate le due migliori raccolte di Diego Valeri: Umana e Crisalide. Per il resto si assiste, in prevalenza, al consolidamento di alcuni movimenti artistici e, quindi, anche poetici, come il futurismo, l'espressionismo ed il cosiddetto "frammentismo" che ebbe, quale miglior palcoscenico, la rivista La Voce. In quest'ultimo ambito va inserita anche la poesia di Giuseppe Ungaretti: originalissima, affascinante senz'altro, ma che ha ben poco in comune, come ho già detto, con quella di cui intendo occuparmi maggiormente; per questo motivo mi limito soltanto a citare altri volumi interessantissimi ma "lontani dal centro", come: Frammenti lirici (1913) di Clemente Rebora, Poemi lirici (1914) di Riccardo Bacchelli, Prologhi (1916) di Vincenzo Cardarelli, Opera prima (1917) di Giovanni Papini, e Con me e con gli alpini (1919) di Piero Jahier. Purtroppo duole dire che anche i versi di due talentuosi poeti come Corrado Govoni ed Aldo Palazzeschi, in questi anni subirono una sorta di involuzione, risultando meno affascinanti rispetto ai primi. Malgrado questa considerazione, vanno comunque segnalate le Poesie elettriche (1911) e L'inaugurazione della primavera (1915) di Govoni e L'incendiario (1910) di Palazzeschi. Mi sembra infine il caso di ricordare qualche raccolta dei migliori poeti futuristi come Versi liberi (1913) di Paolo Buzzi; Cavalcando il sole (1914) di Enrico Cavacchioli e Città veloce (1919) di Luciano Foglore, anche se quest'ultima presenta peculiarità che poco appartengono al movimento fondato da Marinetti.
La terza decade del Novecento vede l'esordio poetico di Eugenio Montale con la celebre raccolta Ossi di seppia (1925); anche altri poeti già abbastanza noti come Cardarelli, Rebora, Saba e Ungaretti continuarono a pubblicare volumi notevoli. Ma i libri che più verranno considerati da questo blog, compresi nel decennio 1920-1929, saranno altri. Per cominciare, verranno spesso citati e riprodotti i versi di Sandro Baganzani: uno dei migliori prosecutori della scuola crepuscolare. Per lo stesso motivo vi saranno anche le poesie di Augusto Garsia e di Ugo Betti. Troveranno posto addirittura i pascoliani (con tutto che Pascoli era già scomparso da molto tempo) come A. S. Novaro e Renzo Pezzani. Considerazione consistente avranno poi i poeti mistici (e, in più rari casi, esoterici) come Emanuele Sella, Girolamo Comi, Luigi Fallacara e Arturo Onofri; in particolare, quest'ultimo è protagonista assoluto in un periodo che vede la sua poesia trasformarsi radicalmente, soprattutto dopo 1924, con una produzione imponente, smisurata, pubblicata anche diversi anni dopo la sua morte (avvenuta nel 1928). Bisogna però precisare che, qualitativamente, quest'ultimo decennio risulta inferiore, almeno rispetto ai tre che lo precedono; tant'è che dopo di esso ho deciso di non andare (a parte qualche rara eccezione di cui ho già parlato).
Mi sembra giusto dare qualche delucidazione sui contenuti dei post di questo blog. Principalmente si divideranno in queste categorie: Poeti, Opere poetiche, Poesie, Argomenti poetici, Scuole e movimenti. Nella prima, non esisterà, come avviene nel blog I libri de la stanza ascosa, alcuna definizione: non ci saranno i "dimenticati", perché ogni autore verrà presentato semplicemente con nome e cognome; per tutti cercherò di analizzare attentamente le opere poetiche pubblicate (se sono riuscito a reperirle), purché rientrino in un certo lasso di tempo. Altri post saranno dedicati a raccolte poetiche particolarmente interessanti, anche se non conosciutissime. Altri ancora a poesie che, per la loro eccezionalità e bellezza, meritano di essere trattate a sé. Per quel che riguarda gli argomenti, non verranno trattati presentandoli come specifici di certi poeti (decadenti, simbolisti, crepuscolari ecc.), cosa che è avvenuta ed avviene nel blog citato. Quanto alle scuole ed ai movimenti, si parlerà di poeti che, nati in un qualsiasi cenacolo di una qualsiasi città italiana oppure vicini soltanto per contatti epistolari, seppero camminare insieme creando versi sia validi che coerenti alla loro idea. Non escludo, poi, di inserire in futuro altri tipi di post.
Infine, è doveroso ricordare delle antologie e dei saggi fondamentali, imprescindibili, grazie ai quali è nata in me la passione per questi poeti e queste poesie:

I crepuscolari: saggio e composizioni, a cura di Nino Tripodi, Edizioni del Borghese, Milano 1966
Poeti simbolisti e liberty in Italia, a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972.
Dal simbolismo al déco, a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981.
Gozzano e i crepuscolari, a cura di Cecilia Ghelli, Garzanti, Milano 1983.
Vent'anni o poco più. Storia e poesia del movimento crepuscolare, di Giuseppe Farinelli, Otto/Novecento, Milano 1998.
Neoidealismo e rinascenza latina tra Ottocento e Novecento, di Angela Ida Villa, LED, Milano 1999
Dagli scapigliati ai crepuscolari, a cura di Gabriella Palli Baroni, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2000.

martedì 12 giugno 2018

Gabbiani


Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch'essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.





È stata una delle prime poesie che ho letto di Vincenzo Cardarelli (Corneto Tarquinia 1887 - Roma 1959); si trova alla pagina 60 del volume Opere, stampato dalla Mondadori di Milano nel 1993; ma è facile trovarla in molte antologie della poesia italiana del Novecento. Io la lessi e subito l'apprezzai in un'antologia per le scuole medie inferiori. Molto breve, ha il pregio di esprimere dei pensieri limpidi, che accomunano la migliore umanità. Parla dei gabbiani: uccelli bellissimi che è facile vedere nelle spiagge italiane o in mare; ma, ahimé, oggi non è raro incontrarli anche in città, nei pressi dei cumuli di rifiuti che intristiscono numerosi paesaggi urbani. Qui il poeta paragona sé stesso agli uccelli, di cui, pur non sapendo alcune abitudini, è a conoscenza del loro insistito, continuo volare nei cieli e del modo strano che adottano quando devono catturare dei pesci: una volta adocchiata la preda, si fiondano su di essa nel momento in cui si trova più vicina alla superficie dell'acqua, per poi afferrarla col potente becco e quindi ritornare a volare più in alto per mangiarsela. Come i gabbiani volano continuamente e, apparentemente senza meta, così il poeta vive sempre in modo inquieto, alla ricerca di qualcosa che non sa, non riesce a capire; e così come questi uccelli accarezzano la superficie dell'acqua per cacciare, il poeta si pone di fronte alla propria esistenza, non riuscendo a viverla a pieno ma soltanto marginalmente. Infine, alla stessa stregua dei gabbiani, che amano la quiete marina, anch'egli ama la vita tranquilla, pur essendo conscio del triste destino che lo perseguita: non trovare mai la pace agognata. Penso che questa meditazione l'abbiano fatta miriadi di esseri umani amanti del quieto vivere, che, per cause imponderabili sono costretti a barcamenarsi in situazioni di disagio e di ostilità esterne, continuando a sperare, anche fino alla morte, di trovare almeno un periodo di quiete nella loro agitata esistenza. E chissà quanti, tra di essi, hanno invidiato qualche specie di animale, che a differenza degli umani, trascorre la sua esistenza in modo pacifico e quieto, senza problemi esistenziali, né ansie o preoccupazioni di qualunque tipo.

domenica 3 giugno 2018

Antologie: "Poeti d'oggi (1900-1925)"


Alcuni mesi fa, ho pubblicato un post dedicato all'antologia Poeti d'oggi (1900-1920), a cura di Giovanni Papini e di Pietro Pancrazi, che uscì nel 1920; in quell'occasione ho ricordato il fatto che, a causa di numerose critiche fatte ai due curatori per motivi legati a certe esclusioni, la medesima opera antologica fu ripubblicata cinque anni dopo con diverse modifiche e con parecchie inclusioni. Eccomi allora a parlare brevemente di questo secondo volume che, da quanto mi risulta, all'epoca in cui fu edito accontentò un maggior numero di critici, ma che, nello stesso tempo, appesantito dalla presenza di nomi poeticamente meno rilevanti e più legati al secolo precedente, perse quell'afflato di novità e di coraggio iniziale. Queste appena espresse non sono opinioni personali ma generali, perché, per come la penso io, la nuova antologia acquista in compiutezza, arricchendosi di poeti classicisti e tradizionalisti (questo non lo si può negare), ma offrendo però un panorama poetico - oltre che prosastico - ben più ampio e significativo rispetto alla vecchia. Parlando dei nuovi inclusi, e rimanendo nell'ambito della poesia vera e propria (come già detto nel post riguardante la prima edizione di Poeti d'oggi, i due curatori vollero includere anche i prosatori più vicini alla lirica), qui troviamo i seguenti nomi: Giovanni Bertacchi, Giuseppe Antonio Borgese, Giovanni Cena, Francesco Chiesa, Francesco Gaeta, Domenico Giuliotti, Pietro Mastri e Angiolo Silvio Novaro. Questi poeti, nati tra 1866 e il 1882, ben rappresentano, insieme a qualche altro già presente nella prima edizione, quanto, nel primo quarto di secolo novecentesco, fossero ancora determinanti quei "mostri sacri" rispondenti ai nomi di Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli e Gabriele D'Annunzio, che avevano dato tanto prestigio alla nostra poesia nell'ultimo scorcio dell'Ottocento e nei primissimi anni del secolo successivo. Senza la loro presenza l'opera antologica avrebbe peccato di presunzione, trascurando una parte importante della poesia italiana di allora. Aggiungo che in questa nuova selezione vi furono delle esclusioni, non comparvero più infatti i nomi di Paolo Buzzi, Amalia Guglielminetti, Guido da Verona e Rosso di San Secondo. L'esclusione di Buzzi e della Guglielminetti da parte dei due curatori, fu, a mio parere, inopportuna; così facendo, l'antologia perdeva innanzi tutto un poeta futurista di valore quale fu Buzzi, e poi una delle poche presenze femminili presenti (e la Guglielminetti poteva tranquillamente rientrare anche nella nuova antologia, venendo a personificare, coi suoi versi, quel dannunzianesimo tanto diffuso, soprattutto nel primo decennio del XX secolo). In aggiunta, anche se si tratta di un semplice dettaglio, mi sembra giusto ricordare che questa antologia, al contrario della precedente, ordina gli scrittori selezionati per data di nascita e non per ordine alfabetico. Ecco, infine, l'elenco degli autori antologizzati.  



POETI D'OGGI (1900-1925)

Alfredo Panzini, Adolfo Albertazzi, Angiolo Silvio Novaro, Gian Pietro Lucini, Luigi Pirandello, Annie Vivanti, Giovanni Bertacchi, Pietro Mastri, Enrico Thovez, Ada Negri, Giovanni Cena, Francesco Chiesa, Guelfo Civinini, Ugo Bernasconi, Grazia Deledda, Fernando Agnoletti, Giuseppe Lipparini, Domenico Giuliotti, Sem Benelli, Fernando Paolieri, Carlo Linati, Massimo Bontempelli, Filippo tommaso Marinetti, Francesco Gaeta, Ardengo Soffici, Bruno Cicognani, Bruno Barilli, Giovanni Papini, Enrico Pea, Ettore Allodoli, Ercole Luigi Morselli, G. A. Borgese, Lorenzo Viani, Guido Gozzano, Umberto Saba, Federigo Tozzi, Renato Serra, Emilio Cecchi, Corrado Govoni, Piero Jahier, Marino Moretti, Clemente Rebora, Aldo Palazzeschi, Arturo Onofri, Fausto Maria Martini, Vincenzo Cardarelli, Sergio Corazzini, Giovanni Boine, Mario Puccini, Giuseppe Ungaretti, Scipio Slataper, Luciano Folgore, Camillo Sbarbaro, Antonio Baldini, Dino Campana, Umberto Fracchia, Riccardo Bacchelli, Nicola Moscardelli.

sabato 26 maggio 2018

Semplicità e chiarezza nella poesia


Mi è successo, recentemente, di leggere delle poesie in cui abbondavano parole inusuali, colte, difficili; nello stesso libro, le poesie suddette erano precedute da un saggio critico che, allo stesso modo, era inzuppato di termini forbiti. Per meglio comprendere entrambe le parti del volume, ho dovuto prendere un dizionario e consultarlo in continuazione; così la lettura mi è diventata talmente pesante che ad un certo punto ho preferito abbandonarla. Da questa non entusiasmante esperienza di lettura mi è scaturita spontanea una riflessione, che può apparire lapalissiana, ma esprime una realtà incontrovertibile: l'uso frequente di termini complicati e di un linguaggio lezioso infastidisce, annoia e allontana molti potenziali lettori. Questa conclusione, a dire il vero, mi pare molto più plausibile per la prosa e per la critica letteraria che per la poesia. In quest'ultima infatti, può capitare che il linguaggio astruso la renda affascinante e che la difficoltà di comprensione ne aumenti il mistero. Questo non sono io a dirlo, ma già lo affermava Giuseppe Ungaretti quando confessò di aver amato alla follia la poesia di Stéphane Mallarmé pur se, di sovente, gli succedeva di non comprenderne il significato. Eppure, anche parlando di poesia, se dovessi fare un elenco dei miei poeti preferiti (Leopardi, Camerana, Graf, Pascoli, Govoni, Moretti, Palazzeschi, Corazzini, Valeri, Vigolo, Sinisgalli, Bertolucci ecc.), mi rendo conto che tutti o quasi, nei loro versi raramente hanno inserito parole "difficili", e che i loro concetti molto spesso mi risultavano limpidi come acqua di sorgente; per questi motivi li ho apprezzati di più, perché la semplicità e, nello stesso tempo, la profondità, la fantasia e l'originalità, sono gli elementi che rendono una poesia bellissima. Ci sono stati altri poeti che ho conosciuto e, in minor misura, amato, ma il loro modo di far versi, molto vicino all'ermetismo o ad altre scuole che non ponevano la chiarezza come elemento primario, non me li ha fatti mai stimare più di tanto, riscontrandone, più di una volta, ostica la lettura. Eugenio Montale, che è il poeta più valutato del Novecento italiano, mi ha appassionato raramente. Di Arturo Onofri preferisco la prima fase poetica rispetto alla seconda, che pure è maggiormente considerata dai critici. Io, inoltre, mi ritengo un appassionato di poesia italiana, ma non ho mai avuto alle spalle una preparazione particolarmente adeguata della materia; posso anche dire di essere piuttosto ignorante al riguardo, soprattutto se si parla di metrica. Sono diplomato e il mio vocabolario è piuttosto limitato; per questo, non di rado mi succede d'imbattermi, come ho già detto, in parole di cui non conosco bene il significato. D'altra parte penso che la migliore poesia sia quella che giunge a tutti, compresi coloro che non hanno studiato molto. Gli altri versi, possono essere apprezzati da certi poeti o certi intellettuali che, ben chiusi in una torre d'avorio, comunicano soltanto tra di loro e se ne infischiano del resto dell'umanità. Devo dire che di poeti "semplici" ce ne sono moltissimi, conosciuti e non, e vanno da San Francesco d'Assisi ai contemporanei. Devo specialmente a loro il mio immenso amore per la poesia.
Voglio chiudere, una volta di più, questa breve dissertazione con alcuni versi. Si tratta di una poesia di Edoardo Sanguineti che ben s'inserisce nel contesto, parlando della chiarezza quale elemento fondamentale nell'arte poetica, nella letteratura, nel giornalismo e un po' in tutte le materie umanistiche.



la poesia è ancora praticabile, probabilmente, io me la pratico, lo vedi,
in ogni caso, praticamente così:
                                              con questa poesia molto quotidiana (e molto
da quotidiano, proprio): e questa poesia molto giornaliera (e molto giornalistica,
anche, se vuoi) è più chiara, poi, di quell’articolo di Fortini che chiacchiera
della chiarezza degli articoli dei giornali, se hai visto il «Corriere» dell’11,
lunedì, e che ha per titolo, appunto, “perché è difficile scrivere chiaro” (e che
dice persino, ahimè, che la chiarezza è come la verginità e la gioventù): (e che
bisogna perderle, pare per trovarle): (e che io dico, guarda, che è molto meglio
perderle che trovarle, in fondo):
                                              perché io sogno di sprofondarmi a testa prima,
ormai, dentro un assoluto anonimato (oggi, che ho perduto tutto, o quasi): (e
questo significa, credo, nel profondo, che io sogno assolutamente di morire,
questa volta, lo sai):
                              oggi il mio stile è non avere stile:

(dall'antologia: "Il canto strozzato. Poesia italiana del Novecento", Interlinea, Novara 1997, p. 559)

giovedì 24 maggio 2018

Principio d'estate





Dolore, dove sei? Qui non ti vedo;
ogni apparenza t'è contraria. Il sole
indora la città, brilla nel mare.
D'ogni sorta veicoli alla riva
portano in giro qualcosa o qualcuno.
Tutto si muove lietamente, come
tutto fosse di esistere felice.



La poesia sopra riportata è di Umberto Saba; l'ho estratta dalla pagina 477 del volume "Tutte le poesie", Mondadori, Milano 1994. Fu pubblicata per la prima volta sulla rivista L'Orto nel luglio del 1938; fu quindi inserita nel libro del poeta triestino intitolato Ultime cose, pubblicato come decimo dei Quaderni della Collana di Lugano nel 1944.
In soli sette versi, Saba esprime una sensazione particolarmente piacevole, che è facile provare in certi giorni di inizio estate, soprattutto se si vive in cittadine balneari molto tranquille, come se ne trovano sulla costa adriatica della penisola italiana. Devo dire che anche a me, in passato, è capitato di provare la medesima sensazione, osservando il lungomare di una piccola città dell'Adriatico, in un mattino di prima estate. Il sole che splendeva incontrastato nel cielo, le automobili e le biciclette che lentamente e lietamente passavano, le persone a piedi che passeggiavano con aria spensierata, la spiaggia a due passi già colma di villeggianti che si godevano la bella giornata e, un poco più lontano, il mare calmo e azzurro, il cui confine si confondeva col cielo dello stesso identico colore. Il tutto trasmetteva all'anima di chi guardava un'estasi che è difficile trovare in altri luoghi; quelle immagini mi facevano pensare ad un posto incantato, un paradiso dove si vive una perenne felicità, e dove, quindi, non esiste alcun tipo di dolore. Ovviamente era un'impressione falsa, ma che in quegl'istanti appariva veritiera, ed era bellissimo viverla.

lunedì 14 maggio 2018

Altri pensieri e altri versi sulla morte


Le recenti notizie luttuose riguardanti persone che avevo conosciuto e che, più o meno, avevano la mia età, oltre che procurarmi un grande sconforto, mi hanno fatto pensare ancora una volta alla morte, e a quanto sia vicina e insidiosa, ma soprattutto imprevedibile. Chi se n'è andato a causa di un cancro, chi per arresto cardiaco, nel giro di pochi mesi, questi individui sono scomparsi per sempre dalla faccia della terra. Quante volte mi capita di pensare al futuro, d'immaginarmi vecchio, di pensare al momento in cui smetterò di lavorare ed andrò in pensione... Ma dimentico sempre che il mio futuro non sono e non sarò io soltanto a deciderlo. Non so quanto mi resta da vivere (trenta, venti, dieci anni? O soltanto pochi mesi?); nessuno di noi può saperlo, compresi coloro che godono di ottima salute. So per certo che, a mano a mano che si sale in età, sale anche la percentuale della possibile morte, sia essa improvvisa o lenta. In particolare, ho notato che una volta superato il mezzo secolo di vita, le probabilità di ammalarsi e di perire aumentano in modo considerevole. Le tante chiacchiere che si fanno sui mass media inerenti all'aspettativa di vita attuale, restano, alla fine, inutili ciance, illusioni per chi non vuole pensare che non c'è nulla di sicuro al riguardo. L'ottantenne o il centenne che giunge a quella veneranda età non poteva sapere, quando aveva venti o quaranta anni in meno, se vi sarebbe mai arrivato. Anche la storiella del DNA, che influenza fortemente il destino di ciascuno di noi, mi pare non sia attendibile. Insomma, tranne i suicidi, nessun essere umano sa quando o come morirà. La morte, se si potesse raffigurare, sarebbe un cecchino che spara all'impazzata sulla folla, non curandosi minimamente delle persone che colpisce. Forse, fra un po' di tempo, ricomincerò, per forza di cose, a pensare ad un futuro, ma ora in me prevale la constatazione della estrema labilità dell'esistenza, e provo già a immaginare una reazione adeguata, nel caso in cui, improvvisamente venissi a sapere che mi rimane poco da vivere. Per concludere questo doloroso ragionamento, ancora una volta, propongo dei versi che parlano di morte; e ancora una volta ho scelto una poesia di Alessandro Parronchi, che ben descrive uno stato d'animo radicatosi nel poeta a seguito di una serie infinita di notizie luttuose, che coinvolgevano (e coinvolgeranno sempre) esseri umani di tutte le età.


UN'ALTRA PICCOLA CROCE
di Alessandro Parronchi

La morte ha invaso la vita. Sulle colline
– di Staglieno, del Père-Lachaise, di Arlington
e del paesino della più remota campagna –
non c’è più posto nemmeno per una piccola croce.
La stesso nel mio cuore. Quante volte la nenia
judicare saeculum per ignem
ho udito per l’uno o l’altro parente od amico.
Dapprima mi turbava, ora non più.
Ora, in italiano, ha un suono crudo,
non sveglia echi, risonanze profonde.
Sono stanco della morte.
Ma se vuoi, madre, che scriva qualcosa
per la bimba che è morta,
non dirò di no.
Come l’astronomo scopre un’altra piccola stella
tra le miriadi di cui non sa che farsi il cielo,
farò brillare a notte un altro lume
per lei tra le meteore.
Ma di giorno voglio pensarla viva
sulla terra e nel vento, come una margherita
appena schiusa. Poi, come un piccolo seme 
bianco dentro la terra, promessa di primavera
quando vien sera.

(da "Le poesie", Polistampa, Firenze, 2000, volume II, p. 394)

giovedì 10 maggio 2018

Dizionario della letteratura italiana del Novecento





Questo dizionario uscì presso l'editore Einaudi di Torino nel 1992. È stato ed è tutt'ora un libro fondamentale per un appassionato di poesia italiana del Novecento quale sono io; fu anche uno dei primi libri che acquistai per approfondire un discorso altamente coinvolgente: grazie a questa essenziale opera ho potuto rintracciare i nomi dei poeti in lingua italiana più o meno famosi che hanno scritto e pubblicato poesie nell'arco di tutto il XX secolo, ivi compresi i titoli, gli anni, i luoghi e gli editori delle loro opere a stampa. Il libro, poi, ha il vantaggio di non essere affatto voluminoso né pesante: si avvale infatti di un formato pari a 20,5 x 12,5 centimetri, e di 595 pagine. Ovviamente non è un dizionario onnicomprensivo, quindi, esistono anche delle esclusioni che, seppure dolorose, sono state necessarie per non appesantire troppo il volume. C'è infine da aggiungere un'ultima cosa: vista la data d'uscita, è normale vi sia qualche lacuna riguardante le ultime generazioni di scrittori italiani del '900, in particolare risultano assenti o quasi coloro che si misero in luce durante l'ultimo decennio del secolo. 
Quest'opera è nata grazie ad un lavoro d'equipe, ma l'impianto lo si deve soprattutto al direttore Alberto Asor Rosa, a Giorgio Inglese e a Gabriella Pulce. Invito infine chiunque sia interessato alla letteratura italiana del secolo da poco trascorso, a consultare le 1800 voci (che comprendono anche i movimenti letterari) di questo importantissimo dizionario.