sabato 16 settembre 2017

Antologie: Poeti Novecento

Questa antologia nacque a seguito del concorso di poesia indetto dall'Accademia Mondadori nel 1926. Dopo un lungo periodo di lettura dei volumi mandati all'editore dai tanti poeti italiani che vollero partecipare al concorso, una commissione di esperti, che decisero di rimanere anonimi, diede alle stampe l'antologia nel 1928. Purtroppo, il risultato fu tutt'altro che soddisfacente: i trentadue poeti scelti risultarono, alla lunga, poco rilevanti, ed oggi ben pochi si ricordano di questa antologia che, pure, nell'anno in cui uscì, fece un certo scalpore. Chi aveva indetto questo concorso poetico avrebbe voluto raccogliere i versi dei migliori poeti in circolazione durante quel periodo specifico, non badando all'età, né alla fama di ciascuno; ebbene si può dire con certezza che il tentativo fallì clamorosamente. Leggendola, si nota la presenza di Paolo Buzzi: un poeta conosciuto che ebbe, negli anni d'oro del futurismo, un periodo glorioso; vi compaiono poi altri nomi di poeti emergenti che non sono da disprezzare come Augusto Garsia, Renzo Pezzani e Giacomo Prampolini, ma nulla di più. Chi leggerà l'elenco (che riporto di seguito) degli scrittori scelti dai curatori di questa vecchia antologia, probabilmente faticherà a trovare qualche altro nome conosciuto, visto che, quasi tutti, ebbero il loro massimo momento di fama proprio in queste pagine. 





POETI NOVECENTO


Giovanni Bizzarri, Gino Bonomi, Paolo Buzzi, Attilio Canilli, Alberto De Brosenbach, Mario De Gaslini, Ettore De Nuvoli, Vincenzo De Simone, Bruno Fattori, Augusto Garsia, Gentucca, Enrico Gerelli, Mario Ghisalberti, Elio Gianturco, Gino Gori, Carlo Kutufà, Giuseppe Longo, Vittorio Malpassuti, Vittorio Mazzarella, Sebastiano Mineo, G. Edoardo Mottini, Tullio Murri, Maria Nastasi, Renzo Pezzani, Mariuccia Piceni, Giacomo Prampolini, Mariano Rugo, Anna Severino, Niccolò Sigillino, Mario Toccolini, Mario Viscardini, G. Zuppone Strani.

sabato 2 settembre 2017

Poeti dimenticati: Augusto Ferrero

Nacque a Bologna nel 1866 e morì a Roma nel 1924. Laureatosi in Legge, esercitò la professione di giornalista e pubblicò, oltre a vari articoli, alcune poesie su riviste come "La Gazzetta Letteraria" e "Nuova Antologia". Fu redattore capo de "La Tribuna". Ferrero, che non fu un poeta molto prolifico (pubblicò un solo volume di versi) può essere accomunato alla generazione che rimase con un piede nell'Ottocento ed uno nel Novecento: romantico, legato alla tradizione, di rado seppe trovare  suggestioni più moderne che, soltanto marginalmente, lo avvicinano alla poesia decadente.



Opere poetiche

"Nostalgie d'amore", Roux, Torino 1893.



Presenze in antologie

"Italian lyrists of to-day", a cura di Elkin Mathews e John Lane, Londra 1893 (pp. 101-103).
"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 159-161).
"Aria sana", a cura di G. Lanzalone e B. Cocurullo, Stab. Tip. F.lli Jovine, Salerno 1909 (pp. 161-171).
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. 2, p. 110).



Testi

A VILLA BORGHESE

Qui tra l'elci, qui pei viali solitari
tu mi segui, fida amica, nel pensiero:
forse avvolta dentro il mobile leggero
                    velo della nebbia?

Prati roridi all'autunno, voi, sacrari
taciturni, dalla densa ombra tranquilla,
ove sola s'ode l'acqua che zampilla
                    con mormorio querulo.

Quanta pace qui nel vostro ospite grembo,
quanta pace fra le nere antiche fronde,
quanta pace, bianco cigno, pur tra l'onde,
                    che sereno navighi!

Ecco il sol fende la nebbia: rompe a sghembo
di fra i pini, sovra l'erba che scintilla:
sei tu meco nel mattino di novembre, per la villa
                    sacra, amico spirito?


(dalla rivista «Nuova Antologia», agosto 1903)

lunedì 21 agosto 2017

I laghi nella poesia italiana decadente e simbolista

Parlando di laghi, è opportuno ricordare che bisogna sempre riconnettersi al discorso delle acque (escludendo ovviamente le acque correnti). In queste poesie si nota molto spesso la presenza di elementi inquietanti. Nei versi di Mastri, per esempio, le acque del lago assumono un insolito colore rosso che trasmette nella mente del poeta tutta una serie di pensieri orribili. Anche nella poesia di Tumiati: Il lago salato, sembra di vivere in una sorta di incubo dove c'è una figura femminile in preda ad una sete tremenda che infine trova, come unico luogo dove potersi dissetare, un lago dalle acque velenose. A proposito di donne, vi sono vari componimenti che le vedono, giovani e belle, bagnarsi nelle acque dei laghi; a volte però, l'immagine gradevole e invitante delle giovinette svestite che giocano nelle acque lacustri altro non è che una trappola mortale per gli uomini ipnotizzati da tale visione. Si riscontra inoltre, in alcune poesie, l'elencazione di una serie di immagini, figure, rumori; ad esempio, spesso compaiono le nebbie che, gradatamente, coprono le acque dei laghi; oppure i cigni che vagano all'interno del bacino lacustre o, ancora, il suono, in lontananza, di campane. Tutti elementi, questi ultimi, che si ritrovano facilmente in molti altri versi di poeti liberty, simbolisti, crepuscolari e decadenti.



Poesie sull'argomento

Diego Angeli: "Ricordo di Lucerna" in "L'Oratorio d'Amore. 1893-1903" (1904).
Francesco Cazzamini Mussi: "Lago di Bourget" in "Fogline d'assenzio" (1916).
Girolamo Comi: "Intraducibili sono i tuoi splendori" in "Lampadario" (1912).
Gabriele D'Annunzio: "Sul lago di Nemi" in "Elegie romane" (1892).
Alfredo Galletti: "Ombra" in "Odi ed elegie" (1903).
Luisa Giaconi: "Il laghetto" in "Tebaide" (1909).
Cosimo Giorgieri Contri: "Sera di lago" in «Nuova Antologia», aprile 1907.
Corrado Govoni: "Laghi" in "Le Fiale" (1903).
Arturo Graf: "Acqua chiara..." in "Medusa" (1890).
Arturo Graf: "Il lago delle ondine" in "Morgana" (1901).
Giuseppe Lipparini: "Il lago" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Gian Pietro Lucini: "Or all'alba od al vespero..." in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).
Pietro Mastri: "Il lago rosso" in "L'arcobaleno" (1900)
Mario Morasso: "Il simbolo di Carmen in Helène Hastreiter - Epilogo" in "I Prodigi" (1894).
Domenico Tumiati: "Ricordo di lago" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Domenico Tumiati: "Il lago salato" in «Il Marzocco», novembre 1897.
Diego Valeri: "Pomeriggio sul lago" in "Umana" (1916).



Testi

OMBRA
di Alfredo Galletti

Il lago è già immerso ne l'ombra,
ma in alto un supremo bagliore
                       sfavilla.
Laggiù ne l'azzurra penombra
la stella ch'è sacra a l'amore
                       scintilla.

La nebbia leggiera si spande
su l'acque, su i prati: le cose
                       pallenti
proiettano un'ombra più grande;
somigliano a larve brumose
                       vanenti.

Lontano rumor di campane
da l'acque sonore echeggiato
                       si muore,
par voce d'angosce lontane
che desti un dolore obliato
                       ne 'l cuore.

La luce da i cieli, la vita
da i campi, da i fior la fragranza
                       s'invola;
o anima stanca e ferita,
s'invola da te la speranza:
                       sei sola.

(Da "Odi ed elegie")




LAGHI
di Corrado Govoni

O laghi cristallini e smeraldini
ricamati di bianchi nenufari
candidi come improvvisati altari
con nappe pendule di pannolini;

o laghi azzurri, o laghi oltre marini
circondati da boschi solitari
con i branchi di cigni pellegrini;

o laghi in cui i monti immacolati
flettono la purezza d'innocenti
culmini ornati di perpetuo sfagno;

laghi dove i crepuscoli rosati
muoiono lenti sanguinolenti
come in immensi specchi senza stagno.


(Da "Le fiale")

giovedì 13 luglio 2017

"Nel cielo soffii di deserto passano": l'estate in venti poesie italiane pubblicate tra il 1900 ed il 1919

Il primo ventennio del XX secolo fu caratterizzato, inizialmente, dall'ultima fase della Belle Époque: periodo considerato tra i più felici della storia dell'umanità, soprattutto per i progressi che si ebbero nel campo scientifico. Ma dopo appena tre lustri del secolo nuovo, ecco una devastante guerra che coinvolse un numero sterminato di soldati, molti dei quali, tra il 1914 ed il 1918 (data d'inizio e fine della Prima Guerra Mondiale), trovarono la morte. Quindi gli anni duri e difficili del dopoguerra che, purtroppo, in Italia culminarono con l'avvento della dittatura fascista. Le poesie qui presenti non toccano questi argomenti, ma si limitano a descrivere dei momenti, più o meno intensi, più o meno memorabili, vissuti durante le estati del ventennio citato. I poeti, in maggioranza, sono poco più che sconosciuti al grande pubblico; ma le loro poesie non sono da buttare e magari, potrebbero rappresentare un'occasione per far riemergere, da questo lontano passato, qualche scrittore ormai del tutto dimenticato.



BALLATA DELLE FALCI
di Guelfo Civinini (1873-1954)

Discorron piano sotto al vecchio melo
gli uomini: di lontano un cane abbaia.
Falci d'argento splendono su l'aia,
un'altra d'oro è pendula nel cielo.

Le belle falci che argentò il lavoro
han già tagliato per tutta la valle
la mèsse d'oro, ed ogni spiga è piena:
su l'aia sgorgherà come un tesoro
sotto lo scalpitar delle cavalle
che l'uomo al giro della corda infrena.

Sul colle dove l'aria è più serena,
fra i peschi e i meli vagola una coppia.
«Ti ricordi che fuochi nela stoppia?»
Ma chiamano pel vespero quieto:
«Rosa! Guglielmo!» ed: «Eccoci!» risponde
una voce. O che fanno nel frutteto?
Mangian le pesche? Luccican le fronde
sotto la falce pendula nel cielo.

(da "L'urna", Alighieri, Roma 1900)




BALLATA
di Ettore Botteghi (1874-1900)

Come nacque? da un fuoco alto d'ebbrezze
o da una voluttà spirituale,
o da un gran frullo d'ale,
o da una festa calda di carezze?

Se questa dolce nascita Tu sai,
dimmelo, o purità,
ora che stridon già
le cicale nel folto ed arde il sole.
Dimmi perché più bella ora ti fai,
ora che il sole va
per l'ampia azzurrità,
e fioriscono qui rose e viole,
e son più dolci assai le tue parole?
Come nacque? la spiaggia ha nel candore
pie canzoni d'amore,
e ci carezzan qui lievi le brezze.

(da "Poesie", Tip. Valenti, Pisa 1902)




PUR CHE TUA LUCE...
di Italo Dalmatico (1868-?)

Pur che tua luce fervida consenta,
o benefico sol bianco d'agosto,
il succo ne la botte ampia deposto
una forza novella oggi tormenta.

Spuma ne i tini la vendemmia e tenta
le nari e il capo odor acre di mosto,
quando, per tua virtù, sole, scomposto,
il sangue de la pia vite fermenta.

Canta e schiaccia le miste uve co 'l piede
tinto il villano e sente ampia da sotto
l'onda del vino gemere novello:

e caldo sangue de la terra ei vede
schizzar dal nero grappolo, ridotto
sotto la forza del muscolo snello.

(da "Juvenilia", De Schönfeld, Zara 1903)




LA TENZONE
di Gabriele D'Annunzio (1863-1938)

O Marina di Pisa, quando folgora
il solleone!
Le lodolette cantan su le pratora
di San Rossore
e le cicale cantano su i platani
d’Arno a tenzone.

Come l’Estate porta l’oro in bocca,
l’Arno porta il silenzio alla sua foce.
Tutto il mattino per la dolce landa
quinci è un cantare e quindi altro cantare;
tace l’acqua tra l’una e l’altra voce.
E l’Estate or si china da una banda
or dall’altra si piega ad ascoltare.
È lento il fiume, il naviglio è veloce.
La riva è pura come una ghirlanda.
Tu ridi tuttavia cò raggi in bocca,
come l’Estate a me, come l’Estate!
Sopra di noi sono le vele bianche
sopra di noi le vele immacolate.
Il vento che le tocca
tocca anche le tue palpebre un po’ stanche,
tocca anche le tue vene delicate;
e un divino sopor ti persuade,
fresco ne’ cigli tuoi come rugiade
in erbe all’albeggiare.
S’inazzurra il tuo sangue come il mare.
L’anima tua di pace s’inghirlanda.
L’Arno porta il silenzio alla sua foce
come l’Estate porta l’oro in bocca.
Stormi d’augelli varcano la foce,
poi tutte l’ali bagnano nel mare!
Ogni passato mal nell’oblio cade.
S’estingue ogni desio vano e feroce.
Quel che ieri mi nocque, or non mi nuoce;
quello che mi toccò, piú non mi tocca.
È paga nel mio cuore ogni dimanda,
come l’acqua tra l’una e l’altra voce.
Cosí discendo al mare;
cosí veleggio. E per la dolce landa
quinci è un cantare e quindi altro cantare.

Le lodolette cantan su le pratora
di San Rossore
e le cicale cantano su i platani
d’Arno a tenzone.

(da "Alcyone", Treves, Milano 1904)




CANICOLA
di Cesare Rossi (1852-?)

Deh come da le viscere intime ardi,
terra arida, giallastra e sitibonda,
quale ardesti a i Crociati ed a i Lombardi.

Deh come tutti e tronchi e gambi e steli
tendono a l'alto a la benefica onda
di che pur sono palpitanti aneli.

Onde a me par d'esser sensibil fusto,
che metta rami per incantamento,
e da l'orrendo solleone adusto

soffra, o povera Terra, il tuo tormento.

(da "Intermezzo agreste", Balestra, Trieste 1904)




MEDITAZIONE ESTIVA (SUL DAVANZALE)
di Giuseppe Altomonte (1889-1905)

Come sepolta in polvere d'argento
nel mattin tardo stendesi la via;
l'anima beve per un gran fermento
nel mar di luce che il bel Sole invia.

E il dïurn'Astro che giammai ha spento
in vêr ponente i suoi cavalli avvia...
O sol che vai pel terso firmamento,
dona, oh, dona un tuo raggio a l'alma mia!

Donami un raggio. E quando il falso andare
compisci, e vien la notte, e l'ombre adduce,
e ammanta l'alma del suo negro velo,

quel raggio almen per le tenèbre amare
fiaccola ardente fia, l'unica luce
che mi permetta di fissare il cielo.

(da "Canzoniere minuscolo", Garofalo, Bitonto 1905)




ULTIMA ESTATE
di Luigi Orsini (1875-1954)

Muore segnata da stormi 
d'uccelli grigi l'estate,
mentre fra nubi affocate
migrano larve difformi.

Mutan colore le cose,
dal mare a l'ombre del bosco,
per vestir quello più fosco
che un mago ignoto compose.

Alto, con guizzi di spola,
solcano lividi lumi:
i ponti legano i fiumi
con grandi nastri viola,

e per il cielo terribile
cui neri fendono i pioppi,
rotola e romba fra scoppi
un cupo carro invisibile.

Già de l'autunno precoce
rompono i nembi crucciosi:
già i contadini ansiosi
si fanno segni di croce;

ma un dolce cuore si frange
contro tristezze più amare:
c'è, dietro i vetri, a guardare,
un bianco volto che piange.

Vede ne l'acqua che scema,
righe d'un pianto fatale
quasi un'angoscia mortale
da tutto il cielo le sprema;

e il suo dolore infinito
con quell'affanno s'accorda
poi che il passato ricorda
e un caro amore sfiorito.

Geme fra tanto l'estate:
«muore ogni cosa più bella!»
Lungi verdeggia una stella
fra poche nubi affocate.

(da "I canti delle stagioni", De Mohr, Milano 1905)




ESTATE
di Mario Venditti (1889-1964)

  Dicesti: - Il sol d'agosto m'ha bruciate
tutte le rose de 'l roseto antico...
E dopo averle a 'l zefiro sfrondate
da la veranda: - Sol, ti maledico,

sole - imprecasti - che le fai morire!

  Ed io, fra tanto, che le disseccate
rose cadute ne 'l viale aprico
raccolsi, perché avevano sfiorate
le tue manine: - Sol, ti benedico,

- dissi - o bel sole che le fai morire!

(da "Albente coelo", Perrella, Napoli 1906)




NOTTE LUNARE
di Achille Leto (1870-1963)

Su pe' silenzi della notte estiva
erra la luna. Cade dalla torre
nitidamente l'ora fuggitiva,
     l'ora che corre.

E intorno tace la campagna ai colli:
dormon le case: nel sereno albore
perdesi a volo l'anima su molli
     ali di fiore.

(da "La tibia", Spinnato, Palermo 1908)




LA VIA
di G. A. Sanguineti (?-?)

Bello è nel meriggio infocato
andar sotto il fervldo sole
sentendo le arcane parole
de l'anima.... Manda il selciato

un caldo rimbatto a i pensieri
fermi ne la solenne fronte,
solenne come un ermo fonte
rinchiuso da macigni neri.

Son fermi i pensieri, statuari;
il sangue nel cuore ristagna;
o cuore, perché non più bagna
le vene con palpiti vari?

Or più nou ritrovo la vita
mia, spersa nel sole fulgente,
nel vasto splendore lucente
dal petto socchiuso è fuggita:

il sole risplende, fiammeggia
con un desìo caldo ed acuto
e pur la mia vita à voluto
ne l'alta, infocata sua reggia;

ma ancora lo sento, è più forte
la sento. Ed insieme col sole
la vivo, siccome il Dio vuole
che disse: Divine ed assorte

potenze ài nel petto, o mio figlio,
che disse: va, pensa, combatti
e avanza! per te sono intatti
gli allori, se vinci ll periglio.

Bello è nel meriggio solare
andar col suo destino ardente,
andar per la strada silente,
che il Fato fu pronto a segnare!

(da "Il sorriso della sfinge", Montorfano e Valcarenghi, Genova 1909)




ESTATE D'OLTRARNO
di Giannotto Bastianelli (1883-1927)

I palazzi che somigliano a un convento
con gli spaziosi
cortili ombrosi
e le statue del seicento,

con le loggie aperte al vento fiesolano
e gli orti pieni
di fruscìi leni
e di sole meridiano;

le ampie chiese fresche e bianche - di calcina,
cui ripercuote-
si nelle vuote
volte ogni urto delle panche;

le botteghe d'antiquari - luccicanti
d'armi, pugnali,
croci, messali
e d'argentei reliquarî;

le viuzze silenziose - come quelle
disabitate
delle borgate
di provincia, e in cui, rissose,

voli intrecciano le rondini, calando
fulminee e gaie
dalle grondaie
ed il cielo rimbalzando;

tratto tratto il fresco soffio del maestrale
pien di lontane
voci, campane,
e d'un vago odor rurale...

... - O l'estate di Firenze erma d'oltrarno,
l'estate placida
cui rara infradicia
qualche pioggia afosa indarno!

Dolce este, tutta sole, e un poco mesta
che ovunque spande
la pace grande
che àn gli stanchi dì di festa!

lente l'ore passan come ombre di nuvole
sui campanili
alti e sottili
e sui tetti e sulle cupole.

Vien la notte. Il plenilunio allaga lenta-
mente i palazzi
gli orti, gli spiazzi
di freschezza sonnolenta,

mentre su, dalle assicelle dei balconi
scende l'odore
dei vasi in fiore
di geranio e di garofano.

(da "Dal terzo libro di poemi e musiche", Tip. Pulini, S. Giovanni Valdarno 1910)




L'ULTIMO FIENO
di Emanuele Castelbarco (1884-1964)

Come l'odor del fieno in fin d'agosto,
quando la falce miete l'ultima erba,
è acuto e tenue. Forse in sé nascosto
un ricordo e un rimpianto a noi riserba.

È nel fondo di lui vano un desio
per la lontana morta primavera,
come d'un dolce amor l'ultimo addio
in un'anima amante, che dispera.

(da "Pei sentieri della vita", Baldini Castoldi & C., Milano 1910)




FINE D'AGOSTO
di Francesco Gaeta (1879-1927)

Declina agosto: il sonno hai tu pesante,
simile ancora a 'l sonno d'un infante
cui fiaba son la notte e la civetta
ne 'l viso donna, il resto gallinetta,
ed, a lui presso, il vigile lumino
che se ne muor ne i raggi del mattino.

Domani rivedrai, di nuovo desta,
di pesche e di cocomeri una festa,
appena de i colombi il primo volo
coroni l'orologio torraiolo,
e il gallo risaluti il fresco albore,
solare uccello la cui testa è un fiore.

Sol io stanotte, sveglio, a 'l limitare
de l'orizzonte vidi già spuntare
l'autunno con sue stelle, e su i fanali
per le gole de i vichi e su i mortali,
triste, ma più ne 'l suo presentimento,
mettere un vago brivido ne 'l vento.

(dalla rivista «La Riviera Ligure», novembre 1911)




AFA
di Corrado Govoni (1884-1965)

Nel cielo soffii di deserto passano,
la sera violacea viene;
nel giardino le belle rose muoiono
olimpicamente serene.

E là nei campi di frumento plumbeo
si sentono orrendi fragori;
come uccellacci d'inferno fantastici
svolazzano rossi bagliori.

È lo scoppio dell'uragano. Franano
le nere valanghe del tuono;
la pioggia che rimbalza sulle tegole
produce un dolcissimo suono.

Fulminei nel cielo si stiracchiano
diabolici metri di fuoco;
sopra zuffe di nuvole si squassano
bandiere stracciate di croco.

Passa la raffica. Sul fienil madido
lucente d'un rosso più vivo
all'improvviso s'apre il fresco circolo
dell'arcobaleno sportivo.

Ma non è pace; se quassù è già limpido
e stemprasi l'arco, sottile,
laggiù come uno spegnitoio livido
profilasi il bel campanile.

ed un oscuro all'orizzonte seguita
percorso da un sordo romore,
come in un cuor che ha perdonato restano
residui di amaro livore.

Sul cimitero spensierato, tremule
s'accendon le stelle incorrotte,
s'accendon le fosforescenti lucciole,
e cade la splendida notte.

Oh dolce spalancar le imposte al turbine
e prima di mettersi a letto
indugiarsi col vento in faccia a attendere
danzare laggiù sopra un tetto

le incandescenti vertebre dei fulmini
e chiudersi e aprirsi nei campi
su panorami candidi di nuvole
le brecce turchine dei lampi!

(da "Poesie elettriche", Ed. Futuriste di "Poesia", Milano 1911)




UN'ESTATE...
di Riccardo Bacchelli (1891-1985)

Un'estate, che d'estate son i tramonti lenti,
pesante quant'il sonno e la stanchezza medesima,
non avrei voluto altro che riposare, se fosse stato
possibile. Non reggeva più neppure la voglia
amara d'inasprire in me stesso il mio male.
Non avrei voluto cedere in nulla, ma invece
mi toccava assopirmi al sole in materia
stanca. E dalla stanchezza un filo di melodia.
Supino, ombre e sole, foglie
e cielo, silenzio e cicale. Le mani
le abbandonavo sull'erba riarsa, si tuffava
nell'estate l'anima e tornava d'ogni parte
carica d'ogni cosa, non articolava, non distingueva,
tornava stanca. E non poté credere a sé stessa
la mattina che le filtrò un'estatica canzoncina...

(da "Poemi lirici", Zanichelli, Bologna 1914)




TORREFAZIONE
di Luciano Folgore (1888-1966)

Piazza di vetro ardente,
sollevata di colpo
negli alti forni del sole.
Papaveri di luce 
avanti alle pupille. 
Spille nel sangue. 
D’intorno le case, 
affondate 
nei marciapiedi 
liquefatti dal caldo. 
Camminare evitando 
colonne ubbriache di rosso, 
sfondare col petto 
semicerchi di solleone, 
e invidiare l’ombra di un ragnatelo 
ad un insetto addormentato. 

(da "Ponti sull'Oceano", Ed. Futuriste di "Poesia", Milano 1914)




NOTTURNINO DEI BASTIONI DEMOLITI
di Paolo Buzzi (1874-1956)

Quando la notte calda urge i viali
della città, pochi alberi schierati
sono testimoni d'anime con ali.

Amanti passan lenti estasiati:
bevon frescure che non son per l'aria
e fanno cose che non son peccati.

Io, dalla mia finestra solitaria,
guardo: e prego il Signor per i mortali
a cui la bella notte è necessaria.

(da "Bel canto", Studio Editoriale Lombardo, Milano 1916)




CORTILE
di Giuseppe Lipparini (1877-1951)

Un fandango di Granados mi tempesta nel cervello;
invece è l'organetto giù nel cortile
con le ragazze e i bimbi che ballano e schiamazzano.
Meriggio caldo di estate dopo la pioggia,
raggi obliqui di sole sulle pozzanghere,
spruzzi di mota alle gonne delle ballerine.
Stracci variopinti tesi ai balconi
come note sospese sul ritmo della danza.
Una ragazza bruna in camicetta azzurra
canta e occhieggia tra i gerani
rosei rossi purpurei violacei paonazzi,
poi si spoglia e si getta nuda sul letto
tendendo l'anca tonda alla musica che circola.
A una finestra pendono le poppe
flaccide di una donna che si pettina.
Un secchio di rame oscilla
impiccato sull'orlo verde del pozzo.
Gabbie di canarini gialli
presso al merlo che fischia e che impazza.
E il fandango strepita e salta
con le coppie che sudano e si affannano,
e tutto il cortile rotola con lui,
salto mortale dell'afa meridiana
verso la frescura azzurra dell'infinito.

(da "Stati d'animo ed altre poesie", Zanichelli, Bologna 1917)




BIBITA AL GHIACCIO
di Arturo Onofri (1885-1928)

   Sotto le foglie accese della pergola, vedo rilucere i tuoi occhi verdi, come due frutti dolcemente acquosi nella fiera maturità dell'estate.
   Incurante la tua mano, dove un raggio tra la verdura sveglia dai gioielli uno straziato sorriso, scherza con la paglia dorata della ghiacciata come con un filo di sole spezzato per giuoco; e la curva di polpa delle tue labbra infantili si distende un attimo appena, nell'ombra azzurra del cappellino, svegliando dai tuoi denti di perla un assopito sapore di golfi lontani e di sangue.
   Che strana orgia di contentezza guardarti!

(da "Orchestrine", Libreria della "Diana", Napoli 1917)




NOTTE DI S. LORENZO
di Francesco Meriano (1896-1934)

Stelle a casaccio pel cielo d'estate,
stelle a manciate - un po' d'oro e d'argento -
oasi tropicali profumate
nel deserto notturno senza vento.

(da "Croci di legno", Vallecchi, Firenze 1919)


Angelo Torchi, "Grano al sole"

domenica 2 luglio 2017

Antologie: I poeti della Scuola romana (1850-1870)

È, questa, un'antologia singolare, visto che il curatore può definirsi un rappresentante del gruppo poetico protagonista del libro. Domenico Gnoli, quando uscì il volume, aveva settantacinque anni e da molto tempo ormai non pubblicava più nulla. Eloquente, interessante e bellissimo è l'incipit del suo saggio di presentazione con cui si apre questa antologia. Eccone un passo:

«È una visita ad un piccolo camposanto, lontano, ombroso, solitario, senza lacrime e senza fiori, dove riposano da tempo pressoché immemorabile i miei parenti ed amici! Quasi tutti morirono giovani o toccata appena l'età matura; e rileggendo sulle lapidi i loro nomi, mi vien fatto di ricercare sopra alcuna di esse anche il mio, come quello di una persona morta già da gran tempo insieme co' miei più cari; e mi par quasi ch'essi si meraviglino e mi facciano rimprovero che io, compagno dell'attività e della vita, sia sfuggito al loro riposo, per cacciarmi innanzi tra le file di nuove generazioni.
La cosiddetta "Scuola romana" è una cosa dimenticata, di cui non rimane vestigio che nella memoria mia e di pochi altri, un oggetto dei nonni rimasto in fondo ad un vecchio armadio. Benedetto Croce accennava alla «non gloriosa scuola romana, una scuola poetica inferiore perfino alla napoletana dello stesso periodo, e non superiore a quella siciliana». Io non sono in grado di far quei confronti, ma noto solo che della produzione romana sparsa in raccolte e volumetti, parte dei quali non sono forse mai usciti di Roma e quasi introvabili, non è facile dar sicuro giudizio con piena cognizione di causa». [...]

In effetti la "Scuola romana", nell'ambito della poesia ottocentesca italiana non è stata mai troppo considerata, venendo sempre relegata tra la produzione in versi meno innovativa che si rifaceva al Leopardi idillico e quindi meno rivoluzionario. Tutto ciò è vero, ma non significa che da questo cenacolo di poeti capitolini non siano nati dei versi di rara bellezza; disimpegnati, arcadici e fuori del tempo forse, ma gradevolissimi alla lettura. In particolare si distinguono, nel folto gruppo qui selezionato, i due fratelli Giambattista e Giuseppe Maccari; entrambi morti precocemente, di loro esistono pochi volumetti di versi, alcuni dei quali uscirono postumi. Anche se lo Gnoli pone come confini cronologici dell'attività poetica di questo gruppo il ventennio compreso tra il 1850 ed il 1870, in realtà il meglio si potrebbe racchiudere nel periodo che va dal 1856 al 1869 (gli anni coincidono con la pubblicazione della prima e dell'ultima opera poetica di Giambattista Maccari).
Questa antologia, insieme ad un'altra curata da Ferruccio Ulivi ed uscita ben cinquanta anni dopo, è utilissima per non dimenticare e, anzi, riscoprire i versi semplici e a volte notevoli di questi poeti romani attivi nel cuore del XIX secolo. Ecco infine l'elenco degli scrittori presenti nel volume.



I POETI DELLA SCUOLA ROMANA (1850-1870)


Giuseppe Bustelli, Augusto Caroselli, Guido Carpegna, Paolo Emilio Castagnola, Luigi Celli, Ignazio Ciampi, Pietro Cossa, Domenico Gnoli, Elena Gnoli, Teresa Gnoli, Luigi Lezzani, Giambattista Maccari, Giuseppe Maccari, Basilio Magni, Achille Monti, Fabio Nannarelli, Ettore Novelli, Ludovico Parini, Carlotta Marcucci Parini, Giovanni Torlonia.

venerdì 30 giugno 2017

"Il sol meridiano spietato percorre la terra": l'estate in venti poesie italiane pubblicate tra il 1880 ed il 1899

Sarebbe bello tornare indietro nel tempo e vivere un'estate di fine Ottocento: senza automobili, inquinamento, cementificazione selvaggia e tutto ciò che ha fatto arrivare il nostro tempo al limite della tollerabilità. Ecco allora venti poesie che parlano delle estati di oltre cento anni fa. Ecco le calde notti luminose che spingono perfino i morti a resuscitare per vivere un incanto fuori dal normale; ecco le partenze verso isole lontanissime, sconosciute e incontaminate, dove vivere una vita da sogno; ecco le tempeste estive che non fanno paura, ma portano, una volta passate, un quanto mai gradevole refrigerio; ecco altre notti limpide e fresche, col cielo pieno di stelle e una luna fantastica, che invita i giovani ad amarsi; ecco spiagge di una bellezza unica, quasi deserte, popolate soltanto dalle famiglie dei pescatori; ecco un mondo che non c'è più né tornerà, fotografato dai versi dei poeti che vissero quell'età remota e meravigliosa (ma non manca l'altro lato della medaglia, che fa risaltare la sofferenza umana dovuta all'eccessiva calura estiva; d'altronde, l'umanità ha sempre sofferto sia in inverno che in estate per il troppo freddo o per il troppo caldo: eventi naturali inevitabili che però, oggi, sembra che stiano peggiorando per colpa di certe abitudini umane).



NOTTE D'ESTATE
di Corrado Ricci (1858-1934)

Per l'aria bruna
viandante nero,
il piede lento
come la luna,
sì come il vento
presto il pensiero,
   insino a giorno
a la sua lieta
casa d'intorno,
fosco poeta
   io vagherò.

   E forse dorme
quella gentile.
Il tenue lino
mostra le forme
del suo divino
corpo sottile
   e sovra un bianco
braccio riposa
il capo stanco
come una rosa
   che il sol baciò.

   Veglia? — Di luce
un filo d'oro
dal suo balcone
vivo traluce.
O mia passione,
o mio tesoro,
   cos'hai nel core?
Forse i miei canti
pieni d' amore,
stelle filanti,
   onde del mar?

   Forse ammalata
di febbre lenta
gemi nel letto?
La tosse ingrata,
il bianco petto,
dì, ti tormenta?
   Deh, m'assicura
l'ave-maria
mi fa paura;
d'un'agonia
   il suon mi par!

   O mio tesoro,
o mia passione;
sul ciel d'argento
le nubi d'oro
vagano al vento.
Vieni al balcone
   che splende il giorno
e a la tua lieta
casa d'intorno
fosco poeta
   m'aggiro ancor.

   Vieni; la via
deserta è ancora;
senti passione
de l'alma mia,
il tuo balcone
già si colora;
   de l'alba l'ore
sono fugaci...
torna al mio core,
torna ai miei baci,
   torna al mio amor.

(da "I miei canti", Zanichelli, Bologna 1880)




CANDIDA NOX
di Remigio Zena (1850-1917)

Candida notte luminosa e strana!
Il cielo pare uscito di bucato
          per man degli angioli.
Volando se ne vanno in carovana
nella nube del peplo immacolato
          le sante vergini.

La bella notte fra le notti belle!
Versa la luna il latte de' suoi raggi
          a perpendicolo.
In tanta luce muoiono le stelle
ed albeggia là in fondo sui villaggi
          quasi un crepuscolo.

Pare una nevicata. È tutta argento
del cimitero l'erba vittoriosa;
          le stesse lapidi
sono più bianche, tremolano al vento
innaffiati dell'onda luminosa
          i mirti e i salici.

Sulle ardesie del tetto la cappella
ha il suo lenzuolo anch'essa, giganteschi
          vi si riflettono
i cipressi che fanno sentinella,
del campanile gli strani rabeschi
          e i geroglifici.

Ed i corvi che aleggian sulle tombe
mutano nel virgineo luccichio
          le pénne d'ebano,
si fanno bianchi e sembrano colombe,
sembran colombe mandate da Dio
          sui freschi tumuli.

Candida notte! non ne vidi alcuna
mai come questa somigliante al giorno,
          silente e mistica.
Uscite, o morti, al bacio della luna
che i suoi tesori va spargendo intorno
          per i cadaveri.

Lì, dove siete non c'è alcun che pianga
la vostra sorte, regna sotto terra
          freddo e caligine.
Non temete d'uscir - giace la vanga
del becchin che cantando vi rinserra;
          ei dorme - io v'evoco!

Uscite, uscite! il buio è nella fossa
ma qui piovono i raggi a larga falda
          Come al meriggio.
Uscite, uscite a ritemprarvi l'ossa
nel benefico latte, in questa calda
aria di luglio.

(da "Poesie grigie", Tip. de' Sordo-Muti, Genova 1880)




AFA
di Augusto E. Berta (1855-1923)

Il sol meridiano spietato percorre la terra,
non un soffio di vento commuove a l'intorno le piante,
che immobilmente stanno, coperti di polvere i rami,
con le foglie appassite, pendenti da l'aride frondi,
in un rorido sogno assorte di fresche rugiade,
come colubri immani scaldanti a la sferza del sole
i lor gelidi corpi, si volgono a spire le strade;
s'abbandonano lunghe, serpeggiano, avvinghiansi ai fianchi 
delle montagne, svelte s'aggrappano ai cigli scoscesi,
e con aridi balzi, audaci s'avventano al cielo,
il cielo è un ampio stagno di plumbei vapori biancastri,
che a torrenti infuocati rovesciansi sovra la terra.
E la terra risponde con vampe rabbiose di foco.
Tutto è un vasto silenzio. - I bovi meriggiano inerti,
assorbendo la vita con lunghi, con larghi respiri.
Trafelato, ansimante il cane abbandonasi al suolo.
Non àn gridi gli augelli, che appiattansi nelle boscaglie,
nelle fonde boscaglie, opache di densi fogliami.
Di qui, delle persiane protetto dal verde riparo,
nella stanza raccolta, io sento nel cranio il sollione:
sento il pensier languire, nel sangue affocato mi sento
fluir l'accidioso desio del nulla infinito.
Come in sogno assopito fantastico assurde chimere.
Oppresso... estenuato ascolto il ristagno di vita
che domina a l'intorno, ascolto il silenzio universo.
Unico qui mi giunge un suono d'incudin percossa
con faticoso ritmo dal fabbro là giù nel villaggio.
Triste nota di vita! - Però ch'io penso quel fabbro
anelante, sudato, in faccia a l'ardente fucina,
per l'amor de' suoi figli, chiedenti affamati del pane,
duellante col ferro, a colpi di maglio sonanti
di metallici squilli, in un'atmosfera di fumo 
e di scintille densa... intanto che noi domandiamo,
con gioia epicurea, a suono di birra gelata,
al vellutato amplesso d'un molle divano profondo,
alla penombra mite d'un fresco e tranquillo studiolo,
domandiamo ristoro dall'afa che il petto ci opprime!

(da "Cadenze", Casanova, Torino 1883)




MEZZOGIORNO
della Contessa Lara (1849-1896)

È colma estate. Piegasi
languente ogni corolla.
Mezzodì. La canicola
da le infocate vie caccia la folla.

De ’l tuo veron le seriche
tende, o mia bella, chiudi;
sciogli le chiome, e scendano
qual bruno vel su i bianchi omeri nudi.

Poi blandamente m’agita....
La tua fronte pensosa
io sfiorerò, qual tremula
farfalla intorno ad un bocciuòl di rosa.

E le dipinte imagini
che ti porto davanti,
come per incantesimo
a poco a poco si faran giganti.

De l’oriente a l’isole
fra la luce e i profumi
ti condurranno: è l’oasi
vagheggiata da’l sol, da vati e numi.

Là vagherai su pallidi
laghi, entro una barchetta
da le vele di porpora;
poi di negra montagna in su la vetta.

Ti siederai su mobili
d’avorio e di corallo,
passeggerai co’ sandali
sotto un gran parasole azzurro e giallo.

Accanto a ’l ciglio pingerti
saprai la linea bruna
che fa l’occhio più languido:
nuvola in cerchio a la fulgente luna.

Vedrai fior, frutta ed alberi
nuovi, con mostri e nani,
e draghi alati ed idoli,
armi ricche di gemme e uccelli strani.

M’agita ancora, m’agita....
È de l’alma un bisogno
questo d’una fantastica
ora d’oblio, di voluttà, di sogno.

Chi sa, che l’ali afforzino
in quel dolce far niente
gli angeli ascosi e i demoni
che popolan de gli uomini la mente.

(da "Versi", Sommaruga, Roma 1883)




CHARITAS
di Mario Rapisardi (1844-1912)

Da la febbre consunto, a la cocente
vampa di luglio, senza pan né tetto,
dal suo signor, da l'ospital rejetto,
su la via cade il mietitor morente.

Fra le labbra riarse, in su le spente
pupille ronza l'importuno insetto,
mentre, qual sega in sordo asse stridente,
scote il rantolo il giallo, ossoso petto.

La cucciola di Zoe passando rigna
impaurita; con gentil costume
l'adesca a sé la vaga donna, e ghigna.

Ma la ribelle animaletta intanto
si fa core, s'accosta a quel cenciume,
e stille schizza che non son di pianto.

(Da "Giustizia", Giannotta, Catania 1883)




SOGNO
di Edoardo Giacomo Boner (1864-1908)

Io sogno, amica, un bel giorno d'estate
un lido verde, uno splendido mar;
io m'abbandono a quell'onde odorate
e vo lontano lontano a sognar.

Sull'isolette ridenti all'aurora
è un bisbiglio di perenni verzier;
il molle flutto ne freme, n'odora,
e in calma olente s'addorme il pensier.

Io sogno; e ad onde una musica viene
larga dal mondo remoto laggiù,
da mille genti che cantan serene
alla natura, e non soffrono più.

Io sogno; e un'aura di pace che mai
godetti al mondo, mi penetra il cor;
ché un sogno i fiori, e le musiche, e' rai,
e un sogno, un sogno d'estate è l'amor.

(da "Novilunio", Quadrio, Milano 1884) 




TEMPESTA ESTIVA
di Antonio Fogazzaro (1842-1911)

Ruggon le nuvole giù nel ponente
torve su l'onde,
di lampi avvampano ciel, lago e sponda
tutto in un bianco baglior dispare,
in un corrente, fumante mare

che vien mugghiando con alto pianto,
che a furia avanti
si caccia i verdi fiotti spumanti,
giunge, ci è sopra. Qui tutto tace,
aspettan gli alberi tremando, giace

deserto il lago. Vetri ed imposte
chiuder perché,
o donna timida? Ira non è
che sul tuo tetto scroscia, che fugge
lungo le mura, che a pie' vi rugge.

Furor di vita, furor d'amore
urta ed inverte
la terra e l'acque cupide, aperte,
con lati fremiti dal grembo anelo
a l'irruente desìo del cielo.

Apri, contempla. La tetra piova
fugge in levante
del sole al terso splendor davante,
la terra odora, le foglie brillano,
pel ciel le rondini in giro strillano,

e lenta, eguale su i lidi tuona
l'onda pacata,
tuttor superba, tuttor beata
del divin turbine che su vi corse,
vi urlò, vi rise, la strinse e morse.

(da "Valsolda", Casanova, Torino 1886)




È COSÌ CHE CONTEMPLO...
di Pompeo Bettini (1862-1896)

È così che contemplo questo bel cielo d'estate. 
Non son triste, ma volli punire il mio desir:
colla mano sul cuore, colle ciglia calate,
ho pensato al futuro, ho pensato al morir.

Io non tento di piangere, so che il raggio del sole
scioglie nelle mie lagrime i suoi sette color;
so che il sol ride sempre, anche se il destin vuole
ch'io presto chiuda gli occhi che vi bevon l'amor.

So che la terra ignora cosa le nasce in grembo
e protegge le vite che senza duol creò;
essa tien le radici delle piante se il nembo
scoppia, e ancor vi si attacca se il nembo le strappò.

So che nei mari azzurri, nella campagna verde,
nel biancheggiare stanco delle grandi città,
l'opera dei mortali è un rumor che si perde
e che poco ne giunge alle future età.

Poiché so di morire la mia scienza è compita:
nulla è per me il futuro e nulla quel che fu.
Quale speranza debbo domandare alla vita?
Quale mortal bellezza posso amare qua giù?

(da "Versi e acquerelli", Quadrio, Milano 1887)




DAVANTI UNA CATTEDRALE
di Giosue Carducci (1835-1907)

Trionfa il sole, e inonda
la terra a lui devota:
ignea ne l’aria immota
l’estate immensa sta.

Laghi di fiamma sotto
i dòmi azzurri inerte 
paiono le deserte
piazze de la città.

Là spunta una sudata
fronte, ed è orribil cosa:
la luce vaporosa
la ingialla di pallor.

Dite: fa fresco a l’ombra
de le navate oscure,
ne l’urne bianche e pure,
o teschi de i maggior?

(da "Rime nuove", Zanichelli, Bologna 1887)




NOTTE D'ESTATE
di Giovanni Alfredo Cesareo (1860-1937)

Su 'l talamo seduta ella abbandona
dietro il collo di lui le bianche braccia:
ei la cinge tremando alla persona
e da lei pende con accesa faccia.

Limpida in ciel sorge la luna, e versa
un molle albor tra le cortine alzate:
dorme la strada nel silenzio immersa;
ma la vasta armonia susurra: - Amate.

Dalla finestra vien la brezza, e 'l petto
scopre superbo della donna bianca:
ella dolce sorride al giovinetto,
ch'a' piedi suoi di desiderio manca.

Corron le nubi candide a occidente
orlate d'un chiaror diffuso e biondo,
e le torme de' sogni ondeggian lente
con un rumore fievole e profondo.

Gonfio il cor di dolcezza, ella rimira
il suo diletto, e 'l nero crin gli tocca;
poi, felice e anelante, a sé l'attira
e, folle di piacere, lo bacia in bocca.

Silenziose trasvolando l'ore
via per la notte tiepida d'estate,
piovon sensi di calma e di sopore;
ma la vasta armonia susurra: - Amate.

(da "Le Occidentali", Triverio, Torino 1887)




SPIAGGIA ADRIATICA
di Armando Perotti (1865-1924)

Venti casette bianche, addormentate
nel meriggio d'agosto: il mar le culla,
e veglia intorno la scogliera brulla,
arsa dallo scirocco e dalla state.

Due povere vecchiette accovacciate
rattoppano le reti; una fanciulla,
come può meglio, canta e si trastulla
fra le mobili dune arroventate.

Viene dal largo intanto una paranza
spinta a forza di remi, e via sull'onde
echeggia una canzon marinaresca;

una canzon che parla di speranza,
di mari ignoti, di lontane sponde,
di donne belle e d'amore e di pesca.

(da "Il libro dei canti", Vecchi, Trani 1890)




TEMPESTA
di Raffaele Salustri (1846-1892)

L'afa opprime: tormentano
l'aria le cupe
battaglie de' venti:
le nubi s'accavallano
intorno a la rupe.

  Mi chiami fra il turbine
o notte tempestosa?
O sol con la bronzea
voce de' tuoni
m'imponi
silenzio?
Notte gigante, investimi:
ti conosce il gagliardo
contemplator mio sguardo;
quanta armonia
fra me e la tua tenebra
piena di lampi,
fra il tuo muggito altisono
e l'anima mia,
che mai non riposa!
L'afa opprime: com'è lento
l'uragano!
Goccie gravi, calde stillano
fra gli alberi. Un istante
ancora; e contro al ciel s'avventerà
l'abisso ribelle;
e ululando, ruggendo
cozzeran ne lo spazio gl'invisibili
geni de le procelle.

  L'orecchio io tendo,
parmi, o là giù pe' campi,
di lontano,
s'ode un suon di passi rapidi,
come un accorrere di moltitudini,
ansanti, furibonde,
che s'avanzan ne l'ombre profonde?

  Ò sognato. È la pioggia,
che stride su la polvere.
Balena la folgore,
e non illumina
che solitudini.

(da "Poesie", Artero, Roma 1891)




AFA
di Ada Negri (1870-1945)

Il sole sta. Sta l'aura
d'atomi d'or cosparsa.
L'erma pianura immobile,
tutta di foco e polve,
Nella luce si avvolve
                   Arsa.

L'afa morta, implacabile,
pesantemente piomba.
Ne la tristezza flammea
posa la terra stanca,
come un'immane e bianca
                   tomba.

.... Pace — Sognante vergine
assetata d'amore,
chino il riarso calice
sotto la vampa afosa,
un'appassita rosa
                   muore.

Rugiade invoca e pioggie
quell'agonia pel suolo;
la dolcezza d'un bacio,
la voluttà d'un'ora,
per chi soffre e lavora
                   solo.

Ma tutto brucia e sfolgora,
tutto è riposo e oblìo;
nell'alidor terribile
sopra la terra ignava
solennemente grava
                   Dio.

(da "Fatalità", Treves, Milano 1892)




SOGNO D’UNA NOTTE D’ESTATE
di Arturo Graf (1848-1913)

Si distende la notte alta e tranquilla
sovra i liguri poggi e sul tirreno
addormentato mar: vibra e sfavilla
d’infinite fiammelle il ciel sereno.

Io dormo, e sogno, e veggo a poco a poco
schiudere il grembo e coronar lo stelo,
accesa in dolce ed amoroso foco,
una gran rosa nel profondo cielo.

Il suo lume le quete ombre dirada,
e sulle foglie tenere e novelle,
come gocce di limpida rugiada
per l’azzurro seren piovon le stelle.

E pel seren, dall’inesausto grembo
del mar fremente di secreti amori,
tumultuando, turbinando, un nembo
sale di vaghi e coloriti fiori.

Sale dall’onde a mo’ di fluttuosa
nube che pel diffuso etra si spanda,
e ruota, e intorno a quell’eccelsa rosa
forma di vive gemme una ghirlanda.

E nel cor della rosa, ove più chiare
ridon le grazie del vermiglio riso,
simile a un astro sfolgorante appare,
Cara adorata, il tuo giocondo viso.

(da "Dopo il tramonto", Treves, Milano 1893)




NELL'OMBRA ESTIVA...
di Enrico Panzacchi (1840-1904)

Nell'ombra estiva e nel vasto silenzio
par che vigili un glauco occhio amoroso
sovra il mio capo. Erran serene imagini,
persuadendo a' miei sensi il riposo,
   come ai fior la pacata ala del vespero.

Sei tu! Dolci parole e voci inconscie
la bocca semichiusa a te sussurra;
e parmi d'affondar la testa languida
in un fresco guancial di seta azzurra
   pieno di fior di pesco e fior di mandorlo.

(da "Alma natura", Zanichelli, Bologna 1894)




ROMANZA DEL MERIGGIO D'ESTATE
di Lucio D'Ambra (1877-1939)

Ne'l bosco insonnolito
cantavan le cicale;
il mare sotto il sole
era un grido trionfale:

e un alito di vento
sorrideva da 'l mare
a 'l folto bosco intento
ne 'l sol canicolare.

Fervea ne la campagna
la buona opra de 'l pane;
ed oravano i Vecchi
ne 'l mietere. (Lontane

strideano le cicale)
Ricordate, signora?
Su l'opra liberale
calda pesava l'ora.

Gloriosa cavaliera
voi passaste ne 'l sole:
io perseguii la candida
imagine ne 'l sole.

Ricordate, Signora,
quel meriggio infocato?
Io vi rivedo ancora
superba su 'l ferrato

polledro - il viso volto
verso il mare fulgente...)
Su 'l limite de 'l bosco
vi guardavo ridente.

Il bel cavallo bianco,
cadde su l'erba verde;
- forse era troppo stanco! -
Ricordo ancora: perde

la staffa il vostro piede;
e cadete riversa
su la verde erba fresca.
Voi vi vedeste persa.

Io venni a Voi: ricordo
il gesto de le mani,
Io venni a Voi; ricordo
i desideri insani

che mi presero a 'l grido
di piacer che le labra
mandaron ne 'l vedermi.
Oh, quelle vostre labra!

Ed io ricordo il gesto
de le mani minute;
anche rivedo il mesto
viso; anche le volute

gaiezze de 'l bel viso,
più bianco d'ogni bianco;
(piovevano viole
sotto il bell'occhio stanco).

E ben ricordo i primi
moti de 'l vostro labro;
e non ricordo i primi
bagliori de 'l cinabro

sparso su la rotonda
gota; e non i sorrisi
vostri; ma non mi scordo
li sguardi su me fisi.

Voi parlavate: intento
bevevo le parole;
(ora ne 'l cielo spento
cadevano viole)

Io non vi dissi: v'amo?
Ricordo il vostro riso;
non udii la risposta,
non vidi che il sorriso.

Oh, bel fiore di serra!
Ricordate, signora?
pesava su la terra
pomeridiana l'ora.

(da "Le sottili pene", Tip. De Andreis, Alatri 1896)




PATRIA
di Giovanni Pascoli (1855-1912)

Sogno d’un dì d’estate.

Quanto scampanellare
tremulo di cicale!
Stridule pel filare
moveva il maestrale
le foglie accartocciate.

Scendea tra gli olmi il sole
in fascie polverose:
erano in ciel due sole
nuvole, tenui, rose:
due bianche spennellate

in tutto il ciel turchino.

Siepi di melograno,
fratte di tamerice,
il palpito lontano
d’una trebbïatrice,
l’angelus argentino...

dov’ero? Le campane
mi dissero dov’ero,
piangendo, mentre un cane
latrava al forestiero,
che andava a capo chino.

(da "Myricae", Giusti, Livorno 1897)




SERA GRIGIA
di Marino Marin (1860-1951)

Come or, mai non compresi, o grigia sera
di luglio, il pianto e il tedio de le cose:
mi par che con le tristi ultime rose
tue manchi la mia triste primavera

ultima. Oh crepitii di foglie rôse,
lo so lo sento: è larva di ciò ch'era
speranza il vacuo sogno a chi dispera:
crea l'estro: il senno poi fa le sue chiose.

E pure amano i sogni ne l'estive
sere affacciarsi all'anima che pensa:
co' suoi morti la stanca anima vive;

stolta, ché il sano amor, la forte intensa
vita oblìa tra oziose ombre lascive;
e nebbia intorno al picciol core addensa.

(da "Voci lontane", Barboni, Castrocaro 1898)




IDILLIO ESTIVO
di Angiolo Orvieto (1869-1968)

Fioriscon rose come a primavera,
come d'autunno cadono le foglie;
l'anima il gran silenzio estivo accoglie:
io sogno sempre da mattina a sera.

Sogna ella pur, da me poco lontana,
e a sera, quando schiude le finestre,
giunge a lei, come a me, nella campestre
pace un leggero tocco di campana.

Io sogno gloria e amore, quando ascolto
quel suono, ed ella sogna amore e amore;
scorrono a noi così placide l'ore
e la serenità ci splende in volto.

Quand'io mi sveglio in sul fresco mattino,
so che il mio nome le fiorisce in bocca
e che, senza pensare a me, non tocca
pur un fiore del suo vago giardino;

e ch'ella prega: "O Dio che a' freschi fiori
rinnovelli col sol luce e profumi,
concedi che giammai non si consumi
questo soave amor nei nostri cuori."

E a notte, quando all'aure leni estive
mi corico del dì stanco e contento,
non una volta sola m'addormento
senza pensare a lei che per me vive.

(da "La Sposa Mistica. Il Velo di Maya", Treves, Milano 1898)




da AFRODITE ETÀIRA
di Mario Mazzolani (1877-1944)

Liquida sotto il cielo incandescente
la Burlamacca si stendeva accesa
come una rara fiorita gigliale,
e gravati parean da 'l luglio ardente
due crisòliti illustri ne l'opale
il monte dei Ceracci e quel di Quièsa.
Le forme, attorno, s'agguagliavan, lente,
penetrate da l'ora immateriale;

traboccavan le pòlle in indefesso
chioccolìo; pe i trifogli a la vallea
propagavasi un crepito sommesso:
tendean le orecchie i capri da 'l pianoro,
attoniti ne 'l sole che tessea
fra i boschi immoti la gran tela d'oro.

(da "La via trita", Soc. Ed. Lombarda, Milano 1899)




Plinio Nomellini, "Mezzogiorno"