lunedì 28 marzo 2016

Mattina

M'illumino
d'immenso



COMMENTO


In questa poesia, Giuseppe Ungaretti (1888-1970) raggiunse l'apice della sinteticità e dell'essenzialità di tutta la sua opera in versi. Rispetto alla lirica vera e propria risulta assai più lunga l'annotazione che la precede ne "L'Allegria" (1942), libro dal quale proviene, che è questa: "Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917". La poesia (se di poesia si può parlare) comparve per la prima volta nel 1918, col titolo Cielo e mare, su un volume intitolato "Antologia della Diana", e, col medesimo la si ritrova in "Allegria di naufragi", secondo libro poetico ungarettiano del 1919.



Giuseppe Pellizza da Volpedo, "Mattino di maggio"

venerdì 25 marzo 2016

Antologie: Antologia della lirica italiana - Ottocento e Novecento (a cura di Carlo Culcasi)

Questa antologia di Carlo Culcasi molto somiglia ad un'altra, uscita più o meno nello stesso periodo, curata da Enrico M. Fusco, di cui mi sono occupato tempo addietro. Praticamente è un viaggio della poesia italiana di circa due secoli: XIX e XX, che privilegia i nomi fino a quel momento ritenuti più degni di comparire. Ma, se è vero che per quanto riguarda l'Ottocento, ormai i giochi potevano considerarsi fatti, e quindi il curatore si poteva adeguare ad una comune valutazione critica già attuata in altre prestigiose antologie, per il Novecento, non ancora giunto alla sua metà, tale ragionamento era impossibile. Da qui la scelta di nomi diversissimi fra loro, che in parte si rifanno ad altre selezioni, più o meno recenti, effettuate in base ad una valutazione che concepiva la nuova poesia come continuazione della tradizione passata, e che per questo privilegiava coloro che avevano amato seguire la lezione dei "vati" (Carducci, Pascoli e D'Annunzio); in minor misura, invece, viene dato spazio a poeti emergenti che in qualche modo intendevano rompere con la tradizione per intraprendere nuove strade. Come è noto, negli anni successivi, critici che rispondono ai famosi nomi di Anceschi, Contini, Spagnoletti, Sanguineti e Mengaldo fecero piazza pulita di quei poeti legati troppo al passato, lasciando campo libero agli innovatori. Questa antologia rimane quale esempio per capire come si andava evolvendo il lavoro dei critici letterari, mentre il Novecento avanzava: è, sostanzialmente, una selezione di metà strada, con tutti i suoi pregi e tutti i suoi difetti.





ELENCO DEI POETI PRESENTI NELL'ANTOLOGIA

Vincenzo Monti, Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi, Alessandro Manzoni, Giovanni Berchet, Niccolò Tommaseo, Aleardo Aleardi, Giovanni Prati, Giacomo Zanella, Ippolito Nievo, Giosue Carducci, Domenico Gnoli, Emilio Praga, Enrico Panzacchi, Antonio Fogazzaro, Arrigo Boito, Mario Rapisardi, Giovanni Camerana, Arturo Graf, Giovanni Marradi, M. A. Bonacci Brunamonti, Olindo Guerrini, Giuseppe Picciola, Riccardo Pitteri, Vittoria Aganoor Pompilj, Giovanni Pascoli, Severino Ferrari, Guido Mazzoni, Giovanni Alfredo Cesareo, Pompeo Bettini, Giulio Salvadori, Alfredo Baccelli, Gabriele D'Annunzio, Adolfo De Bosis, Angiolo Silvio Novaro, Sebastiano Satta, Luigi Pirandello, Pietro Mastri, Giovanni Bertacchi, Enrico Thovez, Antonino Anile, Giovanni Cena, Ada Negri, Ettore Romagnoli, Francesco Chiesa, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Guelfo Civinini, Riccardo Balsamo Crivelli, Emilio Agostini, Paolo Buzzi, Angelo Gatti, Luigi Orsini, Vincenzo Gerace, Francesco Pastonchi, Giuseppe Lipparini, Massimo Bontempelli, Giulio Gianelli, Francesco Gaeta, Ardengo Soffici, Giovanni Papini, Guido Gozzano, Ofelia Mazzoni, Umberto Saba, Corrado Govoni, Dino Campana, Arturo Onofri, Aldo Palazzeschi, Marino Moretti, Sergio Corazzini, Vincenzo Cardarelli, Diego Valeri, Giosuè Borsi, Luciano Folgore, Giuseppe Ungaretti, Vittorio Locchi, Giuseppe Villaroel, Ugo Betti, Lionello Fiumi, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo



VOCI NUOVE E NUOVISSIME


Guido Pusinich, Sibilla Aleramo, Francesco Vivona, Giorgio Umani, Massimo Spiritini, Giuseppe Longo, Edoardo Mottini, Federico De Maria, Carlo Delcroix, Sebastiano Mineo, Mariano Rugo, Giovanni Titta Rosa, Cesare Meano, Giuseppe Zoppi, Nicola Moscardelli, Adriano Grande, Elpidio Jenco, Giuseppe Ravegnani, Luigi Fallacara, Fernando Losavio, Renzo Pezzani, Carlo Betocchi, Carlo Martini, Alfonso Gatto, Aldo Capasso, Amalia Guglielminetti, Maria Barbara Tosatti, Antonia Pozzi, Paola Moretta, Marianna Giudici, Angela Talli Bordoni.

domenica 20 marzo 2016

Il futuro nella poesia italiana decadente e simbolista

Vi sono disparate e fantasiose interpretazioni del futuro: c'è chi (Chiaves e Marrone) s'immagina il post mortem e vede la propria anima che spia i beffardi e cinici comportamenti dei vivi, oppure immagina mondi paradisiaci dove vivere una seconda, più tranquilla esistenza. Graf vede la Terra ormai spopolata da qualsivoglia forma vitale; Ruberti si vede già vecchio e rassegnato, cercare di cogliere il buono della vita anche nella tarda età. La poesia della Giaconi è, in sostanza, un'esortazione a vedere ottimisticamente il futuro, mentre la Aganoor esprime un desiderio, o meglio una preghiera, perché cessi il gelo (interiore?) e giunga finalmente la bella stagione. Decisamente pessimiste sono le poesie di Camerana e di Cena; misteriosa e inquietante quella di Donati Pétteni, il quale descrive i terribili presentimenti di un bambino che riesce a percepire il futuro.   



Poesie sull'argomento

Vittoria Aganoor: "Fantasia" in "Leggenda eterna" (1900).
Giovanni Camerana: "E tu salivi la campagna bionda" in "Poesie" (1968).
Giovanni Cena: "Dopo il festino" in "Homo" (1907).
Carlo Chiaves: "Pessimismo" in "Sogno e ironia" (1910).
Gabriele D'Annunzio: "Innanzi l'alba" in "Alcyone" (1904).
Federico De Maria: "C'è qualche cosa..." in "La Ritornata" (1932).
Giuliano Donati Pétteni: "Presentimenti" in "Intimità" (1926).
Luisa Giaconi: "Il domani" in "Tebaide" (1909).
Arturo Graf: "È morta la vita" in "Medusa" (1890).
Giuseppe Lipparini: "L'inconsapevole" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Tito Marrone: "Ancora" in "Liriche" (1904).
Nino Oxilia: "Aspettando una donna" in "Gli orti" (1918).
Guido Ruberti: "L'ultimo sogno" in "Le fiaccole" (1905).



Testi

E TU SALIVI LA CAMPAGNA BIONDA
di Giovanni Camerana

E tu salivi la campagna bionda
E sulle labbra ti fioriva il canto,
Ma ti attendeva la vallea profonda,
La vallea dei fantasmi e l’ombra e il pianto...

(Da "Versi", 1907)




PESSIMISMO
di Carlo Chiaves

Vorrei provar la dolcezza
di morire, ma per un giorno,
di andarmene con la certezza
di fare pronto ritorno.

Per ascoltare, dal fondo,
pur di una cassa, una volta,
pensare e discorrere il mondo
ignaro di quegli che ascolta.

Come fino a questo momento,
sono stato un ragazzo di cuore,
avrei un accompagnamento
degno di un grande signore.

E come i fiori mi piacciono
e l'ho già detto, son certo
che ne sarebbe il mio feretro
addirittura coperto.

Dal fondo del mio segreto
non senza una qualche apprensione,
starei, attento e inquieto,
a udir la conversazione.

Verrebbero a passi uguali,
con viso di circostanza,
per dir le cose banali,
degli uomini d'importanza:

- È morto! - Già, è morto! - Si tace,
si pensa un qualche minuto.
- È morto! riposi in pace! -
Avrei, non vi pare? creduto

che in questa vita terrena
avrebbe fatto di più -
Vi accerto, ho provato gran pena...
Diamine, gli davo del tu! -

Però non sarebbero certo
tutti i discorsi così,
da uomo vissuto, esperto,
ne ho uditi tanti fin qui!

- Che bella giornata! - Peccato! -
Che strano contrasto! Ier sera
faceva caldo! - Beato!
È morto di Primavera -

Chi è quella donna? - Non vedo!
Ah! quella dal velo nero?
Carina! Possibile? - Credo!
- Che fosse tanto leggero?

- Mah! povero diavolo! - Oh! spesso
è meglio ancora: ed intanto
quando si ha molto promesso,
si lascia molto rimpianto -

- Aveva un certo carattere -
- Ha fatto qualche buon verso -
- Ingegno? No! un po' di spirito,
ma... spirito da tempo perso! -

Dal fondo del mio segreto,
non senza una qualche apprensione,
starei attento e inquieto
a udir la conversazione.

Ma certo sarebbe un po' amaro,
dal fondo de la mia bara,
sentire l'amico più caro
dire a l'amica più cara:

- Non piangere! riposa in pace,
sta meglio! Faremo la festa
stanotte, se non ti dispiace:
è andato, evviva chi resta!

Non te ne sei mai accorta,
che odio la finzione?
ormai passerò da la porta
invece che dal tuo balcone! -

Oh! meglio ancora qualche anno
vivere, tranquillo ed ignaro,
cullandosi nel placido inganno
che ognuno vi parli ben chiaro.

Persuasi che l'amante sicura,
non sogni più fulgidi eroi,
quando vi abbraccia e vi giura
di vivere soltanto per voi.

E, se un bel giorno bisogni
troncare ogni desiderio,
dormire, ma senza sogni,
oh! meglio dormire sul serio.

Con freddo il cuor di ogni palpito,
e di ogni lume il pensiero,
ed obliare e confondere tutto:
i fantasmi e il vero!

(Da "Sogno e ironia", 1910)




John Charles Dollman, "The Unknown"

lunedì 14 marzo 2016

Poeti dimenticati: Silvio Pagani

Nacque a Milano nel 1867. Amico di Gian Pietro Lucini, partecipò al cenacolo poetico formatosi nel capoluogo lombardo durante l'ultimo decennio del XIX secolo, che precorreva in Italia la pratica della poesia simbolista. Scrisse alcune azioni drammatiche, un romanzo e dei racconti.



Opere poetiche

"Lo specchio della dolorosa esistenza" (azione drammatica), Galli di C. Chiesa e F. Guindani, Milano 1895.
"Selve pagane" (azione drammatica), Galli, Milano 1897.
"L'anacoreta" (scherzo drammatico), Stab. Tip. Carlo Aliprandi Edit., Milano 1899.
"Asht'Avakragita, o Il canto di Asht'Avakra" (poemetto indiano), Sonzogno, Milano 1903.
"Aping il savio" (dramma allegorico), Pallestrini, Milano 1907.
"Leonardo da Vinci e Faust" (quadro scenico in versi), Casa ed. del "Pensiero Latino", Milano 1907.



Testi

A RICCARDO WAGNER

Vengono a l'alba, poi che il Re li chiama
da le selve col suon lungo del corno,
vengon gli eroi che per Wagner han fama;
salgono il monte a lo spuntar del giorno.
Così Luigi ogni anno li richiama:
Al Tegel fan gli spiriti ritorno:
ivi s'adunano in solenne ammanto
il sommo Vate a celebrar col canto.

Nell'ampia valle al chiaro sol nascente
splendono i laghi, e da l'eccelsa fonte
balza sfumando e brilla ogni torrente
giù pei declivi rapidi del monte.
Qui dove s'apre il fresco dì lucente
vien Parsifàl, che il nuovo raggio ha in fronte,
viene Tristan col fido Kurvenaldo, 
e Sigfried, che l'amor fe' ardito e baldo.

Tannhauser vien, che una devota e pia
prece ha sul labbro e tanto ardor nel seno:
ei passa e fa con dolce melodia
di novo incanto il bosco e l'aer pieno:
mistiche voci su l'alpestre via
scendono a lui dal ciel puro e sereno,
e già l'attende su l'aperta vetta
tra serafici cori Elisabetta.

E silenzioso e cupo, in bruna vesta,
vien l'Olandese, il pallido nocchiero.
Folgori e tuoni e nembi e ria tempesta
eternamente sogna il suo pensiero:
sibila il vento sovra la sua testa,
e, ancor che azzurro, è il cielo orrido e nero:
pace non sa, l'amor cerca e sospira,
l'amor che solo placherà quest'ira.

Ma da l'estremo ciel dov'è serena
più l'aria e più del suo splendor s'avviva,
in vaga conca che un bel cigno mena
vien Lohengrin con fronte alta e giuliva.
Ei canta e s'ode da lontano appena
la voce sua ch'amor scalda e ravviva:
taccion le selve a l'inusato incanto;
lento su l'aria ei s'avvicina intanto.

Candido e lieve il cigno innanzi viene,
dietro si trae la navicella, lento,
e dove passa alto silenzio tiene
il bosco, il monte, il prato e cade il vento,
si schiara il ciel, si fan l'aure serene,
piove letizia e celestial contento:
vengono intorno al biondo cavaliero
stupore, ardor, pietà, pace e mistero.

Lorica e scudo ei lbell'elmo d'argento
tutto risplende più che diamante:
ritto egli sta con nobil portamento,
certo ripensa in cor l'incauta amante,
il casto bacio, il rio tradimento
e la fiorita spiaggia del Barbante,
dove al popol raccolto e ai cavalieri
palesi fe' del Graal gli alti misteri.

Per vie diverse, con diversa fronte
all'erta rupe ognun così s'appressa,
e poi che tutti omai li accoglie il monte
ogni rumor, ogni bisbiglio cessa:
levasi un nembo allor da l'orizzonte
e a l'occhio uman la cima fa inaccessa,
ché in vel di nebbie denso e di vapori
gli alti culmini avvolge ed i cantori.

Or sulle vette ondeggia il nembo e sibili
fan cavalcando ed urli, per le cime,
sfrenate le Walkirie, in tra gli orribili
tuoni levando al ciel l'inno sublime.
Treman le roccie; l'aria di terribili
fuochi s'accende e tutto intorno opprime,
tutto sconvolge turbinosa e nera,
sui gioghi solitarii la bufera.

Allor dal cielo un vivo raggio scende
e fra le rotte nubi il monte attinge.
Ogni cimier, ogni corazza splende;
del lume suo divin tutto si tinge.
Comincia un coro allor di sì stupende
note che l'alma in pio fervor costringe:
cantan gli eroi, solenne vola il canto
alto per l'aria e del Poeta il vanto.

(Dalla rivista «Cronaca d'arte», novembre 1891)

Poeti dimenticati: Tullio Ortolani

Nacque nel 1869, fu prosatore, poeta e critico letterario. Collaborò a varie riviste tra cui il "Marzocco". Le sue opere in versi mostrano uno stile decisamente ottocentesco e classicista, più raramente si riscontrano suggestioni decadenti.



Opere poetiche

"Vox in deserto", Tip. Castaldi, Feltre 1895.
"Canti della bontà", Tip. dell'Umbria, Spoleto 1897.
"in solitudine", Tip. Mancini, Macerata 1899.

Frontespizio del volume poetico di Tullio Ortolani: "Vox in deserto", Premiata Tipografia Castaldi, Feltre 1895



Testi

DOLCEZZA

Venga l'universal dolcezza ai cuori,
ché troppo il male strinse ormai la mano,
troppo sofferse l'Anima dolori!

Né più fiorisca primavera in vano,
né l'autunno maturi in vano i frutti,
ma il bene sia vicino e sia lontano.

L'Anima si dimentichi de' lutti
ch'ella, ch'ella medesima construsse.
Scenda l'universal dolcezza in tutti.

Chi al pianto disperato ci condusse?
chi la bocca fraterna alle parole
tristi dell'odio e del livore indusse?

S'aprano le dolenti celle al sole,
anche il delitto la dolcezza tocchi.
Sappiamo ciò che in fondo ai cuori duole?

Sappiamo ciò che brucia in fondo agli occhi?
Noi vedremo dall'alte ferriate
volgersi alcuno, flettere i ginocchi.

Vedremo dalle case scellerate
per la vergogna donne in pianto uscire.
O buoni, perdonate, perdonate:

l'ultimo pianto passa sovra l'ire!
Sia la dolcezza farmaco divino,
ella sia che le mani faccia aprire

del ricco a carità sul peregrino;
ella sia che lenisca ogni altro male,
e sia il bene lontano e sia il vicino.

Ella sia, la dolcezza universale.

(Dalla rivista «Il Marzocco», luglio 1896)

lunedì 15 febbraio 2016

Il fuoco nella poesia italiana decadente e simbolista

In molti casi il fuoco si esplicita tramite un rogo che sempre ha il compito di distruggere cose, pensieri, illusioni e persino gli autori dei versi, i quali tramite il fuoco che tutto brucia intendono liberarsi di ciò che li fa soffrire, fosse anche la loro esistenza. In altri casi il fuoco ha una funzione magica (ad esempio nella poesia di Betti) e serve ad evidenziare una pulsione (probabilmente sessuale) o, comunque, una forte passione. Altrove (Giorgieri Contri) il fuoco del tramonto fa rinascere le "vampe" di un amore morto; Arturo Graf vede nei fuochi fatui dei cimiteri la propria anima che precocemente si spegne nell'infinità. Esistono infine casi di descrizioni di luoghi fantastici dove il fuoco (custodito, invadente, onnipresente) può rappresentare vari, misteriosi simboli.



Poesie sull'argomento

Diego Angeli: "Pomeriggio di decembre ai Monti Parioli" in "La città di Vita" (1896).
Alfredo Baccelli: "Il rogo" e "Ultime veglie" in "Fiamme e tenebre" (1910).
Ugo Betti: "Il fuoco" in "Il Re pensieroso" (1922).
Giovanni Camerana: "Il rogo" in "Poesie" (1968).
Carlo Chiaves: "Distruzione inutile" in "Sogno e ironia" (1910).
Guelfo Civinini, "La vana lotta", in "L'urna" (1900).
Lionello Fiumi: "Fiamma di candela" in "Polline" (1914).
Aldo Fumagalli: "Per rinascere" in "Arcate" (1913).
Cosimo Giorgieri Contri: "Foco non spento" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).
Arturo Graf: "Fuochi fatui" in "Morgana" (1901).
Arturo Graf: "Alla fiamma" in "Le Rime della Selva" (1906).
Remo Mannoni: "Il rogo" in «Il Trionfo d'Amore», maggio 1903.
Nicola Marchese: "Ballata della notte, 5" in "Le Liriche" (1911).
Marino Marin: "I genii nei silenti penetrali" in "Sonetti secolari" (1896).
Arturo Onofri: "Potenze d'aria crollano..." in "Terrestrità del sole" (1927).
Nino Oxilia: "Fuoco superbo che dall'ombra enorme" in "Canti brevi" (1909).
Aldo Palazzeschi: "Palazzo Mirena" in "Lanterna" (1907).
Giuseppe Zucca: "Le fiaccole" in "Io" (1921).



Testi

POMERIGGIO DI DECEMBRE AI MONTI PARIOLI
di Diego Angeli

Dentro la selva brilla ancora un fuoco.

Bacche vermiglie stanno in cima ai rami
degli agrifogli sul colle selvoso;
i tordi dentro i lecci hanno richiami,
nel plumbeo tramonto accidioso.
Ondeggia un bianco fumo tortuoso
da un focolare ove non è più fuoco.

Chi accese mai quel rogo moribondo?
Forse quelli che vennero a tagliare
gli agrifogli che debbono il giocondo
albero di Natale inghirlandare?
L'albero luminoso nelle chiare
stanze allietate da un immenso fuoco.

L'ultime luci e l'ultimo bagliore
del triste focolare semispento:
s'agita a poco a poco nel mio cuore
il bel sogno infantile di un momento.
Stasera ascolterò gemere il vento
leggendo un vecchio libro a canto al fuoco.


(Da "La città di vita")



Arnold Böcklin, "Heiliger Hain"

venerdì 29 gennaio 2016

Le fontane nella poesia italiana decadente e simbolista

Le fontane nella quasi totalità dei casi simboleggiano la vita nelle sue più importanti espressioni: fecondità, giovinezza, rinnovamento. I versi di tantissimi poeti orbitanti intorno alla corrente simbolista-decadente-crepuscolare si popolarono di fonti, fontanelle e fontane, delle volte anche in modo parodico (si legga ad esempio "La fontana malata" di Aldo Palazzeschi); in queste composizioni, assai spesso, le fontane si trovano in giardini o parchi pieni di muffe, foglie morte ed erbe infestanti, e sono disseccate; il significato di questo contesto, ovviamente, riflette uno stato di profondo malessere e di un'accentuata depressione malinconica: i poeti mostrano in questo modo di non aver più alcuno slancio vitale e di essere immersi in una desolante tristezza senza via d'uscita.



Poesie sull'argomento

Diego Angeli: "A una fonte" in "L'Oratorio d'Amore" (1904).
Umberto Bottone: "A una fontana" in "Lumi d'argento" (1906).
Giuliano Donati Pétteni: "Similitudine" in "Intimità" (1926).
Alfredo Galletti: "Fonte montana" in "Odi ed elegie" (1903).
Corrado Govoni: "La fontana" in "Le Fiale" (1903).
Arturo Graf: "La fontana di gioventù" in "Medusa" (1990).
Arturo Graf: "Picciola fonte" in "Morgana" (1901).
Arturo Graf: "Fonte romantico" in "Le Danaidi" (1905).
Giuseppe Lipparini: "Sonetto alla ottava" in "Le foglie dell'alloro. Poesie (1898-1913)" (1916).
Gian Pietro Lucini: "Di «Una Fontana»" in "Le Antitesi e le Perversità" (1971).
Pietro Mastri: "Le acacie della fonte" in "L'arcobaleno" (1900).
Arturo Onofri: "Le fontane" in "Poemi tragici" (1908).
Angiolo Orvieto: "La fonte" in "La primavera della cornamusa" (1925).
Aldo Palazzeschi: "La fonte del bene" in "I cavalli bianchi" (1905).
Guido Vitali: "Fontana solitaria" in "Voci di cose e d'uomini" (1906).



Testi

A UNA FONTE
di Diego Angeli

Fontana muta nel misterioso
bosco di questa gran villa che appare
chiusa nell'imminente albor lunare
come la viva immagin del riposo.

Tu vedesti il suo bel volto pensoso
su te piegarsi in atto di ascoltare
se mai dal fondo di tue linfe chiare
giungesse l'eco d'un singulto ascoso.

Non mai credo Aretusa un più profondo
dolore espresse, allor che tra la verde
erba svanì del dolce amante in traccia!

Ma io chino su te, cerco nel fondo
bacino ove l'opaca ombra si perde
se ancor vi arrida la sua bianca faccia.

(Da "L'Oratorio d'Amore", 1904)





A UNA FONTANA
di Umberto Bottone (Auro d'Alba)

Sempre la stessa, eterna litania,
sempre le gemme d'auro e d'argento
rutilanti una vecchia melodia.

O fontana di perla, o incantamento
di linfe piorne di tra bianche spume
ne l'alveo dolcemente sonnolento.

Nel mio piccolo cuor piange ogni lume
di vita, io vado sotto la carezza
del ciel: mi porta non so più qual fiume...

Fontanella di rose, o tenerezza
notturna, che il mio cuore imparadisa,
che non si muore, dimmi, di tristezza?

Oh, morir fra le tue perlucce, in guisa
d'esser baciato da le cristalline
onde che in cielo ogni diamante fisa!

Morire fra le braccia de le ondine
voluttuosamente, in una sera
di maggio, fra ghirlande turchesine,

e sognare una morta primavera;
gloria d'un cielo che ora invano agogno,
al lume incerto di pallente cera:
nato pel sogno, morto per il sogno!


(Da "Lumi d'argento", 1906)


Arnold Böcklin, "Nymph by the fountain"